Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 46775 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 46775 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/09/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a Davoli il 17/08/1954 NOME NOME nato a Davoli il 25/08/1974 avverso la sentenza del 10/01/2024 della Corte di Appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME COGNOME udite le conclusioni del Sost. Proc. Gen. NOME COGNOME per l’inammissibilità di entrambi i ricorsi; udito l’avv. NOME COGNOME che, in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME, riporta ai motivi di ricorso e conclude per l’accoglimento dello stesso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza del 10 gennaio 2024, ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Catanzaro, in data 7 giugno 2018, esclusa la contestata aggravante di cui all’art. 61 n. 5, cod. pen., ha condannato NOME ritenuta la recidiva, ad anni nove di reclusione e NOME NOME alla pena di anni sett
di reclusione per il concorso nel reato di tentato omicidio di cui agli artt. 56, 575 cod. commesso nei confronti di NOME COGNOME
NOME COGNOME e NOME COGNOME sono stati rinviati a giudizio e processati per avere, in concorso tra loro, sferrando vari colpi di ascia o, comunque, con un coltello d grosse dimensioni, cercato di colpire e provocare la morte di NOME COGNOME, evento che non si è verificato per la reazione della vittima che è riuscita a schivare i colpi, an facendosi scudo con gli arti superiori.
Nello specifico NOME COGNOME avrebbe cercato di colpire la vittima e NOME COGNOME invece, l’avrebbe attirata nel luogo, un vicolo, dove è stata aggredita e l’avreb distratta mentre il primo cercava di colpirla.
Le sentenze di merito fondano l’affermazione di responsabilità sulle dichiarazioni della persona offesa, considerata attendibile, e sugli accertamenti medici effettuati da consulente tecnico del pubblico ministero, ritenuti unitamente e complessivamente idonei a provare la colpevolezza degli imputati, seppure non sia stato accertato il movente.
La Corte di appello -ritenute infondate tutte le censure sollevate dalle parti quant alla credibilità della persona offesa, allo svolgimento dei fatti e alla qualificazione giur degli stessi, nonché in ordine al contributo concorsuale fornito da COGNOME– ha confermato la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza di appello hanno presentato ricorso gli imputati che, a mezzo del comune difensore, hanno dedotto i seguenti motivi.
Motivi comuni.
3.1. Vizio di motivazione in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. con riferimen all’affermazione di responsabilità per il reato quanto all’attendibilità della persona offe Nel primo articolato motivo la difesa -evidenziato che l’arma del delitto non è stata ma rinvenuta, che la ferita provocata è comunque di lieve entità, che non vi è stata alcuna reiterazione dell’azione delittuosa e che le consulenze tecniche in atti non consentono di ricostruire l’azione- rileva che gli elementi indicati nella sentenza impugnata non sono idonei a concludere per la responsabilità degli imputati, ciò anche e soprattutto considerato che le ragioni per le quali hanno agito gli imputati non sono mai emerse e la persona offesa si sarebbe dimostrata non credibile.
3.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 56 e 575 cod. pen per inesistenza dei necessari requisiti dell’univocità dell’azione e dell’elemento psicologi richiesto dalla norma. Nel secondo motivo, che pure prende le mosse dalla scarsa attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, la difesa censura il ragionament seguito dalla Corte quanto alla ritenuta idoneità degli atti e univocità dell’azion determinare la morte della vittima. Nello specifico nel ricorso si fa riferimento al mancat
ritrovamento dell’arma e all’assenza di prove in ordine all’idoneità della stessa a uccidere questo anche considerato che le lesioni inferte sono lievi, e all’assenza di elementi decisiv in merito alla sussistenza del dolo necessario a qualificare i fatti nei termini del ten omicidio, visto che non è stato in alcun modo accertato il movente che avrebbe determinato gli imputati.
3.3. Violazione di legge e totale carenza di motivazione in relazione alla richiesta d riconoscere le circostanze attenuanti generiche.
Per il solo COGNOME
3.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 110 cod. pen. quant alla ritenuta esistenza di un contributo causale, efficace ed effettivo, alla commissione de reato e, di conseguenza, in ordine alla possibilità di individuare in quale modo NOME COGNOME ha agevolato o anche solo rafforzato l’intento criminoso dei concorrenti e in che modo abbia concorso eziologicannente al fatto.
Per il solo Procopio
3.5. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 99 cod. pen. quant alla ritenuta sussistenza della recidiva, applicata in assenza totale di motivazione su punto.
In data 27 agosto 2024 è pervenuta in cancelleria una memoria con la quale il Sost. Proc. Gen. NOME COGNOME chiede che i ricorsi siano dichiarati inammissibili.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono infondati.
Nei primi due comuni motivi la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità con riferimento alla ritenut attendibilità della persona offesa e quanto alla sussistenza dell’idoneità degli gli a all’univocità dell’azione e all’accertamento dell’elemento psicologico.
Le doglianze sono complessivamente infondate.
2.1. Le censure relative alla violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. quanto all valutazione della credibilità e attendibilità della persona offesa, tese a sollecitare diversa e alternativa valutazione, non sono consentite.
La Corte territoriale, la cui motivazione si fonda e integra con quella della sentenza d primo grado, si è conformata alla giurisprudenza di legittimità sul punto e ha fornit adeguata e corretta risposta alle analoghe critiche già sollevate dalla difesa nell’atto appello.
I secondi giudici, infatti, hanno dato atto di avere effettuato una verifica puntuale attenta della credibilità soggettiva e dell’attendibilità intrinseca di quanto dichiarato la vittima, che non si è costituita parte civile, il cui racconto è stato anche confermato d altri elementi acquisiti, quali le dichiarazioni degli operanti, gli accertamenti tecnici e la stessa consulenza della ,difesa.
Ciò pure considerato che alle dichiarazioni della persona offesa non si applicano le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. e queste possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengon sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto (t tante Sez. 2, Sentenza n. 43278 del 24/09/2015, COGNOME, Rv. 265104 – 01).
Senza, d’altro canto, che possa assumere alcun rilievo sul punto il mancato accertamento del movente che, a fronte dell’esistenza della prova dell’attribuibilità di det azione agli imputati, come correttamente evidenziato nella sentenza impugnata, è irrilevante (Sez. 5, n. 20851 del 12/03/2021, COGNOME, Rv. 281109 – 01).
2.2. Le censure relative alla mancanza di univocità dell’azione e dell’elemento psicologico sono infondate.
2.2.1. Nel delitto tentato – fattispecie caratterizzata dalla punibilità di atti ch definizione, non hanno raggiunto lo scopo perseguito dall’agente e tipizzato dal legislatore nella norma incriminatrice di parte speciale – si pone il duplice problema di individuare s l’idoneità e l’univocità in fatto degli atti (da valutarsi ex ante e in concreto, secon prospettiva dell’agente) che la reale intenzione perseguita dall’autore del fatto.
L’argomento relativo ai principi di diritto da applicare in tema di tentativo è st compiutamente esaminato più volte dalla giurisprudenza di legittimità che in numerose sentenze ha enucleato i criteri cui fare riferimento (Sez. 1, n. 870 del 17/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278085 – 01; Sez. 1, n. 12407 del 30/09/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278902 – 01; Sez. 2, n. 36311 del 12/07/2019, COGNOME, Rv. 277032 02; Sez. 1, n. 29101 del 18/06/2019, COGNOME, Rv. 276401 – 02; Sez. 1, n. 12639 del 16/01/2019, COGNOME, Rv. 275326 – 01; Sez. 1, n. 11928 del 29/11/2018. Dep. 2019, COGNOME, Rv. 275012 – 01; Sez. 2, n. 11855 del 08/02/2017, COGNOME, Rv 269930 01; Sez. 2, n. 52189 del 14/09/2016, COGNOME, Rv 268644 – 01; Sez. 5, n. 4033 del 24/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267563 – 01; Sez. 1, n. 32851 del 10/06/2013, PMS, Rv. 256991 – 01; Sez. 1, n. 9411 del 07/01/2010, COGNOME, Rv. 246620 – 01).
Per un inquadramento di carattere generale si rinvia a quanto enucleato nelle sentenze Sez. 2, n. 36536 del 21/09/2011, COGNOME, Rv 251145 e Sez. 2, n. 46776 del 20/11/2012, COGNOME, Rv 254106.
2.2.2. L’art. 56 c.p., disciplina il tentativo nei delitti e, essendo una fatti autonoma rispetto al reato consumato (tra le tante, Sez. 2, n. 6337 del 14/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262580 – 01), richiede, come tutti i reati, la sussistenza sia dell’elemen soggettivo che oggettivo.
L’elemento soggettivo, con l’eccezione del dolo eventuale pacificamente ritenuto incompatibile con il tentativo, è identico quello previsto per il reato che il soggetto age si propone di compiere.
L’elemento oggettivo, invece, presenta spiccate peculiarità in quanto ruota intorno a tre concetti:
-l’idoneità degli atti;
-l’univocità degli atti;
-il mancato compimento dell’azione o il mancato verificarsi dell’evento.
La linea di demarcazione fra la semplice intenzione non punibile e quella punibile si snoda proprio attraverso l’esatta individuazione di questi principi.
Sebbene l’art. 56 c.p. sia l’unica norma che disciplini espressamente il tentativo, uti argomenti si possono trarre, ai fini sistematici, anche dall’art. 115 cod. pen. a norma de quale “qualora due o più persone si accordino allo scopo di commettere un reato e questo non sia commesso, nessuna di essa è punibile per il solo fatto dell’accordo”.
Tale norma, evidenzia, in modo plastico, infatti, il principio secondo il quale anche un semplice accordo a commettere un delitto (e, quindi, a fortiori, il semplice averlo pensato) non è punibile (salva l’applicazione della misura di sicurezza) ponendosi all’estremo opposto del delitto consumato.
E’ proprio fra questi due estremi, ossia fra la semplice ideazione o accordo (non punibile) ed il delitto consumato che si colloca la problematica del delitto tentato c consiste, appunto, nello stabilire quando un’azione, avendo superato la soglia della mera ideazione, pur non avendo raggiunto il suo scopo criminoso, dev’essere ugualmente punibile.
Il fondamento della punibilità del tentativo, d’altro canto, deve essere ravvisato nell esposizione a pericolo, o nella mancata neutralizzazione di un pericolo, per il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice e proprio alla luce di detto inquadramento devono essere pertanto valutati gli elementi essenziali della direzione non equivoca degli atti della loro idoneità, fondamenti strutturali del tentativo, necessari anche al fine di accert l’intenzione perseguita dall’autore e, quindi, la sussistenza dell’elemento psicologico (Sez 5, n. 4033 del 24/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267563 – 01).
La ritenuta idoneità degli atti, in sé e per sé considerata, peraltro, non è da so sufficiente ai fini della rilevanza penale della condotta, in quanto un atto, ontologicament può apparire ovvero essere potenzialmente idoneo a conseguire una pluralità di risultati,
per cui solo la sua univoca direzione a provocare proprio il risultato criminoso volut dall’agente si pone in linea con il principio di offensività del fatto.
Sotto tale profilo, pertanto, la direzione non equivoca non indica un parametro probatorio, bensì un criterio di essenza della condotta che, non escludendo che la prova del dolo possa essere desunta aliunde, impone che, una volta acquisita tale prova, sia effettuata una seconda verifica al fine di stabilire se gli atti posti in essere, valutat loro oggettività per il contesto nel quale si inseriscono, per la loro natura e la loro essen siano in grado di rivelare, secondo le norme di esperienza e secondo l’id quod plerumque accidit, l’intenzione, il fine perseguito dall’agente (Sez. 5, n. 4033 del 24/11/2015, de 2016, COGNOME, Rv. 267563 – 01; Sez. 1, n. 9411 del 07/01/2010, COGNOME, Rv. 246620 01).
2.2.3. Il concetto di idoneità degli atti prescinde dalla mancata realizzazion dell’evento e attiene alla possibilità che questo aveva di realizzarsi.
Il giudizio sul punto, infatti, consiste in una prognosi compiuta “ex post” co riferimento alla situazione che si presentava all’imputato al momento dell’azione, in base alle condizioni meramente prevedibili nel caso particolare, che non può essere condizionata dagli effetti realmente raggiunti (Sez. 2, n. 36311 del 12/07/2019, COGNOME, Rv. 277032 – 02; Sez. 1, n. 32851 del 10/06/2013, PMS, Rv. 256991 – 01)
Sotto tale profilo, pertanto, il criterio cui fare riferimento, non è costituito probabilità, più o meno concreta, che l’evento si verifichi ma dalla possibilità che c avvenga.
Ciò in quanto le eventuali difficoltà concrete che il soggetto agente dovesse trovare non rilevano per la sussistenza o meno del tentativo ma, anzi, ne costituiscono l’essenza, nel senso che ogni evento ha una maggiore o minore probabilità di verificarsi e che, proprio laddove non si dovesse verificare, saremo in presenza di un delitto tentato piuttosto che consumato.
Al fine di escludere il tentativo per inidoneità degli atti, pertanto, si deve riferimento alla possibilità che l’evento accada così che il discrimine è costituito da previsione di cui all’art. 49 cod. pen. per il reato c.d. impossibile.
Solo qualora l’evento non sia accaduto e questo non aveva alcuna possibilità di accadere, infatti, può ritenersi che il tentativo non sussista, a nulla rilevando s realizzazione o meno dell’evento stesso fosse, allorché la condotta è stata posta in atto, più o meno probabile, anche solo per incapacità dell’agente o per mere difficoltà oggettive (Sez. 1, n. 870 del 17/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278085 – 01; Sez. 1, n. 12407 del 30/09/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278902 – 01 nelle quali si è evidenziato che il tentativo è escluso solo dall’inefficienza strutturale o strumentale del mezzo usato o p l’inesistenza in rerum natura dell’oggetto dell’azione, cioè per circostanze oggettive che
rendono in radice impossibile la consumazione del reato; cfr. anche Sez. 1, n. 11928 del 29/11/2018. Dep. 2019, Commelli, Rv. 275012 – 01).
2.2.4. L’univocità degli atti è, come detto, l’ulteriore e imprescindibile caratteris oggettivamente qualificante della condotta nel delitto tentato.
Sotto tale profilo gli atti sono “diretti in modo non equivoco a commettere un delitto quando, in sé considerati, e quindi nella loro struttura ontologica, nonché per il contes nel quale si inseriscono, sono tali da rivelare, secondo le norme di esperienza e secondo l’id quod plerumque accidit, il fine perseguito dall’agente (Sez. 5, n. 4033 del 24/11/2015 dep. 2016, COGNOME, Rv. 267563 – 01).
Gli stessi, d’altro canto, ai fini della rilevanza penale e della punibilità del tent non possono essere in astratto distinti e classificati in atti preparatori e atti esec discrimine da ritenersi generico e superato, poiché quello che rileva è l’idoneità causale degli atti compiuti per il conseguimento dell’obiettivo delittuoso, nonché la univocità del loro destinazione, da apprezzarsi con valutazione ex ante in rapporto alle circostanze di fatto ed alle modalità della condotta (Sez. 5, Sentenza n. 7341 del 21/01/2015, COGNOME, Rv. 262768 – 01)
Ciò in quanto per la configurabilità del tentativo assumono rilievo non solo gli at esecutivi veri e propri, ma anche quelli che, pur classificabili come preparatori, siano qualche modo tipici, siano cioè corrispondenti, anche solo in minima parte, alla descrizione legale di una fattispecie delittuosa a forma libera o vincolata e, di conseguenza, facciano fondatamente ritenere che l’agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, potendosi così affermare che l’azione abbia significativa probabilità di conseguire l’obiettivo programmato e che il delitto s commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili, ed indipendenti dalla volontà d reo (ancora Sez. 5, n. 4033 del 24/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267563 – 01 per la quale espressamente «anche un atto così detto “preparatorio” può integrare gli estremi del tentativo punibile, purché abbia la capacità – in base ad una valutazione ex ante e relativamente alle circostanze del caso – di raggiungere il risultato prefisso e a tale risul sia univocamente diretto»; Sez. 2, n. 46776 del 20/11/2012, d’Angelo, Rv 254106).
Il requisito dell’univocità, infatti, prescindendo da ogni classificazione degli atti, essere accertato ricostruendo, sulla base delle prove disponibili, la direzione teleologic della volontà dell’agente quale emerge dalle modalità di estrinsecazione concreta della sua azione, allo scopo di identificare quale sia stato il risultato da lui avuto di mira, pervenire con il massimo grado di precisione possibile alla individuazione dello specifico bene giuridico aggredito e concretamente posto in pericolo (Sez. 1, n. 29101 del 18/06/2019, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 276401 – 02).
2.2.5. La verifica circa il dolo, proprio in virtù della mancata realizzazione dell’even appare particolarmente delicata e la riconoscibilità di un tentativo punibile impone la logic
e coerente individuazione di ‘segni esteriori’ della condotta che, in rapporto alle circostan del caso concreto, siano idonei, attraverso una catena inferenziale solida, di dedurre la presenza del necessario elemento psicologico.
Il dolo, infatti, è un fenomeno interiore (costituito dalla rappresentazione e da volontà della condotta e di determinare l’evento preso di mira) che si ricostruisc necessariamente in via indiziaria, attraverso la valorizzazione di indicatori fattuali cap di sostenere l’opzione ricostruttiva di sussistenza e di qualificazione dello stesso (Sez. n. 38343 del 24/04/2014, COGNOME, Rv. 261105 – 01 in cui si evidenzia che le difficoltà connesse alla dimostrazione di un dato “così poco estrinseco” come l’atteggiamento interiore non possono dar luogo a schemi presuntivi, ma postulano l’adozione di un ragionamento puramente indiziario «dovendosi inferire fatti interni o spirituali attraver un procedimento che parte dall’id quod plerumque accidit e considera le circostanze esteriori, caratteristiche del caso concreto, che normalmente costituiscono l’espressione o accompagnano o sono comunque collegate agli stati psichici»; in tal senso, da ultimo Sez. 1, n. 36697 del 18/4/2023, COGNOME, n.m.; Sez. 5, n. 20851 del 12/03/2021, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 281109 – 01 in motivazione e Sez. 1, n. 31449 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 254143 – 01).
2.2.6. L’analisi relativa alla ricorrenza del dolo nel tentato omicidio non de necessariamente approdare alla ricostruzione di un dolo specifico di tipo intenzionale, posto che il tentativo punibile è tale anche in presenza di dolo diretto di tipo alternat ferma restando la ritenuta incompatibilità tra tentativo punibile e dolo eventuale.
Secondo il principio risalente a Sez. U, n. 748 del 12/10/1993, dep. 1994, Cassata, Rv. 195804 – 01 in tema di elemento soggettivo del reato, possono individuarsi vari livelli crescenti di intensità della volontà dolosa e, quindi, nel caso di azione posta in essere co accettazione dell’evento, l’autore può manifestare una adesione di volontà, maggiore o minore, a seconda della considerazione effettuata in termini di effettiva e concreta probabilità di verificazione dell’evento.
Nel caso di evento ritenuto altamente probabile o certo, l’autore non si limita ad accettarlo come conseguenza accessoria ma di fatto lo vuole e ciò con un’intensità maggiore di quelle indicate in precedenza.
Se l’evento, oltre che accettato, è direttamente perseguito, d’altro canto, la volont si colloca in un ulteriore livello di gravità e può distinguersi al più tra un evento v come mezzo necessario per raggiungere uno scopo finale e un evento perseguito come scopo finale.
Il dolo, quindi, va qualificato come eventuale solo nel caso di accettazione dell’evento, mentre negli altri casi indicati va qualificato come dolo diretto e, nell’ipotesi in cui l’ è perseguito come scopo finale, come intenzionale.
In tale prospettiva ermeneutica, pertanto, per esservi dolo diretto di omicidio non è necessario che l’evento morte sia previsto e voluto come unica e certa conseguenza della condotta ma è sufficiente che detto evento sia previsto e voluto come conseguenza altamente probabile nell’ambito di una dinamica lesiva che includa anche, in via cumulativa e alternativa, l’evento di lesioni (da ultimo Sez. 1, n. 4773 del 13/10/2022, dep. 2023 Gueye, n.m.; Sez. 1, n. 29611 del 30/03/2022, L., Rv. 283375 – 01; Sez. 1, n. 16523 del 04/12/2020, dep. 2021, Romano, Rv. 281385 – 02; Sez. 5, n. 23618 del 11/04/2016, A., Rv. 266915 – 01; Sez. 1, n. 12954 del 29/01/2008, Li, Rv. 240275 – 01; Sez. 6, n. 1367 del 26/10/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv. 235789 – 01).
Il c.d. dolo alternativo, infatti, è dolo diretto in quanto espressione d atteggiamento volitivo che include, accanto a un primo evento preso di mira, un secondo evento altamente probabile che è quindi previsto anch’esso come scopo della condotta e non è per tale ragione meramente accettato come conseguenza accessoria o ulteriore (Sez. 1, n. 33435 del 30/3/2023, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 267 del 14/12/2011, dep. 2012. COGNOME, Rv. 252046 – 01).
La sottile linea di demarcazione che esiste tra il dolo diretto di tipo alternativo e il eventuale, quindi, va identificata di volta in volta facendo riferimento alle concr manifestazioni esteriori, prendendo in esame ogni indicatore rilevante dell’effettiv elemento psicologico dell’agente come, a titolo di esempio, nel tentato omicidio, la potenzialità dell’azione lesiva, desumibile dalla sede corporea attinta, dall’idonei dell’arma impiegata, nonché dalle modalità dello stesso atto lesivo (così Sez. 1, n. 24173 del 05/04/2022, COGNOME*, Rv. 283390 – 01; Sez. 1, n. 45332 del 02/07/2019, Pesce’ Rv. 277151 – 01).
2.2.7. Nel caso di specie la Corte territoriale si è correttamente conformata ai crite indicati.
I due giudici di merito, e da ultimo la Corte di appello, hanno dato conto dell’idoneit degli atti (l’utilizzo di un’ascia o di un coltello di grandi dimensioni) e anche dell’uni degli stessi (almeno due colpi reiterati, inferti con vigore e che non hanno avuto effet solo grazie alla pronta reazione della vittima) e pure, considerato il mezzo usato e l modalità complessive, della natura del dolo, quanto meno alternativo.
Del tutto irrilevanti, d’altro canto, risultano la scarsa lesività della ferita e il l’arma non sia stata rinvenuta.
Infatti.
La presenza o meno della ferita, attese le modalità complessiva della condotta, pure caratterizzata dalla predisposizione di un vero e proprio agguato, è un elemento neutro in ordine alla qualificazione giuridica del fatto nei termini del tentato omicidio in quanto reato è configurabile anche qualora la vittima non subisca alcuna lesione.
L’argomento difensivo che si fonda sul mancato ritrovamento dell’arma, a fronte del dimostrato utilizzo di un oggetto atto a offendere, munito di lama, e idoneo a provocare la morte della persona offesa, è privo di consistenza.
Nel terzo motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’art. 110 cod. pe quanto alla ritenuta esistenza di un contributo causale, efficace ed effettivo, a commissione del reato.
La doglianza, formulata peraltro in termini astratti, è manifestamente infondata.
La Corte territoriale, infatti, facendo specifico riferimento alla condotta tenut concreto dal ricorrente -ha attirato nel vicolo la vittima, l’ha distratta e trattenuta m NOME tentava di colpirla e l’ha seguita quando questa è riuscita a divincolarsi e scappare- ha dato pieno conto del contributo materiale fornito da NOME COGNOME e della sussistenza dell’elemento psicologico.
La motivazione così resa, con la quale il ricorrente omette di confrontarsi, è corretta e adeguata e non è pertanto sindacabile in questa sede.
Nel terzo motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME la difesa deduce la yiolazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’art. 99 cod. p quanto alla ritenuta sussistenza della recidiva, applicata in assenza totale di motivazione sul punto.
La doglianza non è consentita ai sensi dell’art. 606 comma 3 cod. proc. pen, e, comunque, è infondata.
4.1. La questione relativa al riconoscimento della recidiva, infatti, non aveva costitui oggetto di appello, tanto che questa non risulta nel riepilogo dei motivi di gravame contenuto nella sentenza impugnata che il ricorrente non contesta.
Come evidenziato da questa Corte (Sez. 2, n. 9028 del 5/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv 259066), d’altro canto, è inammissibile, per difetto di specificità del motivo ricorso per cassazione con cui si deducono violazioni di legge e vizi di motivazione se l’atto non procede alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di appello contenuto nella sentenza impugnata, qualora questa abbia omesso di indicare che l’atto di impugnazione proposto avverso la decisione del primo giudice aveva anch’esso già denunciato le medesime violazioni di legge. Nel caso di specie, il motivo è, pertanto, non consentito, perché le violazioni di legge che ne costituiscono oggetto sono state dedotte per la prima volta in questa sede, in violazione di quanto stabilito dall’art. 606, comma 3, c.p.p.: relative doglianze non risultano formulate tra i motivi di appello, come si evince anche da riepilogo degli stessi riportato nel provvedimento impugnato, ed è, comunque, generico perché l’odierno ricorrente, tenuto conto di quanto disposto dall’art. 606, comma 3, ultima
parte, cod proc. pen., e in virtù dell’onere di specificità dei motivi di ricorso per cassazi imposto dall’art. 581, comma 1, lett. C), cod. proc. pen., avrebbe avuto il dovere processuale di contestare specificamente, nell’odierno ricorso, il riepilogo dei motivi gravame operato dalla Corte di appello nella sentenza impugnata, se ritenuto incompleto o comunque non corretto, poiché la tempestiva deduzione della violazione di legge come motivo di appello costituisce requisito che legittima la riproposizione della doglianza cassazione e, pertanto, di ciò il ricorso, con la dovuta specificità, deve dar conto.
4.2. Sotto altro profilo, comunque, la censura è infondata.
A fronte della rilevata genericità dei motivi di appello relativi al trattam sanzionatorio, infatti, la risposta fornita dalla Corte territoriale facendo riferiment “pessima biografia penale” di NOME COGNOME appare adeguata e, pertanto, la motivazione sul punto non è sindacabile in questa sede.
Nel quarto motivo di entrambi i ricorsi, con argomenti nella sostanza sovrapponibili, la difesa deduce la violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Le doglianze, indicate in termini generici, sono manifestamente infondate.
La sentenza impugnata, con riferimento alla misura della pena inflitta agli imputati, peraltro calcolata nel minimo edittale, infatti, ha fatto buon governo della legge penale ha dato conto delle ragioni che hanno guidato, nel rispetto del principio di proporzionalit l’esercizio del potere discrezionale ex artt. 132 e 133 cod. pen. della Corte di merito, e c anche in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, tenuto conto, quanto a quest’ultimo aspetto, alla gravità dei fatti, alle modalità e ai mezzi delle condo delittuose, all’intensità del dolo, alla spiccata capacità a delinquere dimostrata da entramb alla totale assenza di resipiscenza.
Le censure mosse a tale percorso argomentativo che risulta lineare, pure in parte, orientate a sollecitare in questa sede una nuova e non consentita valutazione della congruità della pena, risultano inconferenti (Sez. Un. n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266818 – 01).
La sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62 bis cod. pen., d’altro canto, è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice co motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/20 Lule, RV. 259899 – 01; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, RV. 248244 – 01; n. 42688 del 24/09/ 2008, Caridi, RV 242419 – 01).
Il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale, deve quindi motivare nei sol limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento del pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Pertanto, il dini delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente fondato anche sull’apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo o soggettivo, che sia ritenuto prevalente rispetto ad altri, disattesi o superati da tale valutazione.
Il rigetto dei ricorsi comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna gli imputati al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 18 settembre 2024.