Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 626 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 626 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MARGHERITA DI SAVOIA il 03/01/1964
avverso la sentenza del 11/11/2021 della CORTE APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
udito, per l’imputato, l’avv. NOME COGNOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari in data 28 novembre 2019, emessa all’esito di giudizio abbreviato, NOME COGNOME era stato condannato, con la diminuente per il rito, alla pena di 14 anni di reclusione in quanto colpevole, ritenuto il vincolo della continuazione, di tre episodi di tentato omicidio , dei connessi delitti di detenzione e porto di armi , della ricettazione dell’aut impiegata per l’esecuzione del tentato omicidio commesso il 23 gennaio 2019 e della ricettazione della pistola, calibro 44 magnum Smith & Wesson, con matricola abrasa di cui al capo 7) .
1.1. Con sentenza n. 3144/20 in data 21 luglio 2020, la Corte di appello di Bari, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva assolto l’imputato dai delitti di cui ai capi 1), 2) e 3), perché i fatti non sussistono e da quello di al capo 6) in quanto non punibile ai sensi dell’art. 56, terzo comma, cod. pen., nonché da quello del capo 5) per non aver commesso il fatto; ed esclusa l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., aveva rideterminato la pena, per NOME, in 5 anni di reclusione e in 3.000,00 euro di multa in relazione ai residui reati di cui ai capi 4), 7) e 8).
1.2. Con sentenza n. 31177 del 14 luglio 2021 la Prima sezione della Corte di cassazione aveva annullato la sentenza di appello limitatamente alle assoluzioni per i capi 1), 2), 3), 5) e 6), rinviando, per il nuovo giudizio su tali punti, ad a Sezione della Corte di appello di Bari.
1.3. Con sentenza n. 3708/21 in data 11 novembre 2021, la Corte di appello di Bari, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ribadita l’esclusione dell’aggravante prevista dall’art. 416-bis.1 cod. pen., ha riconosciuto la responsabilità di COGNOME per i delitti ascrittigli ai capi 1), 2), 3), 5), 6) della ru determinando la pena finale, anche in relazione ai reati di cui ai capi 4), 7) e 8), in 14 anni e 8 mesi di reclusione.
1.4. Con ordinanza datata 30 marzo 2023, depositata il 5 giugno 2024 e notificata a mezzo PEC al difensore in data 5 giugno 2024, la Corte di appello di Bari, quale giudice dell’esecuzione, ha disposto, nei riguardi di COGNOME, la revoca della statuizione di irrevocabilità della sentenza n. 3708/21 emessa in data 11 novembre 2021 dalla Corte di appello Bari, nonché la sospensione dell’esecuzione dell’ordine di carcerazione reso dalla Procura generale presso la Corte di appello di Bari in data 13 ottobre 2022 e la notifica al difensore del decreto in data 4 febbraio 2022 del Presidente della Corte di appello Bari, a mezzo del quale era stata concessa la proroga, per ulteriori 90 giorni, del termine originario di 90 giorni
previsto per il deposito delia motivazione della sentenza ai fini del decorso del termine per proporre impugnazione.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione lo stesso COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo sei distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con i primi quattro motivi vengono articolati una serie di motivi che concernono, trasversalmente, i tre episodi di tentato omicidio contestati ai capi 1), 3) e 6) della rubrica.
2.1.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 627 cod. proc. pen.
2.1.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 530 cpv cod. proc. pen. in riferimento all’art. 56 cod. pen., quanto agli episodi di cui ai cap 1) e 3) dell’imputazione, nonché, quanto alla desistenza volontaria, del capo 6).
2.1.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen. sui criteri di valutazione della prova e sull’uso della prova inferenziale, nonché la motivazione illogica.
2.1.4. Con il quarto motivo, il ricorso deduce, ex art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 125 cod. proc. pen., nonché il vizio della motivazione afferente sia alla scelta del «motivo a desistere», sia all’elemento psicologico richiesto per la desistenza volontaria.
L’episodio del 16 gennaio 2019 .
Nella sentenza di appello annullata, la Corte avrebbe ritenuto che l’imputato avesse compiuto un mero sopralluogo, non idoneo a integrare un atto preparatorio univocamente finalizzato alla commissione di un omicidio. Al contrario, in sede di rinvio essa identificherebbe nella condotta di COGNOME una «fase attuativa del progetto criminoso» relativo all’omicidio, argomentando tale conclusione a partire dagli “stralci” di una conversazione telefonica tra lo stesso COGNOME e NOME del 23 gennaio 2019 e valorizzando quanto affermato dal solo NOME in una ulteriore conversazione avvenuta in pari data. Secondo la difesa, però, in tali conversazioni i loquenti non farebbero alcun riferimento al 16 gennaio e, anzi, NOME, nel raccontare a NOME di essersi trovato armato, avrebbe collocato l’episodio «l’altro ieri» e, dunque, al più, al 21 gennaio e non al 16, data del tentato omicidio. In ogni caso, in quest’ultima conversazione NOME farebbe riferimento a sé stesso e mai a NOME; e qualora egli fosse comunque ritenuto presente, la conversazione sarebbe illogica, posto che se NOME fosse stato insieme a NOMECOGNOME non avrebbe avuto senso che costui raccontasse all’amico un evento al quale aveva partecipato
anche lui. Dunque, mancando la dimostrazione che NOME fosse armato il 16 gennaio 2019, dovrebbe escludersi che, a tale data, fosse stato realizzato uno «stadio preparatorio attuativo» dell’omicidio programmato.
B) L’episodio del 23 gennaio 2019 (capo 3 della rubrica).
Benché la pronuncia rescindente avesse chiesto una nuova motivazione sull’episodio, il Collegio di rinvio non vi avrebbe provveduto, omettendo cli pronunciarsi sull’elemento psicologico e, dunque, non pronunciandosi sull’esistenza dell’animus necandi, con conseguente mancanza di motivazione.
C) L’episodio del 26 gennaio 2019 (capo 6 della rubrica).
NOME, presentatosi dinnanzi all’abitazione del bersaglio, si sarebbe poi allontanato dalla porta, senza nemmeno impugnare l’arma, secondo quanto si evincerebbe dagli 0.P.T., spiegando successivamente la propria condotta a NOME con il fatto di aver suonato tre volte al campanello senza che nessuno gli avesse aperto e, ancora dopo, con la presenza di una videocamera.
Mentre la sentenza di appello annullata aveva ritenuto che NOME si fosse allontanato senza suonare il campanello, con conseguente desistenza dall’azione, la sentenza rescindente avrebbe ritenuto non dirimente l’aver bussato o meno o scorto il sistema di telecamere, essendo decisiva la «sfera di determinazione individuale dell’agente e non (…) fattori estranei che condizionano le modalità commissive del fatto e incidono sulla decisione di portarlo a termine o meno», sollecitando una nuova valutazione del fatto, che il Giudice del rinvio non avrebbe operato, omettendo di esaminare gli elementi valorizzabili ai fini della «desistenza» e, in particolare, il «motivo» per il quale COGNOME aveva interrotto la sequenza causale, che non sarebbe stato accertato. Ciò che, pertanto, non avrebbe consentito nemmeno di pronunciarsi sull’esistenza della desistenza volontaria, esclusa apoditticamente sul presupposto, indimostrato, che l’imputato avesse interrotto l’azione perché “indotto” dalla presenza del sistema di videosorveglianza. Da ciò deriverebbe sia un difetto di prova, sia un vizio palese di motivazione.
D) L’episodio della ricettazione di vettura (capo 5).
La Corte si limiterebbe a dedurre che COGNOME fosse a conoscenza della provenienza delittuosa della vettura, soffermandosi su una sorta di «conoscenza implicita» (id est del fatto che una vettura utilizzanda per un delitto non potesse essere che di provenienza delittuosa). Ma al di là di siffatto ragionamento, null’altro sarebbe offerto come motivazione.
2.2. Con il quinto motivo, il ricorso lamenta, ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 56, 575 e 133 cod. pen., l’omessa motivazione sui criteri dosimetrici nella determinazione della pena-base, l’errato calcolo della pena finale irrogata, la concorrente duplicazione della pena in relazione al capo 6).
2.3. Con il sesto motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 627 cod. proc. pen.: errata irrogazione di pena anche per i capi 4) e 8), non devoluti dalla sentenza rescindente. La Corte avrebbe inflitto a COGNOME una pena complessiva di 14 anni e 10 mesi di reclusione così determinata: pena-base di 15 anni e 9 mesi per il tentato omicidio di cui al capo 6); + 1 anno e 6 mesi per ognuno dei due tentati omicidi di cui ai capi 1) e 3); + 6 mesi per ognuno dei capi 2), 4) e 7); + 4 mesi e 15 giorni per ognuno dei capi 5) e 8), per un totale di 22 anni e 3 mesi, diminuiti per il rito a 14 anni e 10 mesi di reclusione. Tutto ciò, nondimeno, senza argomentare in ordine ai criteri ex art. 133 cod. pen. nella determinazione della pena base, che si discosterebbe dal minimo edittale di cui agli artt. 56, secondo comma, 575-577 cod. pen. Inoltre, gli ulteriori 6 mesi per ciascuna delle contestazioni di cui ai capi 2), 4) e 6), per complessivi 1 anno e 6 mesi di reclusione, e i 4 mesi e 15 giorni di reclusione per ciascuna delle contestazioni di cui ai capi 5) e 8), non terrebbe in conto che, per il capo 4), non era intervenuto annullamento con rinvio, essendo stato il relativo motivo del ricorso per cassazione rigettato, sicché di esso la Corte barese non avrebbe dovuto occuparsi; che la pena del capo 6) era già stata applicata, costituendo essa, anzi, la pena-base, sicché l’aumento per la continuazione realizzerebbe un’illegittima duplicazione della pena; e che la pena di cui al capo 8) non avrebbe potuto essere rideterminata in sede di rinvio, posto che sul punto non vi era stato alcun annullamento in sede rescindente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Le censure in punto di responsabilità per i delitti di tentato omicidio, detenzione e porto delle armi e ricettazione, sono infondate.
Invero, la sentenza di appello, facendosi carico dei rilievi formulati in sede rescindente, ha specificamente evidenziato, alla stregua di un ragionamento probatorio coerente e privo di incoerenze sul piano logico, gli elementi che consentono di ritenere, per tutti e tre gli episodi di tentato omicidio, che coimputati non stessero effettuando un mero sopralluogo, ma fossero pronti a eseguire i delitti programmati se ve ne fossero state le condizioni, qualora i bersagli che erano stati individuati fossero stati effettivamente reperiti. E ad analogo esito deve ovviamente pervenirsi in relazione ai reati scopo, commessi al fine di realizzare gli omicidi programmati. E a tal fine, la Corte territoriale h innanzitutto, ribadito quanto già ritenuto dalla sentenza di primo grado in ordine al contesto in cui detti episodi si collocavano, ovvero il conflitto esploso tra gruppo mafioso dei Bruno e quello contrapposto dei COGNOME. In particolare, il 28
ottobre 2018, a Foggia, NOME COGNOME COGNOME, cugino di NOME COGNOME e figlio di NOME COGNOME aveva tentato di uccidere NOME COGNOME (detto NOME), fratello di NOME. A quell’episodio era seguito, il successivo 15 novembre, l’omicidio di NOME COGNOME, vertice storico di quella famiglia mafiosa, da cui erano poi scaturite le iniziative delittuose oggetto del presente procedimento, con cui la famiglia COGNOME aveva inteso vendicarsi dei COGNOME, cli cui era amico stretto anche NOME COGNOME, appartenente al clan COGNOME,·in contrato con quello dei COGNOME–COGNOME al quale facevano riferimento gli odierni imputati. Un contesto, quello descritto, che, peraltro, l’odierno ricorso non giunge mai a confutare, dandolo sostanzialmente per acclarato. In ogni caso, la sentenza impugnata ha ben evidenziato l’obiettivo di NOME COGNOME e di NOME COGNOME fosse quello di vendicare la morte del padre del primo, NOMECOGNOME richiamando la conversazione del 23 gennaio 2019 tra i due, allorquando NOME aveva espresso risentimento nei confronti del clan COGNOME per non essersi attivato per vendicare la morte del genitore, concludendo che avrebbero provveduto loro direttamente «a risolvere la faccenda».
3. L’episodio del 16 gennaio 2019 è stato ricostruito attraverso il richiamo degli ingiustificati spostamenti degli imputati, sin dalle prime ore di quel giorno, con l’incontro presso un immobile in località INDIRIZZO, base logistica del gruppo, e il successivo recarsi a Foggia a bordo di auto diverse, ove NOME COGNOME, fermatosi con la sua auto in INDIRIZZO ove abitava NOME COGNOME, aveva dato disposizioni ad altro soggetto di allontanarsi rapidamente; e, soprattutto, delle due conversazioni intercettate tra NOME e NOME il 23 gennaio 2019, in cui, nella prima, NOME aveva commentato i fallimenti precedenti con le frasi «le stiamo proprio rovinando … siamo andati lì e abbiamo fallito, siamo andati all’altra parte e abbiamo fallito … le cose non si fanno così …» e, nella seconda, NOME aveva richiamato le modalità esecutive dell’episodio precedente, facendo espresso riferimento al fatto che le vittime designate erano due (ovvero NOME COGNOME e NOME COGNOME). Elementi che le sentenze, con apprezzamento di merito motivato in maniera niente affatto illogica, hanno riscostruito nel senso di ritenere che il commando fosse operativo già nella prima occasione in cui esso si era recato nei pressi dell’abitazione di Clemente e che, dunque, nel frangente non fossero in corso «semplici sopralluoghi rispetto ad una decisione omicida da assumere», ma si fosse in una fase attuativa del progetto criminoso, posto che nel momento in cui i loquenti si dolevano del fallimento del loro programma criminoso, essi dovevano essersi trovati nell’atto di entrare in azione, senza poter dare seguito al programma criminoso «per cause indipendenti dalla loro volontà», ovvero «per il mancato avvistamento degli obiettivi» (v. pag. 26 della sentenza di appello). E del
resto tale passaggio motivazionale non è stato fatto oggetto di specifiche censure da parte della difesa dell’imputato, che si è limitata a svolgere le proprie considerazioni critiche in relazione all’altra conversazione, in cui NOME aveva raccontato a NOME di essersi appostato con delle armi pronto a fare fuoco («… ad una parte dove sono stato l’altro ieri sono stato in mezzo ai cespugli in una via di campagna da solo in macchina, tre ore sono stato in macchina da solo … mi sono messo con la cosa in mano (pistola) compare … il primo che veniva lo uccidevo»), rivelandogli delle circostanze che, in realtà, COGNOME, che faceva anch’egli parte del commando, avrebbe dovuto già conoscere. Tale osservazione, pur non infondata, incide, per vero, soltanto su un segmento, certamente non essenziale, del ragionamento probatorio, che rimane invece congruo e logico in relazione alla prima delle menzionate conversazioni, rispetto alla quale, come appena detto, il ricorso omette qualunque argomentata replica, concludendo, del tutto apoditticamente, che dalla conversazione in questione si evincerebbe solo la presenza di un’arma il 23 gennaio, giorno in cui era avvenuto il colloquio intercettato.
Dunque, deve concludersi nel senso dell’infondatezza delle doglianze difensive articolate in relazione al primo tentato omicidio, occorso in data 16 gennaio 2019, rispetto al quale la sentenza emessa in sede rescissoria ha compiutamente spiegato le ragioni per le quali, nella ricostruzione fattuale accolta, doveva ritenersi configurabile uno «stadio preparatorio attuativo» idoneo a integrare il tentativo punibile contestato.
4. Venendo, quindi, all’episodio del 23 gennaio 2019, la difesa sostanzialmente lamenta che la sentenza impugnata abbia ricostruito soltanto il profilo oggettivo del tentato omicidio di NOME COGNOME e NOME COGNOME, omettendo qualunque riferimento all’elemento soggettivo e, dunque, al dolo di omicidio dell’imputato. Tale osservazione critica, apparentemente corretta se circoscritta alla sezione grafica della sentenza che si occupa del capo 3) dell’imputazione, risulta manifestamente infondata se confrontata con la parte iniziale del provvedimento, nella quale viene riassunto il contesto in cui l’episodio si collocava e in cui si dà atto della deliberazione compiuta dai correi, che intendevano uccidere NOME COGNOME e NOME COGNOME quale ritorsione a seguito dell’assassinio di NOME COGNOME Ciò che conseguentemente connota, in termini di scopo, l’episodio in esame, dovendo ritenersi che le due sentenze abbiano chiarito come il dirigersi dei coimputati, armati (come reso palese dall’invito, da parte di NOME COGNOME a uno dei presenti, con la frase «… dagliela a NOME …» a consegnare un’arma a NOME COGNOME), nel quartiere in cui abitava Frascolla, fosse diretto ad eseguire l’omicidio programmato.
Con riferimento all’episodio del 26 gennaio 2019, contestato al capo 6) della rubrica, va premesso che la sentenza impugnata ha chiarito come la presenza di NOMECOGNOME armato (come reso palese dal successivo invito a NOME COGNOME di pulire la pistola dalle sue impronte), dinnanzi alla porta dell’abitazione di NOME COGNOME fosse finalizzata a uccidere quest’ultimo ed eventualmente anche il fratello, NOME COGNOME, detto«”NOME” («… fallo girare a NOME …; se esce il fratello devi schiattare prima al fratello …; … gli voglio schiattare la …; schiaffagli due botte a quello»), ai quali NOME COGNOME attribuiva l responsabilità della morte del padre («… per colpa sua è successo tutto …»). Quanto, poi, alla circostanza che la decisione di NOME di interrompere l’azione criminosa fosse idonea a integrare un’ipotesi di desistenza volontaria, era stata ritenuta, dalla sentenza poi annullata, a partire dal fatto che NOME, giunto alla porta dell’abitazione di NOME COGNOME, non sarebbe stato visto dagli operanti appostati mentre impugnava l’arma con cui avrebbe dovuto eseguire l’omicidio e in considerazione della frase in cui egli aveva riferito a NOME di avere suonato per tre volte al campanello senza che nessuno gli avesse aperto. Sul punto, muovendo dalle chiare indicazioni offerte in sede rescindente, secondo cui sarebbe stata decisiva la «sfera di determinazione individuale dell’agente e non (…) fattori estranei che condizionano le modalità comnnissive del fatto e incidono sulla decisione di portarlo a termine o meno», la Corte territoriale ha escluso la volontarietà della interruzione dell’azione esecutiva a partire dalla presenza delle telecamere, che avrebbero consentito di identificare in COGNOME l’autore dell’omicidio, tenutò conto del fatto che egli era a volto scoperto. Una soluzione che appare coerente con il consolidato indirizzo di legittimità secondo il quale per configurare desistenza volontaria occorre che la scelta sia stata assunta in una condizione di libertà interiore, indipendente da fattori esterni condizionanti tali da influire su volontà dell’agente influenzandone la libera estrinsecazione (Sez. 4, n. 12240 del 13/02/2018, Ferdico, Rv. 272535 – 01). Ne consegue che deve ritenersi manifestamente infondata la tesi difensiva secondo cui la sentenza impugnata non si sarebbe pronunciata su tale punto qualificante; tesi smentita dalla piana lettura della motivazione censurata, che si rivela, di contro, del tutto congrua e logica. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Quanto, poi, all’episodio della ricettazione della Alfa Romeo Giulietta utilizzata per l’esecuzione del tentato omicidio commesso il 23 gennaio 20:L9, contestato al capo 5) della rubrica, la Corte territoriale, lungi dal prospettare una «conoscenza implicita» dell’imputato, il quale avrebbe dovuto sapere la vettura destinata alla commissione del tentato omicidio non potesse che essere di provenienza delittuosa, ha argomentatannente ricavato il dolo di ricettazione a partire da elementi di univoco significato indiziario, quali: la meticolosa programmazione dell’azione delittuosa e la necessità di adottare accorgimenti per
evitare che si risalisse ai responsabili dell’omicidio progettato; la conversazione, avvenuta qualche minuto prima dell’uscita dei tre dall’immobile di INDIRIZZO, tra NOME e COGNOME in cui il primo faceva esplicito riferimento all’utilizzo di una macchina da incendiare e all’impiego di una macchina «onesta» con cui lui e COGNOME avrebbero accompagnato COGNOME; la conversazione del 26 gennaio 2019 in cui NOME e COGNOME, lamentandosi della scarsa organizzazione, censuravano la scelta di utilizzare la propria autovettura e non, invece, altri veicoli, in modo da non essere facilmente identificabili.
Con il quinto e il sesto motivo, il ricorso lamenta l’omessa motivazione sui criteri dosimetrici nella determinazione della pena-base, la duplicazione della pena in relazione al capo 6), l’errata rideterminazione della pena in relazione ai capi 4) e 8), non devoluti dalla sentenza rescindente, l’errato calcolo della pena finale.
7.1. Sotto un primo profilo, si opina che la Corte territoriale non avrebbe argomentato in ordine all’utilizzo dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. ne determinazione della pena base, che si discosterebbe, immotivatamente, dal minimo edittale di cui agli artt. 56, secondo comma, 575-577 cod. pen.
In proposito, va premesso che la Corte territoriale ha inflitto a NOME COGNOME una pena complessiva di 14 anni e 10 mesi di reclusione così determinata: penabase di 15 anni e 9 mesi per il tentato omicidio di cui al capo 6); + 1 anno e 6 mesi per ognuno dei due tentati omicidi di cui ai capi 1) e 3); + 6 mesi per ognuno dei capi 2), 4) e 7); + 4 mesi e 15 giorni per ognuno dei capi 5) e 8), per un totale di 22 anni e 3 mesi di reclusione, diminuiti per il rito a 14 anni e 10 mesi di reclusione.
Nel determinare la pena base, la sentenza impugnata ha richiamato i criteri di cui all’art. 133 cod. pen. e ha formulato espressamente un giudizio di congruità della relativa dosimetria. In proposito, va richiamato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui quando la relativa scelta del giudice risulti contenuta in una fascia «medio bassa» rispetto al regime edittale della pena, non è necessaria una specifica motivazione (Sez. 4, n. 41702 del 20/9/2004, COGNOME, Rv. 230278 – 01), essendo in tali casi sufficiente «il richiamo al criterio d adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen.» (Sez. 4, n. 46412 del 5/11/2015, COGNOME, Rv. 265283 – 01), ovvero l’utilizzo di espressioni del tipo: «pena congrua», «pena equa» o «congruo aumento», come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/6/2009, COGNOME, Rv. 245596 – 01). Nel caso di specie, invero, la difesa opina che in relazione alla pena base sia stato superato il minimo edittale; e tuttavia tale rilievo non tiene conto che è stata ritenuta e applicata l recidiva prevista dal comma 4 dell’art. 99, cod. pen., con conseguente aumento pari alla metà o addirittura ai due terzi e che non essendo stata indicata l’entità
del relativo aumento esso deve ritenersi essere stato computato laddove la sentenza ha indicato la pena base, che è stata quindi determinata già tenendo conto di esso.
7.2. Inoltre, la difesa deduce: che l’aumento per ulteriori 6 mesi per ciascuna delle contestazioni di cui ai capi 2), 4) e 6), per complessivi 1 anno e 6 mesi di reclusione, e per ulteriori 4 mesi e 15 giorni di reclusione per ciascuna delle contestazioni di cui ai capi 5) e 8), non terrebbe in conto che, per i capi 4) e 8), non era intervenuto annullamento con rinvio, essendo stati rigettati i relativi motivi del ricorso per cassazione, sicché di essi la Corte barese non avrebbe dovuto occuparsi; che la pena del capo 6) era già stata applicata, costituendo essa, anzi, la pena-base, sicché l’aumento per la continuazione realizzerebbe un’illegittima duplicazione della pena.
In proposito, va riconosciuto che la sentenza impugnata contiene un evidente errore materiale laddove fa riferimento, per uno degli aumenti, al capo 6), relativo a uno dei tentati omicidi, anziché al capo 7), concernente una delle ipotesi di detenzione e porto illegale di armi. Ciò si ricava, sul piano logico, dal fatto che i capo 6) costituiva l’ipotesi assunta come reato-base e che, quindi, non poteva essere richiamata in sede di aumento per la continuazione e, soprattutto, dal fat1:o che la motivazione tace in relazione al capo 7). Inoltre, la circostanza che, nel determinare l’aumento per il capo 6), sia stata applicata una pena identica rispetto agli altri episodi di porto e detenzione illecita di armi, rende evidente che anche il terzo aumento riguardava una fattispecie analoga e non un tentato omicidio.
Inammissibile, infine, è il rilievo difensivo secondo cui la pena sarebbe stata fissata, per i capi 4) e 8), con la pronuncia rescindente, posto che, con il rigetto del ricorso di COGNOME, sarebbero passate in giudicato le relative statuizioni.
Sul punto va, innanzitutto, premesso che anche con riferimento al capo 7) vi era stato il rigetto del ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME, sicché le censure difensive andrebbero estese anche con riferimento a tale reato.
Osserva, nondimeno, il Collegio che la censura è stata articolata in maniera del tutto generica, non essendo stato in alcun modo precisato quale fosse stata la pena inflitta dalla Corte di appello con la sentenza n. 3144/20 in data 21 luglio 2020, in parte annullata dalla pronuncia in sede rescindente, sicché non è stato dedotto specificamente in che termini vi sarebbe stata, all’esito del giudizio di rinvio, una rimodulazione del trattamento sanzionatorio in relazione ai capi 4), 7) e 8) in senso sfavorevole all’imputato, il quale, invero, avrebbe avuto un interesse a formulare la relativa censura solo nel caso di un trattamento sanzionatorio deteriore.
In ogni caso, va osservato che secondo quanto si evince dagli atti, per il delitto di cui al capo 7), la Corte di appello, con la prima pronuncia, poi parzialmente annullata, aveva inflitto la pena di 3 anni di reclusione, elevata a 5 anni per la
recidiva; e aveva quindi disposto gli aumenti, per i residui reati di cui ai capi 4) 8), in misura pari 1 anno e 6 mesi e a 1 anno di reclusione: pene poi ridotte nella misura di un terzo per il rito. Dunque, in disparte la genericità della deduzione, essa deve ritenersi, in ogni caso, manifestamente infondata, atteso che la rideterminazione della pena operata in sede rescissoria è stata comunque più favorevole per l’imputato.
In ultimo, premessa l’ormai pacifica configurabilità del cd. giudicato parziale in relazione alle autonome parti di sentenza quand’anche il processo prosegua in sede di giudizio di rinvio (Sez. U, n. 393 del 23/11/1990, dep. 1991, COGNOME Rv. 186165 – 01; Sez. U, n. 6019 del 11/05/1993, COGNOME, Rv. 193418 – 01; Sez. U, n. 4460 del 19/01/1994, COGNOME, Rv. 196888 – 01; Sez. U, n. 20 del 9/10/1996, COGNOME, Rv. 206170 – 01; Sez. U, n. 4904 del 26/03/1997, COGNOME, Rv. 207640 – 01; Sez. U, n. 3423 del 29/10/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280261 – 03), non è superfluo rilevare che in caso di annullamento con rinvio delle statuizioni in punto di responsabilità relative a taluni dei reati contestati come commessi Ln continuazione, il successivo riconoscimento della responsabilità e la individuazione di un nuovo reato più grave consente la rideterminazione del trattamento sanzionatorio anche in relazione agli aumenti per i reati satellite, sia pure con il divieto di reformatio in pejus (in termini Sez. 1, n. 46150 del 12/04/2018, Paun, non massimata). Invero, in ipotesi di reato continuato nelle quali l’annullamento con rinvio riguardi capi potenzialmente idonei a essere qualificati come violazione più grave ai sensi dell’art. 81, comma secondo, cod. pen., il giudizio rescissorio può portare a uno stravolgimento delle indicazioni di pena in esito a una rivisitazione della struttura del reato continuato, con una diversa qualificazione del reato più grave all’interno della sequela criminosa; tanto è vero che la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, in ipotesi siffatte, non può procedersi all’esecuzione parziale della sentenza (Sez. 1, n. 6190 del 17/12/201.9, dep. 2020, COGNOME, non massinnata; Sez. 1, n. 30780 del 05/07/2018, Fiesoli, non massimata; Sez. 1, n. 32477 del 19/06/2013, COGNOME, Rv. 257003 – 01), invece consentita quando l’annullamento con rinvio riguardi soltanto i reati satellite, non comporti un mutamento nella individuazione del reato più grave, potendo essere, quindi, individuata la pena minima che il condannato deve, comunque, espiare (Sez. 1, n. 6189 del 17/12/2019, dep. 2020, Castiglione, Rv. 278473 – 01; in termini Sez. 1, n. 36331 del 30/06/2015, COGNOME, Rv. 264528 01; Sez. 1, n. 2071 del 20/03/2000, COGNOME, Rv. 215949 – 01; di recente, in termini, Sez. U, n. 3423 del 29/10/2020, dep. 2021, COGNOME, in motivazione). Né la pena eventualmente determinata nel giudizio rescindente per i reati satellite potrebbe in ogni caso ritenersi cristallizzata, posto che, essa deve essere determinata quale frazione della pena base del reato più grave, ancora oggetto di giudizio in sede di rinvio. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in data 23 ottobre 2024
Il Presidente
Il Consigliere estensore