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Tentato omicidio: come si prova l’intento di uccidere

La Cassazione conferma una condanna per tentato omicidio, respingendo il ricorso dell’imputato che chiedeva la riqualificazione in lesioni. La Corte ha stabilito che l’intento di uccidere (animus necandi) è stato correttamente desunto dall’arma usata, dal numero di fendenti e dalle zone vitali colpite, rendendo irrilevante la superficialità di alcune ferite o la mancata fuga dopo il fatto.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentato Omicidio: Quando l’Intento di Uccidere è Inequivocabile

La distinzione tra tentato omicidio e lesioni aggravate è una delle questioni più delicate del diritto penale. Come si può determinare con certezza l’intenzione di un aggressore? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 19450/2025) offre un’analisi chiara e rigorosa degli elementi oggettivi che i giudici devono valutare per accertare il cosiddetto animus necandi, ovvero l’intento di uccidere. Il caso esamina un’aggressione con un coltello, fornendo principi fondamentali per la qualificazione giuridica del fatto.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da due episodi avvenuti nella stessa notte. Nel primo, l’imputato e il suo gruppo aggredivano senza motivo un addetto alla vigilanza di un esercizio commerciale in una stazione di Milano. Poco dopo, nelle prime ore del mattino, lo stesso gruppo si rendeva protagonista di una seconda e più grave aggressione in una piazza della città. L’imputato, in concorso con altri, colpiva una vittima con quattro fendenti sferrati con un coltello, attingendola due volte alla schiena, una al torace e una alla gamba. Durante l’aggressione, la vittima veniva anche spintonata con violenza contro un albero, riportando la frattura dello zigomo. Un’altra persona, intervenuta in difesa della vittima, veniva a sua volta colpita con calci e pugni dagli altri membri del gruppo.

Il Percorso Giudiziario e i Motivi del Ricorso

Nei primi due gradi di giudizio, l’imputato veniva condannato per tentato omicidio pluriaggravato, porto abusivo d’arma e altre imputazioni, con una pena di quattordici anni di reclusione. I giudici di merito escludevano la possibilità di qualificare il fatto come semplici lesioni aggravate, basandosi sulla ricostruzione offerta dalla vittima e ritenendo infondata l’ipotesi difensiva di un coinvolgimento in una rissa. L’imputato, tramite il suo difensore, presentava quindi ricorso per Cassazione, contestando la qualificazione del reato come tentato omicidio. La difesa sosteneva che mancasse la prova della volontà di uccidere, evidenziando l’assenza di un movente, la presunta superficialità dei colpi e il comportamento tenuto dopo l’aggressione, poiché l’imputato e i suoi complici si erano allontanati con calma, senza fuggire. Si lamentava inoltre il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la decisione della Corte d’Appello. Le motivazioni della Suprema Corte sono fondamentali per comprendere come si accerta l’intento omicidiario.

La Prova del Tentato Omicidio

La Corte ha ribadito che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti, ma di verificare la correttezza logica e giuridica della motivazione della sentenza impugnata. In questo caso, i giudici di merito avevano correttamente valorizzato una serie di elementi oggettivi per dimostrare l’animus necandi:
1. La Pericolosità dell’Arma: L’aggressore ha utilizzato un coltello a scatto con una lama di circa sette centimetri, un’arma intrinsecamente idonea a uccidere.
2. Il Numero dei Colpi: Sono stati inferti quattro fendenti, a cui si aggiungono altri colpi “andati a vuoto”. La reiterazione dell’azione violenta è un chiaro indice della determinazione dell’aggressore.
3. Le Zone Corporee Colpite: I colpi sono stati diretti verso distretti corporei vitali come la schiena e il torace. La sentenza sottolinea la presenza di “una ferita penetrante all’emitorace sinistra”, che da sola evidenzia la gravità dell’azione.
4. L’Irrilevanza della Mancata Fuga: La difesa aveva evidenziato che l’aggressore non era fuggito. La Corte ha ritenuto tale circostanza non solo irrilevante, ma addirittura indicativa di una “freddezza paragonabile a quella dei delinquenti professionali”, dimostrando la totale assenza di turbamento per l’atto appena compiuto.

Il Diniego delle Attenuanti Generiche

La Corte ha inoltre confermato il diniego delle circostanze attenuanti generiche. I giudici hanno sottolineato la personalità negativa dell’imputato, la gravità della condotta e il compiacimento mostrato per il possesso di armi e denaro, emerso da indagini sui suoi profili social e dispositivi elettronici. Questi elementi, secondo la Corte, prevalgono su qualsiasi valutazione positiva del comportamento successivo al reato, giustificando una pena severa.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio cardine: per distinguere il tentato omicidio dalle lesioni aggravate, l’analisi non può basarsi su elementi soggettivi o ipotetici come il movente o il pentimento, ma deve fondarsi su dati oggettivi e inequivocabili. La natura dell’arma, la quantità, la direzione e la violenza dei colpi inferti sono gli indicatori principali della volontà di uccidere. La Corte di Cassazione, con questa pronuncia, rafforza l’orientamento secondo cui il giudice di merito ha il compito di ricostruire la volontà criminale attraverso un’attenta lettura della dinamica dell’azione, e tale valutazione, se logicamente motivata, non può essere messa in discussione in sede di legittimità.

Come distinguono i giudici il tentato omicidio dalle lesioni aggravate?
I giudici valutano una serie di elementi oggettivi per accertare l’intento di uccidere (animus necandi). Secondo la sentenza, gli indicatori cruciali sono: la natura e la potenzialità lesiva dell’arma utilizzata, il numero di colpi inferti, le zone del corpo colpite (in particolare se vitali come torace e schiena) e la violenza dell’azione nel suo complesso.

Il comportamento dell’aggressore dopo il fatto, come la mancata fuga, può escludere l’intento di uccidere?
No. La sentenza chiarisce che la mancata fuga non è un elemento sufficiente per escludere il tentato omicidio. Anzi, nel caso specifico, è stata interpretata come un segno di freddezza e spregiudicatezza criminale, piuttosto che come un’indicazione di un’intenzione meno grave.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare i fatti per ottenere una qualificazione del reato più favorevole?
No, il ricorso per Cassazione non può essere utilizzato per proporre una nuova ricostruzione dei fatti o una diversa valutazione delle prove. La Corte di Cassazione si limita a controllare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione della sentenza impugnata, senza entrare nel merito della vicenda.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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