Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 9266 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 9266 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Milano il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza della Corte di appello di Milano del 17/0412023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta rassegnata, ai sensi dell’art. 23 d.l. n. 137 del 2020 succ. modd., dal Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Milano ha confermato integralmente quella pronunciata dal Tribunale della stessa città il giorno 14 settembre 2022, con la quale NOME COGNOME era stato dichiarato colpevole dei reati di tentato omicidio e tentato incendi() (commessi in Milano il 3 gennaio 2022), con le attenuanti generiche ritenute equivalenti rispel:to alla contestata aggravante della premeditazione, ed era stato condannato alla pena di anni sette e mesi nove di reclusione.
1.1. Le imputazioni riguardavano i seguenti fatti; 1) delitto previsto e punito dall’art.423 cod. pen. (poi riqualificato dal Tribunale come tentativo) perché, in concorso con NOME COGNOME (giudicato separatamente), recandosi alle ore 02:00 del mattino presso l’abitazione di NOME COGNOME – soggetto portatore di disabilità motoria – bloccando con uno stendino la porta del laboratorio dove dormiva unitamente a NOME COGNOME, versando benzina all’interno di un pentolino legato allo stendino, dandovi fuoco al punto che lo stesso si propagava alla porta di ingresso del laboratorio, a sacchi di plastica pieni di indumenti presenti all’interno e faceva esplodere dei vetri, cagionava un incendio; in Milano il 3 gennaio 2022; 2) delitto previsto e punito dagli artt. 110,56,575, 577 cod. pen. perché, in concorso con NOME COGNOME (giudicato separatamente), recandosi alle ore 02:00 del mattino presso l’abitazione di NOME COGNOME soggetto portatore di disabilità motoria – appiccando di cui al capo 1), bloccando l’unica porta di accesso all’abitazione con uno stendino D er impedire agli occupanti di uscire, provocando ad NOME COGNOME ustioni, c:ompiva atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare la morte di NOME COGNOME e NOME COGNOME, che ivi stavano dormendo, mediante soffocamento e carbonizzazione, non riuscendo nell’intento per cause indipendenti dalla sua volontà (presenza fortuita di NOME COGNOME che riusciva a domare le fiamme); in Milano il 3 gennaio 2022. Oggetto della originaria imputazione era anche il reato di minaccia aggravata, per la quale il Tribunale di Milano aveva dichiarato non doversi procedere per difetto di querela. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.3. La Corte di appello di Milano, come visto, ha integralmente confermato la sentenza di primo grado ritenendo infondato il gravame proposto dall’imputato; in particolare, ha osservato che – come confermato dal vigile del fuoco NOME
2 COGNOME
· COGNOME COGNOME in sede di esame testimoniale – le fiamme si erano diffuse anche lungo superfici non ignifughe tanto che avevano raggiunto il primo piano dell’edificio, di talché in assenza di interventi le fiamme stesse avrebbero divampato irrefrenabilmente assumendo proporzioni tali da non potere essere domate, con il conseguente pericolo per un numero indeterminato di persone. COGNOME e COGNOME erano riusciti ad utilizzare una manichetta d’acqua che aveva loro consentito spegnere l’incendio quando era ancora in una fase intermedia; inoltre, lo stesso COGNOME – pur cercando di sminuire l’azione e le sue conseguenze aveva ammesso di avere buttato della benzina per terra che aveva provocato una fiammata.
Le fiamme erano entrate all’interno dell’appartamento come riferito da COGNOME in sede testimoniale e confermato dalle ustioni dal medesimo riportate; lo stesso testimone aveva confermato che, in quanto disabile, non sarebbe riuscito ad aprire l’acqua alla quale era collegata la manichetta (posta dietro la lavatrice), che infatti era stata attivata dalla convivente. Sulla base di tal elementi complessivamente valutati, quindi, la Corte territoriale ha ritenuto sussistenti gli elementi tipici del tentato incendio poiché l’imputato aveva agito allo scopo di dare fuoco agli occupanti dell’alloggio, come peraltro da lui stesso minacciato il giorno precedente nel corso di conversazioni (delle quali sono stati acquisiti i relativi files audio) nelle quali poteva udirsi chiaramente COGNOME minacciare di dare fuoco a COGNOME.
Analogamente è stata confermata la sussistenza del tentato omicidio per la idoneità ed univocità degli atti a provocare la morte degli occupanti dell’appartamento dato che gli imputati, dopo avere profferito le minacce di dare fuoco alla persona offesa, avevano bloccato l’unica via di uscita con lo stendino e che le fiamme avrebbero costituito una ulteriore barriera tenuto anche conto della condizione di disabile di COGNOME, ben conosciuta da COGNOME che lo frequentava da tempo.
Quanto poi all’aggravante della premeditazione la Corte distrettuale ha osservato che essa doveva essere confermata poiché l’imputato aveva espressamente minacciato di ‘dare fuoco’ ad NOME COGNOME nel pomeriggio del giorno precedente mentre il fatto era avvenuto molte ore dopo, durante le quali COGNOME aveva mantenuto il proprio proposito, dimostrando una perdurante
3 COGNOME
determinazione, aveva elaborato e predisposto un piano decidendo di agire nelle ore notturne, procurandosi il pentolino e la benzina.
Avverso la predetta sentenza NOME COGNOME, per mezzo dell’AVV_NOTAIO, ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art.173 disp. att. cod. proc. p insistendo per l’annullamento del provvedimento impugnato.
2.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art.56 cod. pen. ed il relativo vizio d motivazione rispetto alla affermazione della penale responsabilità per il delitto di tentato omicidio; al riguardo osserva che erroneamente è stato ritenuto dimostrato il c.d. ‘animus necandi’ sulla base del posizionamento dello stendino in maniera tale da ostacolare l’apertura della porta dell’abitazione agli occupanti, poiché esso era stato determinato soltanto dalla volontà di posizionare al meglio il pentolino contenente la benzina.
2.2. Con il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione dell’art.576 n.2 cod. pen. rispetto alla ritenuta sussistenza dell’aggravante della premeditazione, osservando che quando egli era uscito di casa per andare ad appiccare il fuoco all’abitazione non aveva portato con sé lo stendino o alcun altro strumento idoneo a bloccare la porta, di talché se anche vi era la volontà di bloccare la porta, la relativa decisione era stata presa al momento del fatto con la conseguente esclusione della contestata aggravante.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso (che non ha investito il capo riguardante l’accertata responsabilità per il delitto di tentato incendio) è manifestamente infondato e, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Anzitutto deve ricordarsi che, in tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del devolutum in caso di cosiddetta “doppia conforme” (come nel caso di specie,
rispetto ai reati di tentato incendio e di tentato omicidio aggravato dalla premeditazione) e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (ex multis Cass. Sez. 5, Sentenza n.48050 del 02/07/2019, Rv. 277758).
2.1. Orbene, come chiarito in seguito, le critiche esposte dal ricorrente riguardano profili in fatto, coerentemente scrutinati nel corpo della decisione impugnata e la cui riproposizione è tesa – in tutta evidenza – ad una rivalutazione del peso dimostrativo degli elementi di prova. In tal senso, quindi il ricorso finisce con il proporre argomenti di merito la cui rivalutazione è preclusa in sede di legittimità.
2.2. E’ costante, infatti, l’ insegnamento di questa Corte per cui il sindacato sulla motivazione del provvedimento impugnato va compiuto attraverso l’analisi dello sviluppo motivazionale espresso nell’atto e della sua interna coerenza logico-giuridica, non essendo possibile compiere in sede di legittimità «nuove» attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi e ciò anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente esplicativa (si veda, ex multis, Sez. VI n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178). Così come va ribadito che l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ()culi, dovendo il sindacato di legittimità a riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento ( Sez. U., n. 24 del 24/11/1999 Rv. 214794; Sez. U., n. 47289 del 24/09/2003 Rv. 226074). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Fatta questa premessa si osserva che i fatti sono stati ricostruiti, sulla base delle risultanze dell’istruttoria dibattimentale e dell’acquisizione (avvenuta con il consenso delle parti) delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME e degli atti di investigazione compiuti nel corso delle indagini preliminari, da entrambi i giudici di merito nei seguenti termini.
3.1. Alle ore 21:05 del 2 gennaio 2022 NOME COGNOME aveva chiamato il numero di emergenza NUMERO_TELEFONO e, dopo avere premesso di essere disabile costretto
sulla sedia a rotelle, aveva segnalato che vi erano delle persone, rintracciabili in INDIRIZZO in Milano, che continuavano a minacciare lui e la sua compagna NOME COGNOME. Successivamente, alle ore 02:17 del giorno successivo, NOME COGNOME aveva contattato nuovamente il NUMERO_TELEFONO chiedendo l’intervento dei vigili del fuoco dichiarando che vi era stato un tentativo di bruciare vivi lui e l sua compagna in casa.
3.2. I militari della stazione dei Carabinieri di Affori si erano quindi recati assieme ai vigili del fuoco, presso l’abitazione di COGNOME sita in INDIRIZZO, dove avevano accertato che la porta di ingresso dell’abitazione era stata bloccata dall’esterno mediante uno stendino fissato trasversalmente alle inferriate della porta stessa, che era anche l’unica via di accesso e di uscita. Sullo stendino era stato posizionato un pentolino (emanante un forte odore di benzina) che conteneva materiale infiammabile poi incendiato, che aveva provocato evidenti segni di annerimento all’interno della casa. Gli operanti avevano anche accertato che l’abitazione, posta al piano terra, aveva le finestre dotate di inferriate fisse, cosicchè, bloccando la porta di ingresso, era stato impedito agli occupanti di fuggire, con il rischio di provocarne la morte o con le fiamme o mediante l’inalazione dei fumi della combustione; inoltre, l’azione aveva provocato il concreto pericolo di un incendio dl notevoli dimensioni poiché, sopra il punto ove era stato posizionato il pentolino, vi era una conduttura del gas metano ed il contatore si trovava in prossimità della porta incendiata.
Ad NOME COGNOME, trasportato presso il pronto soccorso, erano state riscontrate due ulcere da ustioni alla caviglia, giudicate guaribili in cinque giorni.
3.3. A seguito delle informazioni acquisite dalle persone offese le attività di indagine si erano indirizzate sin da subito nei confronti di tali NOME (poi identificato in NOME COGNOME) e NOME (identificato in NOME COGNOME) i quale, alle ore 20:49 del 2 gennaio 2022, avevano inviato alcuni files audio a COGNOME, tramite l’applicazione WhatsApp, nei quali si potevano sentire delle minacce da parte di COGNOME e COGNOME di dare fuoco a COGNOME, a causa dei dissapori con la persona offesa per una presunta relazione intercorsa tra la COGNOME ed il COGNOME nonché per il tentativo di incendiare l’auto di quest’ultimo che avrebbe posto in essere la donna. Inoltre, a seguito della acquisizione dei filmati delle telecamere di sorveglianza esistenti in zona, era stato possibile notare
6 COGNOME
/}t
intorno alle ore 02:05 del 3 gennaio 2022, presso il distributore di INDIRIZZO, due soggetti che avevano riempito una busta con della benzina, che alle 02:11 erano poi transitati in INDIRIZZO per poi accedere alle ore 02:19 nel condominio di INDIRIZZO per poi allontanarsi intorno alle ore 02:20. Il successivo 5 gennaio 2022 COGNOME era stato identificato da militari della stazione dei Carabinieri di Affori, con gli stessi indumenti (compreso un borsello) ripresi dalle telecamere di sorveglianza.
Ciò posto, rispetto al primo motivo del ricorso, deve ric:ordarsi che, come da questa Corte ripetutamente affermato (Sez. 1, n. 3500E, del 18/04/2013, COGNOME, Rv. 257208; Sez. 1, n. 30466 del 07/07/2011, COGNOME, Rv. 251014; Sez. 1, n. 39293 del 23/09/2008, COGNOME, Rv. 241339), rispetto all’omicidio tentato la prova del c.d. ‘animus necandi’, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell’imputato, ha natura indiretta, dovendo essere desunta da elementi esterni e, in particolare, da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più adatti ad esprimere il fine perseguito dall’agente; in quest’ottica assume valore determinante l’idoneità dell’azione, che va apprezzata in concreto, con una prognosi postuma riferita alla situazione che si presentava all’agente sul momento, in base alle condizioni umanamente prevedibili.
4.1. Da tale corretto approccio ermeneutico la Corte di appello di Milano non si è discostata avendo ritenuto, in modo non manifestamente illogico, dimostrato l’elemento psicologico sulla base di elementi, quali la potenzialità offensiva del liquido utilizzato (benzina) e l’apposizione dello stendino in modo tale da bloccare l’unica via di uscita dell’appartamento di NOME COGNOME affetto da disabilità motoria (come ben conosciuto dall’imputato) e quindi impossibilitato ad una eventuale fuga in caso di sviluppo delle fiamme.
4.2. A ragione, infine, si è escluso che l’entità delle lesioni subite dalla persona offesa – così come il fatto che questa non si sia trovata, in concreto, in pericolo di vita – fossero circostanze idonee ad influire sulla valutazione della volontà omicida (Cass. Sez. 1, n. 52043 del 10/6/2014, Vaghi, Rv. 261702).
Manifestamente infondato risulta anche il secondo motivo; al riguardo va ricordato che la necessità di identificare una linea di demarcazione, tra mera ‘preordinazione e circostanza aggravante della premeditazione (aspetto che
richiama la particolare intensità del dolo), è – in linea di principio – esigenza condivisa dal Collegio. Questa Corte di legittimità ha, per il vero, più volte espresso principi tesi a delineare una precisa linea di confine tra la semplice preordinazione (di un reato doloso come l’omicidio volontario) e la circostanza aggravante della premeditazione. Tale linea interpretativa – cui il Collegio presta adesione – è stata espressa con particolare chiarezza da Sez. 1 n. 47250 del 09/11/2011, Rv. 251503 (in tema di omicidio volontario, non è sicuro indice rivelatore della premeditazione, che si sostanzia in una deliberazione criminosa coltivata nel tempo e mai abbandonata, l’intervallo di una notte tra la preparazione e l’esecuzione, sì come non possono trarsi elementi di certezza dalla predisposizione di un agguato, perché ciò attiene alla realizzazione del delitto e non è sufficiente a dimostrare l’esistenza di quel processo psicologico di intensa riflessione e di fredda determinazione che caratterizza la indicata circostanza aggravante), nonché, più di recente, da Sez. 1 n. 5147 del 14/07/2015, Rv. 266205 (in tema di omicidio, la mera preordinazione del delitto – intesa come apprestamento dei mezzi minimi necessari all’esecuzione, nella fase a questa ultima immediatamente precedente – non è sufficiente ad integrare l’aggravante della premeditazione, che postula invece il radicamento e la persistenza costante, per apprezzabile lasso di tempo, nella psiche del reo del proposito omicida, del quale sono sintomi il previo studio delle occasioni ed opportunità per l’attuazione, un’adeguata organizzazione di mezzi e la predisposizione delle modalità esecutive).
5.1. Nel caso in esame il riconoscimento della circostanza aggravante della premeditazione, con scissione del momento ideologico e di quello cronologico, è stato logicamente motivato dalla Corte di appello di Milano, in rapporto al complessivo esame delle evidenze probatorie e, in particolare, del significativo lasso di tempo trascorso dalle minacce intervenute nel pomeriggio, nel corso del quale l’imputato aveva mantenuto la propria determinazione ed aveva anzi pianificato l’ azione che avrebbe posto in essere varie ore dopo, procurandosi il pentolino e la benzina. Quindi le sopra indicate caratteristiche del fatto, nella sua intera elaborazione, dimostrano come l’attività delittuosa si sia articolata in un arco temporale apprezzabile, durante il quale il ricorrente avrebbe avuto modo di recedere dal proposito criminoso, cosa che non è invece avvenuta.
Pertanto l’impugnazione, pur lamentando la violazione di legge ed il viz di motivazione, suggerisce complessivamente una non consentita lettura alternativa degli elementi processuali coerentemente valutati dalla Cor territoriale
7.11 ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sommadi tremila euro i favore della Cassa delle ammende, non esulando profili di colpa nell presentazione del ricorso (v. Corte costituzionale, sent. 13 giugno 2000, 186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle sp processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2023.