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Tentato omicidio con premeditazione: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per tentato omicidio con premeditazione nei confronti di un uomo che aveva appiccato un incendio bloccando l’unica via di fuga della vittima, una persona con disabilità. La Corte ha ritenuto provato l’intento omicida dalla scelta delle modalità e l’aggravante della premeditazione dal lasso di tempo tra la minaccia e l’azione, durante il quale l’imputato ha pianificato il delitto.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentato omicidio con premeditazione: la Cassazione conferma la condanna

Con la sentenza n. 9266 del 2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di tentato omicidio con premeditazione, fornendo importanti chiarimenti sui criteri per valutare l’intento omicida (animus necandi) e l’aggravante della premeditazione. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per aver tentato di uccidere un uomo con disabilità motoria, dando fuoco alla sua abitazione dopo averne bloccato l’unica via d’uscita.

I Fatti di Causa

I fatti risalgono al 3 gennaio 2022, quando, nel cuore della notte, l’imputato e un complice si sono recati presso l’abitazione della vittima, un soggetto con disabilità motoria. Dopo aver bloccato dall’esterno l’unica porta di accesso con uno stendino, hanno versato benzina in un pentolino posizionato sullo stesso e hanno appiccato il fuoco.

Le fiamme si sono propagate rapidamente alla porta e a materiali infiammabili presenti all’interno, causando ustioni alla vittima. La tragedia è stata evitata solo grazie all’intervento della convivente della vittima, che è riuscita a domare l’incendio. Le indagini hanno rivelato che il gesto era stato preceduto, il giorno prima, da esplicite minacce di ‘dare fuoco’ alla vittima, inviate tramite messaggi audio. L’imputato è stato condannato in primo e secondo grado per tentato omicidio aggravato dalla premeditazione e tentato incendio.

La Decisione della Corte sul tentato omicidio con premeditazione

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione lamentando due principali violazioni di legge:
1. Errata valutazione dell’intento omicida: secondo la difesa, l’uso dello stendino era finalizzato solo a posizionare il contenitore di benzina e non a bloccare la fuga, escludendo quindi la volontà di uccidere.
2. Insussistenza della premeditazione: la difesa sosteneva che la decisione di bloccare la porta fosse stata presa sul momento, mancando quindi il requisito della pianificazione tipico dell’aggravante.

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambe le argomentazioni, dichiarando il ricorso manifestamente infondato.

L’Animus Necandi: l’intento di uccidere

La Corte ha ribadito che, in assenza di una confessione, l’ animus necandi deve essere desunto da elementi esterni e oggettivi della condotta. Nel caso specifico, i giudici hanno considerato come prova inequivocabile della volontà omicida:
* L’uso di un liquido altamente infiammabile come la benzina.
* L’aver appiccato il fuoco di notte, mentre le vittime dormivano.
* L’aver bloccato l’unica via di uscita di un’abitazione con inferriate alle finestre.
* La piena consapevolezza della condizione di disabilità motoria della vittima, che le avrebbe impedito una fuga rapida.

La Corte ha sottolineato che l’entità delle lesioni effettivamente riportate dalla vittima è irrilevante per la configurazione del tentato omicidio, che si valuta sulla base dell’idoneità dell’azione a causare la morte.

La conferma dell’aggravante della premeditazione

Anche riguardo al secondo motivo di ricorso, la Cassazione ha ritenuto corretta la valutazione dei giudici di merito. La premeditazione non è una semplice preparazione del delitto, ma richiede due elementi: uno psicologico (il radicamento di un proposito criminoso persistente) e uno cronologico (un apprezzabile lasso di tempo tra la decisione e l’azione).

Nel caso in esame, il significativo intervallo di tempo tra le minacce proferite nel pomeriggio e l’esecuzione del crimine, avvenuta molte ore dopo, ha dimostrato che l’imputato non ha agito d’impeto. Al contrario, ha mantenuto fermo il suo proposito, pianificando l’azione notturna e procurandosi il necessario (benzina e pentolino) per attuarla. Questo processo, secondo la Corte, integra pienamente la circostanza aggravante del tentato omicidio con premeditazione.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Suprema Corte si fondano sul principio che il giudizio di legittimità non può trasformarsi in una nuova valutazione dei fatti, ma deve limitarsi a verificare la correttezza logico-giuridica del ragionamento seguito dai giudici di merito. In questo caso, sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano ricostruito la vicenda in modo coerente, basando la condanna su elementi di prova solidi.

La Corte ha evidenziato come le modalità scelte per l’aggressione – appiccare il fuoco all’unica uscita di un’abitazione occupata da una persona con difficoltà motorie – fossero oggettivamente e inequivocabilmente dirette a causare la morte degli occupanti, non lasciando spazio a interpretazioni alternative. Allo stesso modo, il tempo trascorso tra le minacce e l’attentato, unito alla preparazione dei mezzi, ha logicamente portato a confermare l’aggravante della premeditazione, intesa come fredda e persistente determinazione a delinquere.

Le Conclusioni

La sentenza in commento consolida l’orientamento giurisprudenziale in materia di tentato omicidio con premeditazione. La Corte di Cassazione ribadisce che per accertare l’intento di uccidere è necessario un esame complessivo delle circostanze oggettive dell’azione, valorizzando la loro potenzialità lesiva. Per quanto riguarda la premeditazione, viene confermata la distinzione con la mera preordinazione, richiedendo una deliberazione criminosa consolidata nel tempo, tale da dimostrare una maggiore intensità del dolo e una più spiccata pericolosità sociale dell’agente. La decisione, dichiarando inammissibile il ricorso, ha reso definitiva la condanna dell’imputato.

Come si dimostra l’intento di uccidere (animus necandi) in un tentato omicidio?
Secondo la sentenza, in assenza di ammissioni, l’intento di uccidere si desume da elementi esterni e oggettivi della condotta. Nel caso specifico, elementi decisivi sono stati l’uso di benzina, l’aver bloccato l’unica via di fuga di una persona con disabilità nota all’aggressore e l’aver agito di notte mentre le vittime dormivano. Questi fattori dimostrano che l’azione era inequivocabilmente idonea a causare la morte.

Cosa distingue la premeditazione dalla semplice preparazione di un reato?
La premeditazione è un’aggravante che richiede non solo la preparazione dei mezzi (preordinazione), ma anche due elementi specifici: un elemento psicologico, cioè un proposito criminoso radicato e persistente, e un elemento cronologico, ossia un apprezzabile lasso di tempo tra la decisione e l’esecuzione. In questo caso, le minacce fatte il pomeriggio e l’azione compiuta molte ore dopo, di notte, hanno dimostrato questa persistenza del proposito criminale.

Il fatto che la vittima abbia riportato solo lievi ferite esclude il tentato omicidio?
No. La sentenza chiarisce che l’entità delle lesioni subite dalla vittima o il fatto che non si sia trovata in concreto pericolo di vita sono circostanze irrilevanti per la configurazione del reato di tentato omicidio. Ciò che conta è la valutazione, fatta a posteriori (prognosi postuma), dell’idoneità dell’azione a provocare la morte secondo le condizioni prevedibili al momento del fatto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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