Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 9907 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 9907 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a Prato il 20/09/1982 avverso la sentenza del 04/07/2024 della Corte d’appello di Genova; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore, l’avvocato NOME COGNOME che, riportandosi ai motivi di ricorso, ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Genova ha assolto, per insussistenza del fatto, NOME dal reato di cui agli artt. 56, 624, 625, comma 1, n. 5, cod. pen. di tentato furto, aggravato dall’aver agito travisato, ai danni di NOME Per il Tribunale non sarebbe emersa prova sufficiente di atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere il reato.
La Corte d’Appello di Genova ha riformato la sentenza di assoluzione, condannando NOME alla pena di un anno di reclusione e 300,00 euro di multa, ritenendo, invece, che fossero integrati gli estremi del tentativo punibile.
L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione articolando sei motivi.
3.1. Col primo motivo lamenta la nullità dell’ordinanza di rinnovazione dell’istruttoria mediante l’ audizione del querelante, COGNOME NOMECOGNOME emessa dalla Corte d’appello, per violazione degli ar tt. 125, comma 3, 603, commi 1 e 3bis , e 438 cod. proc. pen., nonché per motivazione manifestamente illogica.
Più precisamente, sarebbero stati violati:
-l’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. , in quanto l’ordinanza era immotivata;
-l’art. 603, comma 1, cod. proc. pen., poiché non v’era stata istanza di rinnovazione;
-l’art. 603, comma 3 -bis , cod. proc. pen., perché, in caso di appello del Pubblico Ministero contro il proscioglimento dell’imputato per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, la rinnovazione istruttoria avrebbe potuto disporsi solo in caso di prove dichiarative assunte in udienza, ove pure a seguito di integrazione probatoria disposta nel giudizio abbreviato, ciò che, nel caso in questione, non era avvenuto.
In ossequio alla volontà dell’imputato di farsi giudicare secondo le forme del cosiddetto rito abbreviato ‘secco’ e per evitare la asimmetria del materiale probatorio nei due gradi di merito, la rinnovazione, in tal caso, sarebbe radicalmente vietata, a dire di parte ricorrente.
Infine, si lamenta che, nonostante l’eccezione di nullità fosse stata proposta prima del compimento dell’atto, la Corte territoriale avesse affrontato la questione solo con la motivazione della sentenza, violando il principio per cui le questioni sollevate andrebbero decise immediatamente con ordinanza motivata.
3.2. Col secondo motivo si deduce la nullità derivata della sentenza, ex art. 185 cod. proc. pen., in ragione della nullità del l’ordinanza del 17/4/2024.
3.3. Col terzo motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza ex artt. 125, comma 3, 192, comma 2, e 530 cod. proc. pen., per vizi di motivazione e travisamento della prova, in specie laddove afferma la sussistenza di atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere il furto.
L ‘indeterminatezza della finalità della condotta e l’esistenza di finalità alternative in capo al ricorrente, rimarcate pure dalla sentenza d’appello , avrebbero dovuto condurre alla detta conclusione.
Travisate sarebbero state le parole del COGNOME, circa il suo abbigliamento al momento del fatto, in realtà da lui non ricordato.
La ricostruzione secondo cui la ripetuta palpazione della tasca del COGNOME, da parte del COGNOME, sarebbe stata finalizzata a far portare indietro il braccio al primo, esponendo maggiormente l’orologio Rolex in suo possesso, al fine di poterlo sottrarre, sarebbe contraddittoria, illogica e priva di prova.
Il COGNOME, infine, si sarebbe allarmato non perché la condotta dell’imputato fosse stata davvero idonea ed inequivoca, ma per il ricordo del furto commesso in analoghe circostanze ai danni di un suo amico: tanto che lo stesso COGNOME non aveva sporto neppure querela subito dopo il fatto, ma solo il giorno successivo.
3.4. Col quarto motivo il ricorrente eccepisce la nullità dell’impugnata sentenza per violazione degli artt. 125, comma 3, cod. proc. pen. in relazione all’art. 56, comma 3, cod. pen., e per vizi di motivazione e travisamento della prova, censurando il rigetto dell’ipotesi di volontaria desistenza e l’affermazione della Corte territoriale secondo cui la decisione di interrompere l’azione criminosa sarebbe stata determinata dalla reazione del Faraoni.
Secondo parte ricorrente, non vi sarebbero stati fattori esterni che avevano costretto l’imputato ad interrompere l’azione. La volontarietà della desistenza non andrebbe intesa come spontaneità, bensì come scelta operata in una situazione di libertà interiore, indipendente da ll’esistenza di circostanze esterne che rendano troppo rischioso o improbabile il successo dell’azione criminosa.
La difesa evidenzia, ancora, che, al momento dell’avvicinamento dell’imputato al COGNOME, non v ‘ erano persone presenti, sicché lo stesso, volendolo, avrebbe potuto agevolmente compiere il furto, sia allorché stava parlando col COGNOME, sia quando lo aveva seguito in moto, mentre questi fuggiva in bici.
3.5. Col quinto motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 125, comma 3, cod. proc. pen. e 62bis e 133 cod. pen. e l’esistenza di motivazione apparente, in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla determinazione della pena.
Si rimarca che il fatto, verificatosi di giorno e sulla pubblica via, non aveva determinato alcun danno o pericolo, tanto che non erano state chiamate nell’immediato le Forze dell’ordine.
3.6. Col sesto motivo di ricorso si contesta la nullità della sentenza d’appello, per violazione di legge e vizi di motivazione, per aver rigettato l ‘istanza di sostituzione della pena irrogata con la detenzione domiciliare, ai sensi degli artt. 20bis cod. pen., 53 e 56 l. 689/1981: apparente o manifestamente illogica sarebbe la motivazione basata sui precedenti penali, senza considerare le non pericolose modalità del fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso va accolto in relazione all’ultima doglianza e rigettato nel resto.
2. I primi due motivi sono infondati.
Vanno disattese le eccezioni di nullità dell’ordinanza istruttoria del 17/4/2024 e quella derivata della sentenza d’appello.
In generale, la motivazione del provvedimento ordinatorio adottato nel corso del processo può essere integrata con le ragioni esposte dal giudice in sentenza, qualora quest’ultima sia coerente con il precedente atto e ne abbia rielaborato l’apparato giustificativo (Sez. 6, n. 26541 del 09/06/2015, Rv. 263947-01).
In particolare, il giudice di appello che dispone la rinnovazione istruttoria può sviluppare il processo argomentativo che motivi la decisione anche in sentenza, posto che ciò risulta coerente con la previsione dell’art. 586 cod. proc. pen., in forza del quale l’impugnazione avverso le ordinanze emesse nel corso del dibattimento può essere proposta solo con l’impugnazione della sentenza (così Sez. 3, n. 1455 del 10/11/2023, dep. 2024, Rv. 285736-01, che in motivazione chiarisce -in un caso analogo a quello in esame, nel quale s’era semplicemente addotta, nel disporre la rinnovazione, la sua «necessità ai fini della decisione» -che la indispensabil ità dell’integrazione era risultata dalla stessa motivazione della sentenza d’appello , che aveva fatto un diffuso richiamo alle dichiarazioni dei testi escussi; così pure, tra le tante, Sez. 3, n. 25624 del 13/4/2022, non massimata).
Nella specie, la sentenza d’appello, da un lato, evidenzia come fosse -a suo dire -‘presupposto necessario per l’affermazione della responsabilità in secondo grado’ la detta integrazione istruttoria, dall’altro lato, fa amp io riferimento a quanto asserito dalla persona offesa escussa, in tal modo facendo emergere chiaramente la necessità, ai fini di decidere, del suo ascolto.
Ed infondate sono le ulteriori eccepite violazioni normative.
Il comma 3bis dell’art. 603 cod. proc. pen. è di immediata applicazione nel giudizio di appello nel testo modificato dall’art. 34, comma 1, lett. i), n. 1), d.lgs. 150/2022, a far data dal 30/12/2022, in assenza di disposizioni transitorie e in base al principio tempus regit actum e con riferimento al tempo in cui l’atto viene compiuto (così Sez. 5, n. 17965 del 14/02/2024, Rv. 286490-01, ma anche Sez. 1, n. 45235 del 15/11/2024, Rv. 287399-01, che lo estende al giudizio di rinvio disposto in base alla pregressa normativa e che deve uniformarsi alla nuova).
Tale disposizione fa chiaramente salva l’applicazione dei commi 1 e 3 del medesimo articolo: e, dunque, anche la possibilità di disporre la rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale d’ufficio, se il giudice la ritie ne assolutamente necessaria.
Tale regola non subisce eccezioni nel caso in cui il giudizio di primo grado sia svolto con rito abbreviato. Infatti, è stato più volte chiarito che, nel giudizio di appello conseguente allo svolgimento con le forme del rito abbreviato del giudizio di primo grado, è consentito al giudice disporre ex officio , ai sensi dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., i mezzi di prova ritenuti assolutamente necessari per l’accertamento dei fatti (Sez. 2, n. 30776 del 10/05/2023, Rv. 284947-01). Come è stato opportunamente rilevato al riguardo, «l’interesse dell’imputato a vedersi giudicato in base ad un compendio probatorio non completo, ed a bloccare quindi ogni integrazione in senso a lui sfavorevole, non può che soccombere rispetto all’interesse dello Stato alla ricerca della verità, anche a costo di sacrificare l’ulteriore interesse statale alla rapida definizione del processo, perseguito incentivando la scelta del rito abbreviato (cfr., Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, Stasi, Rv. 258320)» (ancora Sez. 2, n. 30776 del 10/05/2023, Rv. 284947-01, in motivazione).
Al riguardo, da ultimo, va aggiunto che, in tema di giudizio abbreviato, l’esercizio del potere d’integrazione della prova, riconosciuto al giudice dall’art. 441, comma 5, cod. proc. pen., non è sindacabile in sede di legittimità, trattandosi di valutazione discrezionale (Sez. 5, n. 1763 del 04/10/2021, dep. 2022, Rv. 282395-01): salvo che la motivazione non sia manifestamente illogica o contraddittoria. Ed allora, se tale principio vale per il primo grado, non si vede perché non dovrebbe valere anche per il giudizio d’appello.
In definitiva, è per tabulas errato ritenere che le norme vigenti prevedano il ‘diritto’ dell’imputato a farsi giudicare solo col materiale istruttorio acquisito in sede di indagini preliminari, una volta scelto il rito abbreviato.
3. Anche il terzo e quarto motivo sono infondati.
La Corte d’appello ha ritenuto integrato il tentato furto sulla base dei seguenti argomenti, desunti dalle dichiarazioni della persona offesa e dagli atti di indagine dei Carabinieri , ivi incluso l’esame delle riprese delle telecame re installate dalla Polizia Municipale nella cittadina di Recco:
–COGNOME veniva avvicinato da una persona a bordo di una moto di grossa cilindrata, poi identificata nel COGNOME, che indossava un casco integrale bianco e gli si era rivolto come se lo conoscesse (accennando a un ristorante denominato ‘ Lino ‘ e dicendogli che era ingrassato);
NOMECOGNOME si era immediatamente allertato, essendosi ricordato del furto di un Rolex subito da un suo amico in precedenza, compiuto proprio da un
uomo su moto travisato da un casco, fatto acclarato come vero dai militi;
-sempre il COGNOME aveva chiesto, allora, allo sconosciuto di togliersi il casco, sentendosi rispondere di no per essere lo stesso collegato al telefono;
–NOME aveva portato la sua mano destra verso la tasca sinistra dei pantaloni del COGNOME, palpandola più volte, al che costui aveva spostato il braccio dietro la schiena e, impaurito, aveva indietreggiato ed era fuggito a bordo della sua bicicletta seguito per 500 metri circa dal COGNOME in moto;
-come evidenziato dallo stesso COGNOME, questi aveva certamente compreso il pericolo, tanto da dirsi pronto a reagire con ‘ un pugno nello stomaco, un calcio, una ginocchiata in faccia ‘ allo sconosciuto (‘ ero allertato, al che lui ha capito l’antifona’ , aveva detto esattamente la persona offesa), sicché l’azione delittuosa si era certamente ‘ spinta a una fase tale da essere riconosciuta come pericolosa dalla persona offesa ‘;
-l’imputato, come emerge va dai filmati delle telecamere cittadine, aveva ‘ girato per tutta la mattinata nella cittadina di Recco ‘, senza motivo, per giunta ‘ a bordo di una motocicletta con targa alterata ‘;
-il COGNOME, sempre in base alle immagini delle videocamere, aveva passato il tempo osservando da vicino persone ferme davanti ai negozi;
-in un caso, secondo gli operanti, lo stesso ‘ si era fermato, stando sempre a bordo della moto, accanto a un anziano, a cui aveva toccato il polso ‘;
-infine, nessuna spiegazione alternativa aveva fornito il Bianchi di tali fatti, specie sul perché si fosse avvicinato al Faraoni iniziando a parlargli, nonostante i due non si conoscessero, per poi palpargli ripetutamente la tasca e inseguirlo quando si era allontanato.
Dunque, in modo per nulla illogico, men che meno manifestamente tale, o contraddittorio o carente, la Corte d’appello ha concluso nel senso che l’imputato avesse posto in essere atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere il reato di furto ai danni del COGNOME.
E la sentenza è, peraltro, conforme agli insegnamenti di questa Corte, anche laddove evidenzia che l’imputato volesse impossessarsi ‘ probabilmente del Rolex che COGNOME portava al polso, ma in alternativa anche di altri oggetti che lo stesso, avvicinandosi alla persona offesa, avrebbe potuto trovare di suo interesse ‘ .
È noto, infatti, che il dolo alternativo costituisca, a tutti gli effetti, dolo diretto, poiché consta di un atteggiamento volitivo mirante ad un ben preciso evento, accanto al quale se ne prefigura, come certo o anche solo altamente probabile, uno ulteriore, che costituisce anch’esso scopo della condotta: sicché, proprio per queste sue caratteristiche -trattandosi di condotta che non può dirsi
affatto equivoca, ma diretta a perseguire obiettivi assolutamente chiari nella mente dell’agente tale figura di dolo è pienamente compatibile con il tentativo (in siffatti termini, ad esempio, Sez. 1, n. 47339 del 24/09/2024, Rv. 287335-01 e Sez. 1, n. 43250 del 13/04/2018, Rv. 274402-01).
Né, in concreto, i fatti accertati -e che qui non possono essere oggetto di ulteriore valutazione, neppure laddove si evidenzia che il COGNOME non ricordasse esattamente come fosse vestito: circostanza irrilevante a fronte dell’incontestata certezza che egli avesse ben compreso che il suo interlocutore avesse scorto l’orologio Rolex sono stati ritenuti integrare tentativo punibile in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte.
Al riguardo va chiarito che per la configurabilità del tentativo rilevano non solo gli atti esecutivi veri e propri, ma anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori, facciano fondatamente ritenere che l’agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia deciso di attuarlo, con azione dalla significativa probabilità di conseguire l’obiettivo programmato, e che il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili indipendenti dalla volontà del reo (così Sez. 2, n. 52189 del 14/09/2016, Rv. 268644-01, in fattispecie in cui è stato riconosciuto il duplice tentativo di rapina nella condotta degli imputati che, acquisita la disponibilità di guanti e cappelli, avevano compiuto una ricerca in automobile di istituti bancari non eccessivamente protetti e, in due occasioni, scesi dalla vettura, si erano portati, nel primo caso, nei pressi della porta di ingresso di una banca e, nell’altro, all’interno di essa, salvo allontanarsi per la percepita presenza della vigilanza; confronta, negli stessi termini, Sez. 5, n. 18981 del 22/02/2017, Rv. 269932-01, Sez. 5, n. 20340 del 12/11/2015, dep. 2015, non massimata, nonché Sez. 4, n. 32113 del 11/4/2017, non massimata, la quale ha ritenuto immune da censure la sentenza di merito che aveva condannato per tentato furto -sottrazione di beni ai danni dell’anziana vittima -gli agenti che, introdottisi nell’abitazione di quest’ultima, spacciandosi come dipendenti dei servizi sociali, avevano in tal modo posto in essere un comportamento idoneo in concreto a raggiungere i beni contenuti nell’abitazione).
A maggior ragione, dunque, in modo conforme a diritto, la sentenza d’appello ha ritenuto, preso atto dell’inizio dell’azione (tradottasi in reiterati palpeggiamenti nei pressi della tasca del COGNOME, da parte del Bianchi), oltre che delle altre circostanze sopra menzionate, che non fosse dubbia la direzione della condotta, volta a derubare la vittima.
Del resto, ad analoga conclusione è già pervenuta questa Corte, in un caso simile, affermando che: «integra il delitto di tentato furto la condotta dei due soggetti che, precludendo la vista dei movimenti delle proprie mani attraverso la
particolare giubba indossata, si siano avvicinati alla spalle della vittima, iniziando a spingerla con movimenti veloci e leggeri delle mani e a muovere freneticamente le due braccia e le due mani poste tra loro, con il chiaro intento di frugare nelle tasche posteriori della vittima stessa (In motivazione, la S.C. ha affermato che il codice vigente non pone, ai fini della configurabilità del tentativo punibile, la distinzione tra atti preparatori e atti esecutivi e che, comunque, la condotta degli imputati aveva oltrepassato la soglia della preparazione del delitto)» (Sez. 5, n. 49670 del 20/10/2009, Rv. 245722-01; similmente, si veda Sez. 4, n. 4044 del 10/12/2013, dep. 2014, non massimata, nel caso di due giovani che, a bordo di una moto, avevano seguito fino a casa un anziano in possesso della pensione appena riscossa e, rimasti chiusi fuori dal portone, senza dare spiegazioni, erano riusciti comunque a penetrare nell’androne, spacciandosi per impiegati delle Poste, venendo messi in fuga dalle urla di una vicina).
Al riguardo, infine, è appena il caso di ribadire come la prova della direzione degli atti, in simili casi, possa essere desunta aliunde (Sez. 5, n. 4033 del 24/11/2015, dep. 2016, Rv. 267563-01): sicché correttamente la Corte d’appello ha ricavato utili elementi di giudizio anche da circostanze accadute in prossimità di quanto contestato, quali quella per cui l’imputato avesse ‘girato per tutta la mattinata nella cittadina di Recco’, avesse in uso ‘una m otocicletta con targa alterata’, fosse solito osservare da vicino soggetti che vedeva fermi davanti ai negozi e, in un caso, fosse stato visto ‘accanto a un anziano, a cui aveva toccato il polso’.
Così come, in modo del tutto logico, la Corte d’appello ha rimarcato che di tutto quanto rilevato, il COGNOME non aveva fornito alcuna spiegazione alternativa.
Infine, quanto evidenziato conferma anche la correttezza della decisione presa dalla Corte d’appello, nel ritenere che si fosse al di fuori dell’ipotesi della desistenza volontaria, sia perché la decisione di interrompere l’azione criminosa non era stata frutto di una scelta volontaria dell’imputato , essendo stato il COGNOME, percepito il pericolo, ad allontanarsi inforcando la sua bicicletta, sia perché l’imputato aveva seguito la persona offesa per almeno 500 metri.
Anche in tal caso, è stata fatta corretta applicazione del pacifico principio secondo cui, nei reati di danno a forma libera, è configurabile la desistenza volontaria solo nella fase del tentativo incompiuto, ossia fino a quando non siano stati posti in essere gli atti da cui origina il processo causale idoneo a produrre l’evento (Sez. 5, n. 50079 del 15/05/2017, Rv. 271435-01, sulla qualifica in termini di tentato furto in appartamento del l’effrazione della serratura della porta d’ingresso, pur se l’agente era poi fuggito; confronta, negli stessi termini: Sez. 2, n. 16054 del 20/03/2018, Rv. 272677-01; Sez. 5, n. 17241 del 20/01/2020, Rv.
279170-01; Sez. 5, n. 13293 del 28/01/2013, Rv. 255066-01).
4. Il quinto motivo è inammissibile.
Sfugge al sindacato di legittimità, se sorretta da motivazione non manifestamente illogica, bensì aderente ai criteri legali, in primis quelli di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen., la valutazione sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 27954902; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269-01; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Rv. 270986-01) e, in generale, sulla determinazione della pena, specie se inferiore alla media edittale (Sez. 3, n. 29968 del 22/2/2019, Rv. 276288-01; Sez. 5, n. 5582 del 30/9/2013, dep. 2014, Rv. 259142).
In particolare, poi, per giustificare il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è sufficiente l’assenza di elementi di segno positivo, tanto che non rileva più, ex art. 62bis , comma 3, cod. pen., la mera incensuratezza (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Rv. 270986-01; Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, Rv. 283489-01) , con valutazione non sindacabile in sede di legittimità, se non contraddittoria o incongrua, neppure quando non vi sia lo specifico apprezzamento di ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419-01; così pure Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, Rv. 275509-03, in motivazione).
La decisione censurata ha evidenziato, al riguardo, i numerosi e specifici precedenti dell’imputato, incline in modo spregiudicato alla commissione di furti, che, peraltro, giustificavano l’irrogazione di una pena leggermente superiore al minimo edittale.
Trattasi di motivazione che non può dirsi assente e che è priva di profili di manifesta illogicità o altri vizi motivazionali.
5. L’ultima censura, come anticipato, è fondata.
L’art. 58 della legge 689/1981, di recente oggetto di modifiche da parte della legge ‘Cartabia’, prevede che: «Il giudice, nei limiti fissati dalla legge e tenuto conto dei criteri indicati nell’articolo 133 del codice penale, se non ordina la sospensione condizionale della pena, può applicare le pene sostitutive della pena detentiva quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati. La pena detentiva non può essere sostituita quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato».
I «fondati motivi» che non consentono la sostituzione della pena richiedono,
dunque, come già affermato da questa Corte, un’adeguata e ‘rafforzata’ motivazione in merito al giudizio di bilanciamento, in chiave prognostica, tra le istanze volte a privilegiare forme sanzionatorie consone alla finalità rieducativa -le pene sostitutive -e l’obiettivo di assicurare effettività alla pena (Sez. 5, n. 17959 del 26/01/2024, Rv. 286449-01). Trattasi di valutazione discrezionale del giudice che va operata sulla base dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. e, dunque, considerando, in primis , la personalità del condannato, così come risultante soprattutto dai precedenti, ma anche le modalità delle violazioni commesse, che fanno luce sulla gravità del reato e, nuovamente, sulla detta personalità ( ex multis , Sez. 3, n. 19326 del 27/01/2015, Rv. 263558-01).
Nella specie, richiamando i precedenti penali, la Corte d’appello omette non solo di considerare, in modo approfondito, tutti gli elementi disponibili, ivi incluse le modalità della condotta, ma anche di riferire circa le ragioni per le quali le finalità rieducative sarebbero certamente vanificate, nella specie, laddove si accogliesse l’istanza di pena sostitutiva .
In violazione del menzionato art. 58, non risulta compiuta, dunque, quella approfondita valutazione, ora richiesta dalla menzionata novella legislativa, che porta a ritenere la sussistenza dei detti «fondati motivi» assolutamente ostativi alla sostituzione della pena.
Deve, pertanto, annullarsi sul punto la sentenza d’appello, affinché si operi da parte del giudice del rinvio una nuova valutazione sul punto, che tenga conto dei menzionati criteri.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle sanzioni sostitutive, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Genova. Rigetta nel resto il ricorso.
Così è deciso, 26/02/2025 Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME