Tentato Omicidio: Quando l’Intenzione di Ferire Diventa Volontà di Uccidere
La distinzione tra lesioni personali aggravate e tentato omicidio rappresenta una delle questioni più delicate del diritto penale, poiché si basa sull’interpretazione dell’intenzione dell’aggressore. Con l’ordinanza n. 20915/2024, la Corte di Cassazione ribadisce i criteri per qualificare un’aggressione come tentato omicidio, ponendo l’accento sul concetto di dolo alternativo e sulla valutazione complessiva delle circostanze del fatto.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine da un’aggressione fisica durante la quale l’imputato ha inferto diverse coltellate alla vittima. Nei gradi di merito, il reato era stato qualificato come tentato omicidio, e non come semplici lesioni personali aggravate. L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando un vizio di motivazione da parte della Corte d’Appello riguardo a tale qualificazione giuridica. Secondo la difesa, non vi era prova della volontà di uccidere, ma solo di ferire.
L’analisi della Corte sul Tentato Omicidio
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e quindi inammissibile. I giudici hanno chiarito che le argomentazioni della difesa non erano altro che “doglianze di fatto”, ovvero un tentativo di rimettere in discussione la ricostruzione degli eventi già accuratamente vagliata dalla Corte d’Appello. La Cassazione non può riesaminare i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione della legge.
La Configurazione del Dolo Alternativo nel Tentato Omicidio
Il punto centrale della decisione riguarda la corretta identificazione dell’elemento soggettivo del reato. La Corte d’Appello aveva correttamente evidenziato una serie di elementi oggettivi che, nel loro insieme, rendevano palese l’intenzione omicida, quantomeno nella forma del dolo alternativo. Questo significa che l’aggressore, pur non avendo come unico scopo la morte della vittima, ha agito accettando tale evento come una possibile e indifferente conseguenza della sua condotta.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha ritenuto la motivazione della sentenza impugnata logica e completa. Gli elementi valorizzati per configurare il tentato omicidio sono stati:
1. La reiterazione dei colpi: L’aggressore non si è fermato a un singolo fendente.
2. L’idoneità dell’arma: È stato utilizzato un coltello con una lama di venti centimetri, un’arma con un’elevata potenzialità letale.
3. La zona corporea colpita: I colpi sono stati inferti alla schiena, in una regione che, secondo nozioni di comune conoscenza anatomica, ospita organi vitali come cuore e polmoni.
4. La potenzialità letale della ferita: I medici avevano confermato che la ferita era astrattamente idonea a provocare la morte.
5. Le minacce verbali: L’aggressore aveva esplicitamente manifestato alla vittima e ai suoi congiunti l’intenzione di ucciderla.
La Corte ha inoltre specificato che il fatto che le ferite non siano risultate mortali non è dipeso da una scelta consapevole dell’imputato, ma da cause indipendenti dalla sua volontà. L’insieme di queste circostanze è stato considerato sintomatico della volontà alternativa di uccidere o, quantomeno, di ferire gravemente, accettando indifferentemente entrambi gli esiti.
Conclusioni
Questa ordinanza riafferma un principio consolidato: per distinguere le lesioni dal tentato omicidio non è necessaria la prova di un’unica e diretta volontà di uccidere (dolo diretto). È sufficiente che dalle circostanze oggettive emerga il cosiddetto dolo alternativo. L’analisi combinata dell’arma usata, della parte del corpo attinta, della violenza dei colpi e delle parole pronunciate permette al giudice di desumere che l’agente ha agito accettando il rischio concreto di cagionare la morte della vittima. La decisione, pertanto, respinge il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Quali elementi distinguono il tentato omicidio dalle lesioni personali aggravate secondo questa ordinanza?
La distinzione si basa su una serie di fattori oggettivi: l’idoneità dell’arma a uccidere (un coltello con lama di 20 cm), la zona del corpo colpita (una regione con organi vitali), le minacce di morte proferite e il fatto che la mancata uccisione sia dipesa da cause indipendenti dalla volontà dell’aggressore.
Cosa si intende per ‘dolo alternativo’ nel contesto di questo caso?
Il ‘dolo alternativo’ si configura quando l’aggressore agisce con la volontà di uccidere o, in alternativa, di ferire gravemente la vittima, accettando indifferentemente entrambi i possibili esiti della sua azione.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure sollevate erano ‘doglianze di fatto’, ovvero contestazioni sulla ricostruzione degli eventi, che non possono essere valutate in Cassazione. Inoltre, erano una mera riproposizione di argomenti già esaminati e respinti dalla Corte d’Appello.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20915 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20915 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BENEVENTO DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 02/10/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Rilevato in fatto e considerato in diritto
Ritenuto che le censure dedotte nel ricorso di NOME COGNOME – nel quale il difensore si duole del vizio di motivazione in relazione alla riqualificazione del fatto commesso da lesioni personali aggravate in tentato omicidio – oltre a non essere consentite, risolvendosi in doglianze di fatto, sono manifestamente infondate.
Considerato, inoltre, che tali doglianze sono meramente riproduttive di profili di censura già adeguatamente vagliati dalla sentenza impugnata. In essa, invero, si fa riferimento alla reiterazione dei colpi inferti, alla idoneità dell’arma a cagionare la morte (trattandosi di un coltello con lama di venti centimetri), alla valutazione dei medici circa la potenzialità astrattamente letale della ferita, inferta in una regione corporea che contiene organi vitali, e, infine, alle frasi – riferite sia dalla p.o. che d suoi congiunti – con cui il ricorrente manifestava alla persona offesa l’intenzione di ammazzarla. Si evidenzia, inoltre, che il carattere non letale delle ferite non dipese da una deliberazione consapevole di COGNOME, bensì da cause indipendenti dalla sua volontà, e che i mezzi e le circostanze dell’azione – atteso che il ricorrente colpiva alla schiena NOME e che l’ubicazione dei polmoni e del cuore all’interno della cassa toracica costituisce comune nozione di anatomia – erano idonei a cagionarne la morte, oltre che sintomatici della volontà alternativa di uccidere o ferire gravemente la persona offesa, accettando indifferentemente entrambi gli eventi (dolo alternativo).
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 9 maggio 2024.