Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 27598 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 27598 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a REGGIO CALABRIA il 21/08/1983
NOME nato a REGGIO CALABRIA il 08/08/1977
avverso la sentenza del 18/02/2025 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME la quale ha chiesto pronunciarsi il rigetto dei ricorsi
Ritenuto in fatto
Con sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Reggio Calabria ha confermato la decisione di primo grado, che aveva ritenuto NOME COGNOME e NOME COGNOME responsabili dei delitti di tentato furto aggravato e possesso ingiustificato di grimaldelli, condannandoli alla pena ritenuta di giustizia.
Avverso la sentenza, hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, per il tramite del proprio difensore, con due atti distinti, affidando le proprie censure ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME consta di due motivi, col primo dei quali si deduce violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la Corte d’appello illogicamente escluso la sussistenza della circostanza della desistenza, quale desumibile dagli atti. Nel caso di specie, infatti, l’imputato non ha posto in esser alcun atto esecutivo idoneo a produrre l’evento. È la medesima Corte d’appello, del resto, a riconoscere che i ricorrenti abbandonavano l’autovettura senza la coartazione di fattori esterni. La motivazione della gravata sentenza sarebbe basata, dunque, su un’erronea applicazione dei principi posti dalla giurisprudenza di legittimità in tema di desistenza, atteso che, nel caso in esame, la scelta di non proseguire nell’azione criminosa è stata adottata dai ricorrenti in piena libertà interiore e prima di aver posto in essere il tentato delitto. Il recesso attivo ipotizzato dalla Corte territoriale, quindi, è infondato, perché il delitto non si è configurato neppure allo stadio di tentativo.
3.1 Col secondo motivo, riferito alla valutazione della Corte territoriale della condotta contestata al capo B), si eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 707 cod. pen. e 192 cod. proc. pen., data la lettura non univoca fornita dai giudici di merito circa le dichiarazioni rese in sede dibattimentale e le risultanze processuali.
Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME presenta due motivi, di contenuto identico rispetto ai motivi di cui al precedente ricorso.
Sono pervenute 1) le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME la quale ha chiesto il rigetto dei ricorsi; conclusioni nell’interesse dei ricorrenti, in cui si reitera la richiesta di accoglimento dei ricorsi.
Considerato in diritto
GLYPH I due ricorsi – di identico contenuto e, pertanto, esaminabili congiuntamente – sono inammissibili, in quanto manifestamente infondati, per le ragioni di seguito esposte.
2. Il primo motivo è inammissibile, in quanto generico ed elusivo di un confronto, critico ed effettivo, con la motivazione, in cui è chiaramente evidenziata 1) la ricorrenza, nel caso di specie, del tentato furto, 2) l’incompatibilità tra il tentato furto e la desistenza (ex plurimis, v. Sez. 5, n. 50079 del 15/05/2017, COGNOME, Rv. 271435 – 01: «nei reati di danno a forma libera, è configurabile la desistenza volontaria solo nella fase del tentativo incompiuto, ossia fino a quando non siano stati posti in essere gli atti da cui origina il processo causale idoneo a produrre l’evento»; fattispecie in tema di tentato furto; Sez. 1, n. 11746 del 28/02/2012, Price, Rv. 252259 – 01) e, infine, 3) l’assenza di condizioni per riconoscere l’invocata circostanza della desistenza.
E, infatti, contrariamente a quanto sotteso al motivo di ricorso, il tentativo di furto, come ricordato dai giudici di merito, si è compiutamente realizzato nel caso in scrutinio, avendo il COGNOME (accompagnato in auto dall’Arena) forzato la serratura dell’auto e anche il vano portaoggetti della stessa, una volta entrato nella vettura. Ciò, come correttamente inteso dalla Corte d’appello, implica l’effettiva realizzazione di concreti atti, posti in essere dagli imputati, idonei, dal punto di vista causale, a conseguire il fine delittuoso, oltre che di significato univoco quanto alla loro destinazione (v. Sez. 5, n. 7341 del 21/01/2015, COGNOME, Rv. 262768 – 01: «ai fini della punibilità del tentativo, rileva l’idoneità causale degli atti compiuti per il conseguimento dell’obiettivo delittuoso, nonché la univocità della loro destinazione, da apprezzarsi con valutazione “ex ante” in rapporto alle circostanze di fatto ed alle modalità della condotta, al di là del tradizionale e generico “discrimen” tra atti preparatori e atti esecutivi»).
Peraltro, come ricordato in motivazione, a corroborare definitivamente il compendio probatorio, sono intervenute due decisive testimonianze (l’una, resa da un agente, non in servizio, che trovandosi a passare per il luogo del tentato delitto, osservava, dapprima, il lento incedere dell’auto con i due ricorrenti a bordo, e, di poi, l’azione furtiva del COGNOME; l’altra dichiarazione, fornita da un secondo agente di polizia, accorso sul posto perché allertato dal primo), che hanno evidenziato come i due imputati si siano allontanati dall’auto presa di mira per il sopraggiungere di altre autovetture.
Tale dettaglio – l’intervento, cioè, di un fattore esterno che avrebbe reso irrealizzabile o troppo rischioso il proseguimento dell’azione criminosa (Sez. 4, n. 12240 del 13/02/2018, COGNOME e altri, Rv. 272535) – depriva ulteriormente di
forza argomentativa la tesi difensiva (a mente della quale i ricorrenti abbandonavano l’autovettura senza la coartazione di fattori esterni) della
desistenza, atteso che, per pacifico orientamento della giurisprudenza della
Cassazione, «in tema di desistenza dal delitto e di recesso attivo, la decisione, rispettivamente, di interrompere l’azione criminosa o di consumare una diversa
condotta finalizzata a scongiurare l’evento deve essere il frutto di una scelta volontaria dell’agente, non riconducibile ad una causa indipendente dalla sua
volontà o necessitata da fattori esterni» (Sez. 2, n. 20021 del 11/04/2025, Di
COGNOME
Tondo, n.nn.; tra le altre: Sez. 3, n. 17518 del 28/11/2018, dep.2019,
Rv.
275647 – 01).
3. Il secondo motivo è, del pari, inammissibile, in quanto aspecifico, generico e reiterativo. Le asserzioni difensive si connotano per il tenore astratto,
limitandosi la difesa a proporre una mera enunciazione di principi relativi alla valenza probatoria dell’indizio, senza tuttavia riferire quei principi all’analisi in
concreto della fattispecie (cfr., a proposito dell’inammissibilità, per difetto di specificità, del motivo di ricorso che si risolva nella mera enunciazione dei principi
giurisprudenziali senza adeguato confronto con l’analisi in concreto: Sez. 4, n. 38202 del 07/07/2016, COGNOME, Rv. 267611 – 01).
Le osservazioni difensive non riescono a scalfire la tenuta, sia logica sia giuridica, della motivazione della gravata sentenza: i giudici dell’appello, partendo dal ritrovamento di strumenti atti allo scasso nell’auto dei ricorrenti, hanno coerentemente tratto la conclusione che gli imputati avessero non soltanto in animo di utilizzare quegli arnesi per il tentato furto ascritto, ma, di fatto, se ne siano serviti per operare le già ricordate azioni illecite, come dimostrato dal danneggiamento della serratura dell’autovettura e del cassetto portaoggetti.
Per le ragioni illustrate, il Collegio ritiene che i ricorsi siano da dichiararsi inammissibili. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 16/06/2025
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