Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 13312 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 13312 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 12/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/03/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Trattazione scritta.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, la Corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza pronunciata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli Nord in data 21/09/2021 con la quale NOME COGNOME, a seguito di giudizio abbreviato, è stato dichiarato responsabile del reato di cui agli artt. 56, 423 cod. pen., e condannato alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione.
I Giudici di merito, con concorde valutazione, hanno così ricostruito i fatti: l’imputato, dopo la separazione dalla ex compagna NOME COGNOME, avvenuta nel febbraio 2021, e nel contesto di rapporti caratterizzati da frequenti litigi, veniva fermato – in compagnia di NOME COGNOME-, in data 18/04/2021 verso le ore 15:30, dai Carabinieri di Casandrino, a circa 220 mt. dall’abitazione della predetta COGNOME, con una bottiglia di benzina contenente almeno 1 !t di liquido infiammabile e due accendini: poco prima l’imputato aveva rivelato ad un amico (NOME COGNOME) che era sua intenzione andare presso l’abitazione dei genitori della p.o. in Casandrino, ove ella si era rifugiata, per dare fuoco alla casa e alla ex compagna; intenzione che era stata confermata anche alla madre dello stesso imputato (NOME COGNOME) alla quale il COGNOME aveva detto che si sarebbe recato dalla suocera per “fare un macello”.
La Corte territoriale ha infine ritenuto non plausibile e priva di riscontro, la versione alternativa offerta dal COGNOME (e confermata da NOME COGNOME), per cui il possesso del liquido infiammabile era giustificato dalla necessità di dover rifornire un motorino che si trovava nei pressi dell’abitazione dei suoceri.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato per il tramite del difensore, AVV_NOTAIO, deducendo i vizi di seguito riassunti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo denuncia violazione dell’art. 606 comma 1 lett. c) ed e) cod. proc. pen. per inosservanza delle norme processuali e mancanza e manifesta illogicità della motivazione. La Difesa censura l’affermazione della responsabilità dell’imputato evidenziando come difetti, nella condotta dal medesimo posta in essere, il requisito della idoneità ed inequivocità degli atti, essendo il COGNOME stato fermato ad una distanza considerevole dall’abitazione della ex compagna. Quanto all’elemento soggettivo, le presunte intenzioni dell’imputato sarebbero frutto di mere deduzioni derivanti dall’interpretazione delle dichiarazioni rese da alcuni soggetti ai Carabinieri. Si duole infine il ricorrente del fatto che non sia stata ritenuta plausibile la versione dei fatti fornita dall’imputato, e confermata da NOME COGNOME, circa le ragioni del possesso del liquido infiammabile.
2.1. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, con relativa riduzione della pena finale: la Corte territoriale, a fronte di uno specifico motivo di gravame, non ha sufficientemente motivato sul punto limitandosi a richiamare una massima giurisprudenziale, offrendo in tal modo una motivazione fittizia ed apparente.
Il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale ha concluso chiedendo declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, proposto sulla base di censure manifestamente infondate ovvero generiche o non consentite, deve essere dichiarato inammissibile con ogni conseguenza di legge.
Il primo motivo, con il quale l’imputato contesta l’affermazione di responsabilità in ordine al reato di tentativo di incendio per il quale è intervenuta condanna, sconta la sua natura fattuale e meramente reiterativa di censure mosse in sede di gravame e devolute alla Corte territoriale che le ha risolte con motivazione scevra da aporie logiche e pertanto insindacabile in questa sede.
Preliminarmente, si precisa che ci si trova al cospetto della conferma nei medesimi termini della sentenza di condanna pronunciata in primo grado, cioè ad una c.d. “doppia conforme”. Tale costruzione postula che il vizio di motivazione deducibile e censurabile in sede di legittimità sia soltanto quello che, a presidio del devolutum, discende dalla pretermissione dell’esame di temi probatori decisivi, ritualmente indicati come motivi di appello e trascurati in quella sede (Sez. 5, n. 1927 del 20/12/2017, dep. 2018, COGNOME e altri, Rv. 272324; Sez. 2, n. 10758 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 263129; Sez. 5, n. 2916 del 13/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 257967); o anche manifestamente travisati in entrambi i gradi di giudizio (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, Rv. 272018).
Al di fuori di tale perimetro, resta precluso il rilievo del vizio di motivazione secondo la nuova espressione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. nel caso di adeguata e logica valutazione conforme nei gradi di merito del medesimo compendio probatorio. Deve altresì ribadirsi che nei casi di doppia conforme, le motivazioni delle sentenze di merito convergono in un apparato motivazionale integrato e danno luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2 n. 37295
del 12/06/2019, Rv. 277218), che in tali termini deve essere assunto anche nella denuncia dei vizi di legittimità, nei limiti della loro rilevanza.
Ciò premesso, va preliminarmente osservato come il ricorrente non contesti la materialità della condotta addebitatagli, ovvero l’essere stato fermato in Casandrino, a circa 220 mt. dall’abitazione della persona offesa, con una bottiglia di benzina da due litri contenete almeno 1 It di liquido infiammabile, ma cerca di contestarne la valenza probatoria ai fini dell’affermazione di responsabilità.
Nel fare ciò, tuttavia, non contesta criticamente i passaggi logici dell’impugnata sentenza, bensì offre una alternativa ricostruzione dei fatti, ribadendo e reiterando analogo motivo di doglianza sollevato in atto di appello e risolto dalla Corte territoriale con motivazione congrua e logica.
Ebbene, va ribadito che non è compito del giudice di legittimità compiere una rivalutazione di tale compendio probatorio, sulla base delle prospettazioni del ricorrente, avendo questa Corte chiarito già da tempo che esula dai suoi poteri una «rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali» (Sez. Un. n. 41476 del 25/10/2005, COGNOME; Sez. Un. n. 6402 del 2.7.1997, COGNOME, Rv. 207944; Sez. Un. n. 930 del 29.1.1996, COGNOME, Rv. 203428).
Il compito del giudice di legittimità non consiste nel sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito; tale compito si sostanzia invece esclusivamente nel fatto di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione degli stessi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n, 930 del 13/12/1995 dep. 1996, COGNOME, Rv. 203428; Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 dep. 2000, COGNOME G, Rv. 215745; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 dep. 2004, Elia, Rv. 229369).
La Corte, nel rispondere al corrispondente motivo di appello, ha affermato come indubitabile fosse l’idoneità degli atti compiuti dal COGNOME a realizzare il reato di incendio, essendo l’imputato stato fermato a poca distanza della casa dell’ex fidanzata, recante con sé liquido infiammabile in quantità senz’altro sufficiente ad innescare un incendio.
Quanto all’univocità degli atti, contrariamente a quanto dedotto in ricorso, lungi dal fondarsi su mere deduzioni, i Giudici territoriali hanno correttamente ricordato come l’intento criminoso del COGNOME fosse stato dallo stesso espresso e condiviso verbalmente con più soggetti.
Il Giudice di primo grado (pag. 4) ha evidenziato come il giorno dei fatti 18/04/2021 la p.o. NOME COGNOME avesse ricevuto una telefonata da un’amica che le aveva riferito di aver saputo dal suo fidanzato (NOME COGNOME) che COGNOME aveva intenzione di comprare della benzina per dare fuoco all’abitazione della p.o; la stessa madre dell’imputato riferiva agli operanti di avere udito, il medesimo giorno, il figlio dire telefonicamente al COGNOME “adesso me la vedo io”, e che, subito dopo, COGNOME le diceva di essere in procinto di recarsi a casa della suocera per “fare un macello”.
Lo stesso NOME COGNOME confermava agli inquirenti che COGNOME gli avevo telefonicamente detto che «avrebbe dato fuoco all’abitazione della COGNOME».
Quanto alla doglianza avanzata dal ricorrente circa la mancata corretta considerazione da parte dei Giudici dell’appello della versione alternativa resa dall’imputato in ordine al legittimo possesso della benzina, versione che sarebbe stata confermata da NOME COGNOME, il ricorso è sul punto generico e rivalutativo.
Ed infatti i Giudici di merito (sentenza di primo grado, pag. 7) hanno sul punto osservato come il compendio probatorio a carico dell’imputato non fosse smentito da quanto riferito da COGNOME (che si era limitato a dichiarare che COGNOME gli aveva chiesto di accompagnarlo presso l’abitazione della COGNOME perché aveva lasciato lì un motorino che doveva rifornire di benzina), in quanto la versione da costui fornita dimostrava solo che l’imputato non aveva confidato all’amico le sue reali intenzioni.
È evidente come, a fronte di tali argomentazioni, scevre da vizi logici e giuridici, il ricorrente inviti ad una rivalutazione di elementi fattuali non consentita in questa sede, riproponendo peraltro argomenti con i quali la sentenza impugnata risulta essersi già confrontata in termini non manifestamente illogici, come quelli sopra riportati.
Va inoltre osservato come il ricorrente, pur richiamando a sostegno della tesi alternativa circa il legittimo possesso del liquido infiammabile, le dichiarazioni di COGNOME, abbia omesso di allegare al ricorso il relativo verbale o di trascrivere integralmente dette dichiarazioni, incorrendo in tal modo anche nel vizio di non autosufficienza.
Si è, infatti, chiarito che «in tema di ricorso per cassazione, anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 165-bis disp. att. cod. proc. pen., introdotto dall’art. 7 comma 1, d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, trova applicazione il principio di autosufficienza del ricorso, che si traduce nell’onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l’allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato» (Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020 – dep. 2021, Cossu, Rv. 280419; analogamente in precedenza Sez. 1, n. 48422 del 09/09/2019, Novella, Rv. 277796).
Manifestamente infondato è anche il secondo motivo, con il quale la Difesa si duole della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Va infatti ricordato che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, COGNOME, Rv. 248244; Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, COGNOME, Rv. 242419). Il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale deve quindi motivare nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Pertanto, il diniego delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente fondato anche sull’apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo o soggettivo, che sia ritenuto prevalente rispetto ad altri, disattesi o superati da tale valutazione. È pertanto sufficiente il diniego anche soltanto in base ai precedenti penali dell’imputato, perché in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalità (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, COGNOME, Rv. 249163; Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, COGNOME, Rv. 248737).
Nel caso di specie, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è stato legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo.
Peraltro il ricorso è sul punto del tutto generico ed aspecifico, essendosi limitato il difensore a riportare alcuni principi giurisprudenziali informatori della materia, senza tuttavia neppure allegare elementi positivi di valutazione che sarebbero stati pretermessi dai Giudici di merito.
Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12/01/2024