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Tentato furto aggravato: il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per tentato furto aggravato e furto con strappo. La Corte chiarisce che l’interruzione dell’azione criminosa per l’intervento di terzi esclude la desistenza volontaria. Inoltre, il valore economico non irrisorio dei beni (2.500/3.000 euro) impedisce l’applicazione dell’attenuante del danno di lieve entità, confermando la decisione dei giudici di merito.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentato furto aggravato: la Cassazione chiarisce i limiti del ricorso

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di tentato furto aggravato, delineando con precisione i confini dell’ammissibilità del ricorso e chiarendo importanti principi in materia di desistenza volontaria, circostanze aggravanti e attenuanti. La decisione offre spunti fondamentali per comprendere quando un’azione criminosa interrotta non può essere considerata desistenza e come il valore dei beni incida sulla valutazione del danno.

I Fatti di Causa: Tentato Furto e Furto con Strappo

Il caso esaminato riguarda un individuo condannato dalla Corte d’Appello di Messina per due distinti reati: tentato furto pluriaggravato ai danni di un furgone e furto con strappo aggravato del cellulare della persona offesa. L’imputato aveva tentato di forzare un furgone per sottrarre attrezzi da lavoro, ma era stato colto in flagrante dal proprietario. Per impedirgli di chiamare le forze dell’ordine, gli aveva poi strappato di mano il telefono cellulare.

Contro questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, articolando cinque motivi di doglianza, tra cui la presunta violazione di legge in merito alla mancata applicazione della desistenza volontaria, l’insussistenza del dolo specifico nel furto con strappo e il mancato riconoscimento dell’attenuante del danno di lieve entità.

L’Analisi della Cassazione sul Tentato Furto Aggravato

La Suprema Corte ha esaminato punto per punto i motivi del ricorso, dichiarandoli tutti manifestamente infondati o inammissibili.

La Mancata Applicazione della Desistenza Volontaria

Il primo motivo, relativo all’istituto della desistenza volontaria (art. 56, comma 3, c.p.), è stato respinto. I giudici hanno sottolineato che la desistenza richiede che l’interruzione dell’azione criminosa dipenda esclusivamente dalla libera volontà dell’agente. Nel caso di specie, l’imputato ha interrotto il tentativo di furto solo perché scoperto dalla persona offesa. L’intervento di una causa esterna, indipendente dalla sua volontà, esclude categoricamente la possibilità di applicare questa causa di non punibilità.

La Sussistenza del Dolo Specifico nel Furto con Strappo

Anche il secondo motivo, che contestava la sussistenza dell’elemento soggettivo nel reato di furto con strappo, è stato giudicato infondato. La Corte ha confermato la valutazione dei giudici di merito: strappare il cellulare dalle mani della vittima con l’obiettivo di impedirle di allertare le forze dell’ordine integra pienamente il dolo specifico del reato, ovvero la volontà di agire per trarre un profitto, anche non patrimoniale, come quello di garantirsi l’impunità.

La Conferma delle Circostanze Aggravanti

Infine, la Cassazione ha ritenuto infondate le contestazioni sulle aggravanti del tentato furto aggravato. La deformazione delle forbici utilizzate, compatibile con i segni di effrazione sul furgone, e l’esposizione dei beni alla pubblica fede (attrezzi lasciati in un veicolo parcheggiato in luogo accessibile al pubblico) sono state ritenute prove sufficienti a giustificare le aggravanti contestate.

Le Motivazioni

La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile basandosi su diverse ragioni. In primo luogo, i motivi presentati sono stati considerati una mera riproposizione delle argomentazioni già respinte in appello, senza una critica specifica e argomentata alla sentenza impugnata. Questo trasforma il ricorso di legittimità in un inammissibile tentativo di ottenere una nuova valutazione dei fatti. In secondo luogo, il motivo relativo alla recidiva non era stato sollevato in appello, rendendolo inammissibile in Cassazione. Infine, la richiesta di applicare l’attenuante del danno di lieve entità (art. 62, n. 4, c.p.) è stata respinta poiché il valore degli attrezzi (stimato tra 2.500 e 3.000 euro) è stato considerato tutt’altro che “lievissimo”, requisito essenziale per il riconoscimento di tale attenuante.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce principi consolidati del diritto penale. La desistenza volontaria è un atto di volontà autonoma, non una conseguenza di eventi esterni. Il ricorso in Cassazione non è una sede per rivalutare il merito delle prove, ma per controllare la corretta applicazione della legge. La decisione sottolinea inoltre che l’applicazione delle circostanze, sia aggravanti che attenuanti, si fonda su una valutazione concreta dei fatti, come il valore economico del danno, che non può essere meramente irrisorio per giustificare una mitigazione della pena.

Quando un tentativo di furto non può beneficiare della desistenza volontaria?
Un tentativo di furto non può beneficiare della desistenza volontaria quando l’azione criminosa viene interrotta non per una libera scelta dell’autore, ma a causa di circostanze esterne, come l’essere scoperti in flagrante dalla persona offesa.

Perché il furto di un cellulare per impedire una chiamata alla polizia integra il dolo specifico di profitto?
Perché, secondo la Corte, il ‘profitto’ richiesto dal reato di furto non deve essere necessariamente economico. Anche il fine di assicurarsi l’impunità, impedendo alla vittima di chiamare aiuto, costituisce un vantaggio che integra il dolo specifico del reato.

L’alto valore della merce che si intende rubare può impedire il riconoscimento di attenuanti?
Sì. La Corte ha stabilito che per il riconoscimento della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità (art. 62, n. 4 c.p.), il danno deve essere ‘lievissimo’. Un valore stimato tra 2.500 e 3.000 euro è stato considerato tutt’altro che irrisorio e, pertanto, ostativo all’applicazione dell’attenuante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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