Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 3874 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 3874 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME NOME nato a MATERA il 16/06/1993 COGNOME NOME nato a BARI il 13/09/1979 avverso la sentenza del 26/03/2024 della CORTE d’APPELLO di ANCONA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Ancona ha confermato la condanna dei ricorrenti, emessa dal Tribunale della medesima città, per il reato di tentato furto aggravato di un computer portatile esposto per la vendita in un centro commerciale, del quale avevano provato ad impossessarsi dopo aver reciso con una pinza il dispositivo antitaccheggio, lasciando il bene nell’esercizio commerciale allorché sorpresi dalla vigilanza.
Avverso la detta pronuncia d’appello hanno proposto ricorso per Cassazione entrambi gli imputati.
L’impugnazione di NOME COGNOME si articola in due motivi.
2.1. Col primo si lamenta la violazione dell’articolo 420-ter cod. proc. pen., per essere stato l’imputato dichiarato erroneamente assente sebbene la notifica del decreto di citazione a giudizio, in primo grado, fosse stata effettuata presso il difensore d’ufficio, avvocato COGNOME nonostante il Di COGNOME fosse detenuto sin dal settembre 2019 – ovvero prima della detta notifica – per altro titolo.
Si precisa che il difensore d’ufficio fosse stato avvisato, da quello di fiducia, non solo della nomina di quest’ultimo, che lo aveva delegato a sostituirlo nelle udienze d’appello del 21/11/2023 e del 26/03/2024, ma anche della necessità di far dichiarare alla Corte d’appello nullo l’intero processo per la sua mancata conoscenza da parte dell’imputato: questi, infatti, aveva saputo dello stesso processo soltanto con la notifica presso la casa circondariale di Matera, dov’era detenuto, del decreto che disponeva la citazione in appello.
Nonostante tale eccezione di nullità fosse stata segnalata con p.e.c. del 20/11/2023 alla Corte d’appello, certamente edotta dello stato detentivo del Di COGNOME tanto da avergli fatto notificare il decreto di citazione in appello in carcer con la sentenza di secondo grado era stato rigettato il gravame sul punto senza alcuna motivazione.
2.2. Col secondo motivo il COGNOME si duole dell’omesso riconoscimento della sospensione condizionale della pena, pur non essendo egli persona socialmente pericolosa o delinquente abituale, professionale o tendenziale, e si lamenta della carenza di qualsivoglia motivazione in ordine alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’articolo 131-bis cod. pen.
Anche il ricorso di NOME COGNOME si articola in due motivi.
3.1. Col primo si lamentano la violazione della legge penale e vizi di motivazione in relazione alla mancata applicazione dell’istituto della desistenza volontaria o, in subordine, di quello del recesso attivo, non essendosi considerato che il ricorrente avesse interrotto la sua azione molto prima che gli addetti alla sicurezza raggiungessero lo scaffale su cui era esposto il computer.
Al riguardo si è evidenziato che nessun ostacolo vi fosse in ordine all’applicazione di tali istituti ad uno dei concorrenti che abbia inizialmen contribuito a realizzare atti idonei e diretti in modo non equivoco alla commissione del delitto concordato e poi desista dall’azione collettiva o impedisca efficacemente la verificazione dell’evento
Evidenzia che la Corte d’appello abbia omesso qualsivoglia motivazione sul punto.
3.2. Col secondo motivo la difesa del Fiorese lamenta il mancato
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, negate solo in ragione precedenti penali, senza considerare il comportamento dell’imputato, che ave abbandonato l’idea criminosa con un comportamento positivo apprezzabile ai fin del detto riconoscimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del COGNOME è, nel complesso, infondato.
1.1. Il primo motivo è infondato per un duplice ordine di ragioni.
Come noto, «in tema di notificazione della citazione dell’imputato, la nul assoluta e insanabile prevista dall’art. 179 c.p.p. ricorre soltanto nel caso notificazione della citazione sia omessa o quando, essendo eseguita in fo diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza eff dell’atto da parte dell’imputato. Di conseguenza, se la notificazione della ci avvenga in modo viziato (art. 171 c.p.p.) o adottando un modello diverso da que prescritto, si verte in un caso di nullità a regime intermedio rilevabile nel di cui all’art. 180 c.p.p., e sempre che la nullità non resti sanata, a norma 184 c.p.p., comma 1 quando la parte compaia o rinunci a comparire» (Sez. U, 12778 del 27/02/2020, Rv. 278869-01, in motivazione).
Orbene, nella specie è documentato, e neppure contestato, che la notif del decreto di citazione per il giudizio di primo grado sia stata effettuata l’avvocato d’ufficio, per giunta indicato, nel decreto di citazione – senz rilievo formulato al riguardo da parte ricorrente e come comunque emerge da relativo verbale di identificazione del 21/1/2019 in atti – come colui presso i il COGNOME aveva eletto domicilio, con domiciliazione accettata dal difensore.
Trattandosi di una forma di notifica assolutamente corretta (per tutt ultimo, Sez. U, n. 42603 del 13/07/2023, Rv. 285213-01, secondo cui solo n caso – qui non ricorrente – in cui il difensore non accetti l’elezione p questione sulla validità della notifica) e, in ogni caso, ectuttecc=131 pli=ntrerriM potenzialmente idonea a rendere edotto l’imputato della celebrazi del processo, in quanto effettuata lì dove lo stesso aveva eletto domicilio p per ricevere le notifiche, e, comunque, di ipotetica nullità certamente verif prima dell’inizio del giudizio di primo grado, ai sensi dell’articolo 180 cod pen. la stessa avrebbe dovuto essere rilevata o dedotta entro la deliberazione d sentenza di primo grado (così, ad esempio, Sez. 2, n. 24807 del 04/04/2019, 276968-01, secondo cui, in caso di nullità di ordine generale a regime interm relativa alla notifica del decreto di citazione a giudizio, e dunque verificata fase antecedente al giudizio stesso, va rilevata dal giudice o eccepita dall
entro e non oltre la deliberazione della sentenza di primo grado; confronta, in termini analoghi, per le nullità di ordine generale verificatesi nella fase dell citazione dell’imputato per il giudizio d’appello, Sez. 2, n. 49644 del 02/11/2023, Rv. 285674-02, Sez. 1, n. 6613 del 27/10/2022, dep. 2023, Rv. 283988-01 e Sez. 6, n. 28408 del 23/06/2022, Rv. 283349-01, secondo cui le stesse vanno rilevate entro i termini previsti dall’art. 180 cod. proc. pen., e cioè prima del deliberazione della sentenza di secondo grado).
Ad ogni modo, la doglianza è infondata per un ulteriore ordine di ragioni.
È indubbio che nei confronti dell’imputato detenuto la notifica debba essere, in linea teorica, effettuata a mani proprie in carcere, ma, ove si tratti di detenzion per altra causa, occorre che lo stato restrittivo sia conosciuto dal giudice che procede: sicché la notifica deve ritenersi ritualmente eseguita secondo il modello notificatorio previsto per l’imputato non detenuto laddove lo stato di detenzione per altra causa non risulti dagli atti, non essendovi alcun obbligo di svolgere, per ogni imputato, ricerche in ordine allo status libertatis ed alla sua eventuale detenzione (sul punto si veda Sez. U, n. 12778 del 27/02/2020, Rv. 278869-01).
Nel caso di specie l’imputato non era detenuto per questo procedimento, né risulta che tanto sia stato addotto o sia emerso nel corso del giudizio di primo grado: sicché il giudice non era tenuto a compiere alcuna ricerca sul suo status libertatis e correttamente ha ritenuto regolare la notifica del decreto di citazione presso il domicilio eletto.
1.2. Il secondo motivo è inammissibile.
Il Tribunale ha espressamente statuito che non vi fossero i presupposti di legge per accordare la sospensione condizionale della pena – evidenziando che gli imputati non potessero “beneficiare né delle attenuanti generiche, né della sospensione condizionale della pena, dati i numerosi precedenti penali”, e visto che entrambi avevano “già usufruito della sospensione condizionale della pena per il massimo consentito dalla legge (due volte)” – e in ordine a tale statuizione nessuna censura è stata mossa con l’appello.
Orbene, la medesima questione deve ritenersi non più prospettabile in questa sede, essendo noto che, ex artt. 606, comma 3, e 609, comma 2, cod. proc. pen., non possono essere dedotte in Cassazione questioni non sollevate coi motivi d’appello, tranne non siano rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado d giudizio e non necessitino di accertamenti di fatto o si tratti di questioni che no sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello (perché, ad esempio, prospettate per la prima volta proprio nel provvedimento impugnato in Cassazione): se così non fosse, sarebbe invero inevitabile l’annullamento del provvedimento a causa di un altrettanto inevitabile, da parte del giudice a quo,
difetto di motivazione su una questione sottratta – in ipotesi anche in modo strumentale – alla sua cognizione, non essendogli stata devoluta (così, tra le tante, Sez. 2, n. 26721 del 26/04/2023, Rv. 284768-02; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Rv. 270316-01; Sez. 4, n. 10611 del 04/12/2012, dep. 2013, Rv. 256631-01).
Dunque, per quanto l’art. 597, comma 5, cod. proc. pen. preveda che sulla sospensione condizionale il giudice d’appello possa pronunciarsi d’ufficio, tanto si reputa possa avvenire solo ove non si siano determinati, in ragione dell’omessa impugnazione dell’espressa contraria statuizione, preclusioni in ragione dell’applicazione del principio devolutivo sancito dalla medesima norma. Tanto che è stato affermato che non possa essere rilevata d’ufficio, in ipotesi, l’errata revoca, da parte del giudice di merito, della sospensione condizionale della pena (Sez. 4, Sentenza n. 47923 del 19/10/2004, Rv. 230196-01). È noto, del resto, che non siano deducibili per la prima volta davanti alla Corte di cassazione questioni giuridiche che presuppongano un’indagine di merito, quale quella della meritevolezza del beneficio della sospensione condizionale della pena, in quanto incompatibili con il sindacato di legittimità (Sez. 5, n. 11099 del 29/01/2015, Rv. 263271-01).
Insomma, a fronte dell’espressa statuizione contraria, da parte del primo giudice, era onere della parte ricorrente, al fine di evitare che essa divenisse definitiva, contestarla ed allegare le specifiche ragioni per le quali la medesima decisione fosse da ritenersi errata.
In nessuna omissione risulta, poi, incorsa la Corte d’appello in relazione alla richiesta qui formulata di applicazione dell’articolo 131-bis cod. pen., ulterior questione che non le era stata in alcun modo devoluta con l’appello e che non viene dedotto, e neppure risulta, sia mai stata prospettata alla medesima Corte territoriale: sicché non sussiste il vuoto motivazionale denunciato.
Deve allora darsi continuità al noto principio secondo cui: «In tema di ricorso per cassazione, è deducibile il difetto di motivazione della sentenza d’appello che non abbia rilevato “ex officio”, alla stregua di quanto previsto dall’art. 129 cod proc. pen, la sussistenza di causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, a condizione che siano indicati i presupposti legittimanti la pretesa applicazione di tale causa proscioglitiva, da cui possa evincersi la decisiva rilevanza della dedotta lacuna motivazionale» (Sez. 6, n. 5922 del 19/01/2023, Rv. 28416001; confronta, negli stessi termini: Sez. 6, n. 2175 del 25/11/2020, dep. 2021, Rv. 280707).
Nella specie parte ricorrente si limita a denunciare, come detto, un vuoto motivazionale che non c’è, non avendo proposto la relativa domanda col gravame,
senza addurre alcunché circa l’affermata – da parte del Tribunale – insussistenza dei menzionati presupposti dell’istituto, per essere l’imputato gravato da altri precedenti ed avere già beneficiato per due volte della menzionata sospensione: e senza dedurre, in questa sede, argomenti volti ad evidenziare che la stessa avrebbe dovuto essere applicata d’ufficio, da parte del giudice d’appello.
Di conseguenza, da nessuna lacuna motivazionale è affetta la motivazione censurata.
Anche le doglianze del Fiorese sono, nel complesso, da disattendere.
2.1. Come già detto per il secondo motivo sollevato dalla difesa del Di COGNOME, è precluso in questa sede sollevare questioni mai prima dedotte e non rilevabili d’ufficio o che, seppur rilevabili d’ufficio anche in Cassazione, richiedano accertamenti di fatto ulteriori, preclusi al giudice di legittimità.
Tanto vale logicamente anche laddove si chieda la riqualificazione giuridica di un dato fatto, che può essere dedotta per la prima volta in sede di giudizio di legittimità purché non presupponga accertamenti di fatto, preclusi in tale sede (Sez. 2, n: 17235 del 17/01/2018, Rv. 272651-01; Sez. 2, n. 7462 del 30/01/2018, Rv. 272091-01).
Nella specie, parte ricorrente solleva per la prima volta la questione giuridica dell’applicazione dei commi 3 e 4 dell’art. 56 cod. pen., allegando circostanze di fatto – precisamente che il ricorrente avesse interrotto la sua azione sua sponte, comunque molto prima che gli addetti alla sicurezza raggiungessero lo scaffale su cui era esposto il computer oggetto di tentata sottrazione – giammai sollevate prima e comunque non desumibili dalla ricostruzione effettuata in sede di merito: in cui, per contro, s’è accertato che, solo dopo essersi accorti che il personale addetto alla vigilanza, che aveva seguito le mosse dei due imputati, si era portato in un luogo non molto distante da loro, i due ricorrenti avevano desistito dal proseguire oltre.
Sulla base della menzionata ricostruzione in fatto non è possibile desumere quella volontarietà necessaria all’applicazione degli istituti (desistenza attiva recesso operoso) qui invocati.
2.2. Infondato è il secondo motivo di doglianza del COGNOME, circa il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, negate per i suoi precedenti penali e senza considerare l’abbandono dell’idea criminosa.
Sfugge al sindacato di legittimità, se sorretta da motivazione non manifestamente illogica, bensì aderente ai criteri legali, in primis quelli di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen., la valutazione sul riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549-02; Sez. 5,
43952 del 13/04/2017, Rv. 271269-01; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Rv. 270986-01).
Nella specie, a fronte della richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche formulata col gravame per “la non eccessiva gravità del fatto”, per essersi trattato di un tentativo, correttamente il giudice d’appello rilevato che tale circostanza non fosse meritevole di positiva valutazione ex se, posto che, altrimenti, ogni tentativo sarebbe suscettibile di siffatto riconoscimento. E, sempre in modo logico, lo stesso giudice ha ritenuto insussistenti circostanze positive da valorizzare e, anzi, l’esistenza di altre ostative, quali la peculi inclinazione alla commissione di delitti, specificamente contro il patrimonio, da parte dell’imputato, evidentemente dedito a vivere violando le norme penali e noncurante delle relative sanzioni.
Trattasi di motivazione che rientra nell’alveo della discrezionalità del giudice del merito, allorché congruamente motivata, come è nella specie.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di rigetto dei rico segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in data 13/11/2024
Il Consigliere estensore
Il lresidente