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Tentato omicidio e mafia: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna a 14 anni e 8 mesi per un imputato accusato di triplice tentato omicidio in un contesto di faida mafiosa. La sentenza analizza in dettaglio la distinzione tra atti preparatori e tentativo punibile, i requisiti della desistenza volontaria e i complessi principi sulla rideterminazione della pena in seguito a un annullamento con rinvio, chiarendo i limiti del giudicato parziale in caso di reato continuato. La Corte ha ritenuto infondati tutti i motivi di ricorso, confermando l’impianto accusatorio e la pena inflitta dalla Corte d’Appello.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentato omicidio e faida mafiosa: la Cassazione fa il punto su desistenza e calcolo della pena

Una recente sentenza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti su diversi aspetti cruciali del diritto penale, pronunciandosi su un complesso caso di tentato omicidio maturato in un contesto di criminalità organizzata. La decisione affronta temi come la soglia del tentativo punibile, la desistenza volontaria e le regole per il calcolo della pena dopo un annullamento con rinvio, consolidando principi giuridici di notevole rilevanza pratica.

I fatti e il percorso processuale

La vicenda trae origine da una violenta faida tra clan rivali. L’imputato era stato accusato di aver partecipato a tre distinti episodi di tentato omicidio, commessi a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro, oltre che di reati connessi come detenzione e porto d’armi e ricettazione. Il percorso giudiziario è stato articolato: dopo una condanna in primo grado, la Corte d’Appello aveva parzialmente riformato la sentenza, assolvendo l’imputato da alcune delle accuse più gravi. Successivamente, la Corte di Cassazione aveva annullato tali assoluzioni, rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio. Quest’ultima, in sede di rinvio, aveva nuovamente affermato la responsabilità dell’imputato per tutti i reati, rideterminando la pena finale in 14 anni e 8 mesi di reclusione. Contro questa decisione l’imputato ha proposto l’ultimo ricorso per cassazione.

Le questioni giuridiche sul tentato omicidio

La difesa ha contestato la qualificazione dei fatti come tentato omicidio, sostenendo tesi diverse per ciascun episodio.

Dal sopralluogo al tentativo punibile

Per il primo episodio, la difesa sosteneva che l’azione si fosse fermata a un mero sopralluogo, un atto preparatorio non punibile. La Cassazione, tuttavia, ha confermato la valutazione della Corte d’Appello, secondo cui non si trattava di una semplice ricognizione, ma di una vera e propria “fase attuativa del progetto criminoso”. Gli imputati erano già operativi e pronti a colpire, e il fallimento dell’azione era dipeso solo da cause indipendenti dalla loro volontà, come il mancato avvistamento degli obiettivi. Questo, secondo la Corte, integra pienamente gli estremi del tentativo.

La desistenza volontaria e il ruolo dei fattori esterni

Per un altro episodio, l’imputato si era recato presso l’abitazione della vittima designata per poi allontanarsi senza agire. La difesa ha invocato la desistenza volontaria, che avrebbe escluso la punibilità. La Corte ha rigettato anche questa tesi, sottolineando che la decisione di interrompere l’azione non era stata libera e volontaria, ma era stata “indotta” dalla presenza di un sistema di videosorveglianza. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, per aversi desistenza volontaria, la scelta deve avvenire in una condizione di “libertà interiore”, non condizionata da fattori esterni che aumentano il rischio per l’agente. La presenza di telecamere, che avrebbero consentito l’identificazione, è un fattore esterno che esclude la volontarietà della desistenza.

Il calcolo della pena e il giudicato parziale

Un’altra complessa questione riguardava la rideterminazione della pena. La difesa lamentava che la Corte d’Appello, in sede di rinvio, avesse ricalcolato la pena anche per reati la cui condanna era già diventata definitiva. La Cassazione ha respinto il motivo, chiarendo un importante principio in materia di reato continuato e giudicato parziale. Quando l’annullamento con rinvio riguarda reati che potrebbero essere qualificati come i più gravi all’interno di una sequela criminosa, il giudice del rinvio ha il potere-dovere di ricalcolare l’intera struttura sanzionatoria. Questo perché la pena per il reato continuato si basa su quella del reato più grave, aumentata per i reati satellite. Se cambia il reato-base, è necessario rimodulare l’intera pena, pur nel rispetto del divieto di reformatio in pejus. La Corte ha concluso che la rideterminazione era legittima e, nel caso di specie, persino più favorevole all’imputato.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato in ogni suo punto. Ha ritenuto il ragionamento della sentenza d’appello “coerente e privo di incoerenze sul piano logico”. Per i giudici di legittimità, le prove raccolte, in particolare le intercettazioni, dimostravano chiaramente un piano criminoso ben definito, volto a vendicare un precedente omicidio, e non meri atti preparatori. L’intento omicida (animus necandi) era palese dal contesto e dalle modalità operative. La Corte ha inoltre giudicato manifestamente infondata la tesi sulla desistenza volontaria e ha confermato la correttezza della valutazione sul dolo di ricettazione e sulla dosimetria della pena, rigettando tutte le censure difensive.

Le conclusioni

Con questa sentenza, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali, rendendo definitiva la condanna. La decisione ribadisce principi fondamentali del diritto penale: la linea di demarcazione tra atti preparatori e tentativo è superata quando l’azione entra in una fase attuativa concreta; la desistenza è “volontaria” solo se non è dettata da fattori esterni che ne alterano la spontaneità; infine, in caso di reato continuato, l’annullamento parziale che incide sul reato più grave consente una riconsiderazione dell’intera pena in sede di rinvio, per garantire la coerenza del trattamento sanzionatorio.

Quando un atto preparatorio diventa un tentato omicidio punibile?
Secondo la sentenza, si configura un tentato omicidio quando l’azione supera la mera preparazione ed entra in una “fase attuativa del progetto criminoso”, ovvero quando i soggetti sono già operativi e pronti a eseguire il delitto, e la sua mancata consumazione dipende da cause esterne alla loro volontà, come il mancato reperimento della vittima.

Cosa distingue la desistenza volontaria da un’interruzione forzata dell’azione?
La desistenza è volontaria solo se la scelta di interrompere l’azione criminale avviene in una condizione di “libertà interiore”, non influenzata da fattori esterni che aumentano il rischio di essere scoperti. La presenza di una videocamera, ad esempio, è considerato un fattore esterno che condiziona la decisione e, pertanto, esclude la volontarietà della desistenza.

Dopo un annullamento parziale della Cassazione, si può ricalcolare la pena anche per reati già coperti da giudicato?
Sì, ma solo in specifiche circostanze. Se l’annullamento riguarda reati legati dal vincolo della continuazione e potenzialmente qualificabili come reato più grave, il giudice del rinvio può rideterminare l’intera pena, inclusi gli aumenti per i reati satellite già definitivi. Questo serve a ricostruire correttamente la struttura della pena basata sul nuovo reato-base, sempre rispettando il divieto di peggiorare la condanna per l’imputato (divieto di reformatio in pejus).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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