Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 29612 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 29612 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il 03/08/1988
avverso l’ordinanza del 06/03/2025 del TRIBUNALE di PALERMO Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che si è riportato alla memoria in atti e ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; uditi gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME che hanno illustrato i motivi di ricorso ed hanno insistito per l’accoglimento dello stesso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 6 marzo 2025 il Tribunale di Palermo, Sezione per il riesame, rigettava l’istanza ex art. 309 cod. proc. pen. proposta nell’interesse di NOME COGNOME sottoposto a custodia cautelare in carcere a seguito di ordinanza emessa dal G.i.p. del Tribunale di Palermo in data 14 febbraio 2025.
L’indagato veniva ritenuto gravemente indiziato del reato di tentato omicidio, per avere compiuto atti idonei e diretti in modo non equivoco a cagionare la morte di NOMECOGNOME esplodendo al suo indirizzo numerosi colpi di arma da fuoco, non compiendosi l ‘ evento per cause e circostanze indipendenti dalla sua volontà. Con la recidiva reiterata e infraquinquennale.
Avverso tale ordinanza, a mezzo dei difensori di fiducia, propone ricorso per cassazione NOME COGNOME articolando un unico motivo, enunciato nei limiti
strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. Il motivo denuncia vizio di motivazione.
Il Tribunale del riesame ha ritenuto la gravità indiziaria fondando solo sul contenuto di due conversazioni intercettate, l’una coinvolgente quale interlocutore l’indagato, l’altra la persona offesa.
Lamenta il ricorrente che la lettura delle conversazioni sia stata parziale, non abbia tenuto in conto l’astio che COGNOME aveva nei confronti dell’indagato, anche in ragione di precedenti contrasti, e difetti qualsiasi accertamento oggettivo in ordine ai luoghi e alle modalità concrete dell’azione.
D ifetterebbe l’idoneità degli atti, a seguito di una valutazione prognostica compiuta ex post , che si fonda solo su dati equivoci emergenti dalle conversazioni intercettate (esplosione di tre colpi, direzione dei colpi ad altezza d’uomo, caratteristiche dell’arma utilizzata).
La motivazione sarebbe viziata da una valutazione parziale del materiale di indagine disponibile: per un verso non si sarebbe confrontata con la conversazione nella quale COGNOME aveva affermato di sapere che COGNOME aveva con sé una pistola; per altro verso con la circostanza che COGNOME avrebbe esploso un colpo per difendersi ponendosi dall’alto, il che contrasta con l’«altezza uomo», come anche con la circostanza che a causa del rinculo COGNOME non aveva sparato in direzione della persona offesa.
Emergerebbe, quindi, un quadro indiziario contraddittorio quanto al numero di colpi esplosi, alla direzione effettiva degli stessi, né l’arma è stata rinvenuta.
Ne consegue il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata in quanto non è dato conto da parte del Tribunale del riesame della maggiore attendibilità della versione della persona offesa rispetto a quella dell’indagato, senza confrontarsi con i precedenti contrasti esistenti fra i due, dei quali dava conto il G.i.p. nell’ordinanza genetica, che concretavano l’interesse della vittima ad ingigantire il racconto in danno dell’indagato .
Le parti hanno concluso in udienza, il Pubblico ministero riportandosi alla memoria depositata, con la quale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, le difese illustrando le ragioni dello stesso e chiedendone l’accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato, per le ragioni che seguono.
Va premesso come pacifico sia l’orientamento che, a partire da Sezioni Unite n. 11 del 22/3/2000, Audino, Rv. 215828, in tema di misure cautelari personali, a fronte di un ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame, in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ne definisce così l’ambito di delibazione. La Corte ha il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti, rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (nello stesso senso, Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, COGNOME, Rv. 237012; Sez. F., n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460; Sez. 2, Sentenza n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976).
Va anche evidenziato come questo Collegio aderisca all’orientamento autorevole di Sez. U, Spennato: «Il quadro di gravità indiziaria ai fini cautelari, concetto differente da quello enunciato nell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., che allude alla c.d. prova logica o critica, ha, sotto il profilo gnoseologico, una propria autonomia, non rappresenta altro che l’insieme degli elementi conoscitivi, sia di natura rappresentativa che logica, la cui valenza è strumentale alla decisione de libertate , rimane delimitato dai confini di questa e non si proietta necessariamente nel diverso e futuro contesto dibattimentale relativo al definitivo giudizio di merito» (Sez. U, n. 36267 del 30/05/2006, Spennato, Rv. 234598).
Pertanto, la delibazione attuale è funzionale alla verifica della tenuta logica del provvedimento cautelare di secondo grado, in relazione alla gravità indiziaria nei termini di qualificata probabilità di colpevolezza, nella prospettiva da ultimo evidenziata, ovviamente suscettibile di evoluzioni ricostruttive in sede dibattimentale.
Venendo alle doglianze difensive si lamenta vizio di motivazione.
3.1 A riguardo deve evidenziarsi come il vizio di contraddittorietà della motivazione consiste nel concorso, dialetticamente irrisolto, di proposizioni -testuali ovvero extra-testuali e contenute in atti del procedimento specificamente indicati dal ricorrente -concernenti punti decisivi e assolutamente inconciliabili tra loro, tali che l’affermazione dell’una implichi necessariamente e univocamente la negazione dell’altra e viceversa (Sez. 1, n. 53600 del 24/11/2016, dep. 27/11/2017, COGNOME, Rv. 271635 -01; conf.: N. 35848 del 2007 Rv. 237684 01, N. 12110 del 2008 Rv. 243247 – 01, N. 38800 del 2008 Rv. 241449 – 01, N. 5718 del 2013 Rv. 259409 – 01, N. 20677 del 2017 Rv. 270071 -01).
Pertanto, come osservato anche in dottrina, può essere contraddittoria la motivazione in sé, in quanto proposizioni della stessa confliggono con altre proposizioni della stessa, integrandosi così la cd. contraddittorietà logica; ovvero la contraddizione -come vizio deducibile -riguarda il rapporto fra la motivazione e le risultanze extra-testuali, determinanti il travisamento, cd. contraddittorietà processuale, qualora segni la distanza fra la motivazione e il risultato di prova utilizzato anche se inesistente, ovvero incontestabilmente diverso da quello reale, o anche nel caso di prova ignorata pur se esistente (da ultimo, Sez. 5, n. 2355 del 25/10/2024, dep. 20/01/2025, Placenza, Rv. 287479 -02, in motivazione).
Nel caso in esame, va preliminarmente evidenziato che non vi è una contraddittorietà fra la motivazione e la conversazione intercettata (dato extratestuale) , in quanto già il G.i.p. nell’ordinanza impugnata aveva riportato la conversazione nella quale si dava atto che l’indagato aveva saputo che COGNOME avesse predisposto di prelevare una pistola.
L’argomento difensivo, inoltre, viene introdotto genericamente, in quanto non viene chiarita la capacità disarticolante del l’omessa valutazione di tale circostanza da parte del Tribunale del riesame. Difatti, in tema di ricorso per cassazione, ai fini dell’osservanza del principio di specificità in relazione alla prospettazione di vizi di motivazione e di travisamento dei fatti, è necessario che esso contenga la compiuta rappresentazione e dimostrazione di un’evidenza – pretermessa o infedelmente rappresentata dal giudicante – di per sé dotata di univoca, oggettiva ed immediata valenza esplicativa, in quanto in grado di disarticolare il costrutto argomentativo del provvedimento impugnato per l’intrinseca incompatibilità degli enunciati (Sez.1, n. 54281 del 05/07/2017, COGNOME, Rv. 272492 -01; cfr. anche Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758 -01; Sez. 6, n. 566 del 29/10/2015, dep. 08/01/2016, COGNOME, Rv. 265765 – 01).
3.2 Altro profilo di doglianza attiene alla contraddittorietà logica intrinseca alla motivazione.
A fronte della ricapitolazione puntuale delle due versioni del ‘fatto’ rese dall’indagato e della persona offesa, le discordanze rilevate dalla difesa fra le due opzioni ricostruttive vengono risolte in favore della versione della persona offesa quanto al n umero di colpi esplosi e alla direzione degli stessi ad altezza d’uomo, a fronte della ricostruzione dell’indagato che indicava un unico colpo esploso e di aver sparato dall’alto. Tale contraddittorietà avrebbe dovuto condurre nella prospettazione difensiva – ad una motivazione più attenta e solida quanto alla maggiore attendibilità dell’una e non dell’altra versione, da contestualizzarsi anche nella complessiva ricostruzione operata dalla ordinanza genetica, che trattava dell’episodio in esame come conseguenza di una tensione pregressa fra i
protagonisti, per ragioni legate alla attività di spaccio della persona offesa e al controllo sulla stessa operata dall’indagato .
Anche in questo caso, la censura difetta di decisività, nei termini già evidenziati. Difatti, il ricorrente avrebbe dovuto prospettare la natura disarticolante della censura, conseguente all’attribuzione di maggior credito alla versione dell’indagato. Anche accedendo alla narrazione dell’indagato, per un verso il dato dell’aver ‘sparato dall’alto’ non esclude l’esplosione del colpo ad ‘altezza uomo’, che è indicativo del punto di arrivo del proiettile e non del percorso parallelo al suolo che la traiettoria dello stesso deve assumere. Per altro verso, viene affrontato il tema del numero di colpi esplosi. Va premesso che solitamente in tale tipologia di delitti il numero di colpi comprova (o meno) l’ animus necandi . Ma nel caso in esame, l’esplosione di un solo colpo d’arma da fuoco – in luogo di tre -va considerato elemento non decisivo alla verifica di sussistenza del dolo di omicidio -che risulta aliunde comprovato, dalla sostanziale confessione dell’indagato tratta dal tenore delle conversazioni per come interpretate dal Tribunale del riesame al fol. 4 (… subito lo volevo prendere… il Signore ha voluto che ho fatto il canguro e non l’ho preso… fu fortunato … ) -come anche dai pregressi rancori e dalla esplosione di colpi d’arma da fuoco da parte dall’indagato contro il portone dell’abitazione della persona offesa, oltre che dalla dichiarata intenzione «di riprovare in futuro ad attentare alla vita della vittima’ (fol. 2 della ordinanza impugnata).
Se, dunque, la reiterazione dei colpi non è decisiva ai fini della sussistenza del dolo di omicidio, va ricordato che quanto alla idoneità e alla direzione degli atti, gli atti diretti in modo non equivoco a commettere un reato possono essere esclusivamente gli atti esecutivi, ossia gli atti tipici, corrispondenti, anche solo in minima parte, come inizio di esecuzione, alla descrizione legale di una fattispecie delittuosa a forma libera o vincolata, in quanto l’univocità degli atti indica non un parametro probatorio, ma un criterio di essenza e una caratteristica oggettiva della condotta, non essendo dunque punibili, a titolo di tentativo, i meri atti preparatori (Sez. 3, n. 15656 del 02/02/2022, Rocca, Rv. 283045 -01; conf.: N. 9411 del 2010 Rv. 246620 – 01, N. 40058 del 2008 Rv. 241649 -01). Nel caso di specie non vi è dubbio che gli atti posti in essere integrassero la direzione univoca, non potendo farsi derivare l’inidoneità e un deficit di direzione dal ‘rinculo’ che in vero costituisce l’evento non previsto che ha neutralizzato l’esplosione del colpo ad ‘altezza d’uomo’, comprovata dalla confessione dell’indagato.
D’altro canto, in tema di tentato omicidio, la scarsa entità (o anche l’inesistenza) delle lesioni provocate alla persona offesa non sono circostanze idonee ad escludere di per sé l’intenzione omicida, in quanto possono essere rapportabili anche a fattori indipendenti dalla volontà dell’agente, come un
imprevisto movimento della vittima, un errato calcolo della distanza o una mira non precisa (Sez. 1, n. 52043 del 10/06/2014, Vaghi, Rv. 261702 -01; conf.: N. 450 del 1968). L’ordinanza impugnata ha, quindi, correttamente escluso che il ‘rinculo’ , in quanto fattore indipendente dalla volontà dell’agente, elid a la direzione univoca degli atti, emergente anche dalla confessione e richiamata dall’ordinanza impugnata.
L ‘ordinanza impugnata non è , quindi, affetta da vizio di manifesta illogicità o contraddittorietà, risultando per altro le versioni ‘parlate’ della vicenda, riferit e dai due protagonisti, in parte reciprocamente riscontrate.
Ne consegue il rigetto del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1ter , disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 23/07/2025