Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 44743 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 44743 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TERMOLI il 29/08/1974
avverso la sentenza del 15/02/2024 della CORTE APPELLO di COGNOME visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Campobasso, con la sentenza emessa il 15 febbraio 2024, riformava solo quanto alla dosimetria della pena e confermava nel resto la pronuncia del Tribunale di Larino, che aveva accertato la responsabilità penale di NOME COGNOME in ordine al delitto di tentate lesioni aggravate dalla violazione dei doveri inerenti la funzione svolta, oltre che dall’uso dell’arma di ordinanza.
In particolare, è utile, per la migliore comprensione del ricorso, rappresentare che l’imputato era stato chiamato a rispondere del delitto previsto dagli artt. 56, 61 n. 9, 582 e 585 cod. pen., per avere, in qualità di assistente capo della Polizia di Stato, in servizio presso il Commissariato di Vasto, compiuto atti idonei e diretti in modo non equivoco a cagionare lesioni gravi nei confronti di COGNOME NOME e
COGNOME NOME, occupanti della vettura Audi TARGA_VEICOLO non riuscendo nell’intento per cause indipendenti dalla propria volontà. In particolare, nel corso di un inseguimento finalizzato alla cattura degli autori di una rapina a mano armata – avvenuta, poco prima, presso una gioielleria sita nel Centro Commerciale INDIRIZZO di San Salvo – trovandosi COGNOME alla guida di auto “civetta” Fiat Punto priva di riconoscimenti istituzionali, su cui viaggiava insieme al collega COGNOME che sedeva al lato anteriore riservato al passeggero, dopo aver affiancato l’auto inseguita – che per errore riteneva essere quella degli autori della rapina suindicata – protendeva il suo braccio innanzi il busto del collega ed esplodeva un colpo d’arma da fuoco dalla sua pistola d’ordinanza in direzione dei passeggeri del veicolo inseguito. Di Pardo non riusciva nell’intento di colpire uno degli occupanti e farli fermare, soltanto perché il colpo esploso attingeva il bordo inferiore dello specchietto anteriore lato destro e poi, di piatto, la lamiera esterna dello sportello dell’auto Audi TARGA_VEICOLO Il fatto veniva poi contestato come aggravato, perché commesso in violazione dei doveri inerenti la funzione svolta, utilizzando l’arma in modalità difformi da quelle consentite.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di sei motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione per travisamento.
La Corte d’appello avrebbe del tutto decontestualizzato la vicenda, trascurando che l’inseguimento dell’Audi A4 grigia, con a bordo le attuali persone offese COGNOME e COGNOME, seguiva l’antefatto, vale a dire la rapina a mano armata, comunicata dalla centrale della polizia come compiuta da rapinatori muniti di fucili, poi fuggiti a bordo dell’auto Audi A4, anche per colore identica a quella in uso alle persone offese. La sentenza impugnata neanche valuta, quale ulteriore antefatto, l’inseguimento che Di COGNOME e COGNOME misero in atto nei confronti dell’auto dei rapinatori, che poco prima erano riusciti a darsi alla fuga per la maggiore velocità dell’automezzo.
Inoltre, la sentenza impugnata avrebbe dato maggior rilievo alle dichiarazioni delle persone offese, che escludevano che vi fosse stato l’utilizzo della paletta, affermata dal COGNOME, come anche non tenendo conto che le stesse persone offese riferivano che avevano la radio ad alto volume e che, dunque, non percepirono alcun ‘Alt Polizia’, che invece COGNOME riferiva di aver pronunciato nel corso del (secondo) inseguimento nei confronti di COGNOME e COGNOME.
In sostanza, l’intimazione dell’«Alt» potrebbe non esser stata udita dalle persone offese, che quindi temettero di essere a loro volta vittima di una rapina, vedendo il braccio di COGNOME, che impugnava la pistola, sporgersi dal finestrino. In tale contesto, avendo in precedenza COGNOME riferito che nei confronti dei rapinatori nella prima auto – quindi i ‘veri rapinatori’ – era stato già utilizzato il lampeggiante, l’antefatto risulterebbe decisivo al fine di dare il giusto valore alle condotte tenute dai poliziotti nel secondo inseguimento, convinti che si trattava della stessa auto già inseguita.
Inoltre, il travisamento riguardava anche l’accidentalità del colpo partito dalla pistola di COGNOME, dopo che COGNOME aveva sparato alle ruote dei fuggitivi provocandone l’arresto, accidentalità affermata da COGNOME, ma anche dal consulente tecnico del pubblico ministero COGNOME in quanto COGNOME, arrestata la marcia ed essendo autista, con l’una mano teneva il volante e con l’altro teneva la pistola: indirizzava l’arma verso l’auto delle persone offese, nel frattempo fermatisi, allungando il braccio davanti al collega COGNOME, sparando all’interno del proprio abitacolo, suscitando così le imprecazioni di COGNOME che, a sua volta, narrava lo sbigottimento dello stesso COGNOME per aver esploso il colpo.
Inoltre, la natura accidentale dell’esplosione sarebbe comprovata anche dalla circostanza che la pistola fu utilizzata nell’abitacolo, con il braccio di COGNOME dinanzi al busto di COGNOME, con grave rischio per entrambi.
Mancherebbe, poi, la valutazione di maggiore attendibilità del narrato delle persone offese – che dichiaravano di non avere udito l’«Alt», riferendo comunque di avere la radio dell’autovettura in azione – rispetto a quanto riferito da COGNOME, che a sua volta riferiva di aver intimato a COGNOME l’«Alt» e anche di avere mostrato la paletta (fol. 12 del relativo verbale stenotipico), senza riuscire a fermare COGNOME e COGNOME, che iniziavano a fuggire a retromarcia, tanto che COGNOME era costretto a sparare ad altezza degli pneumatici, colpendone uno.
Infine, non risulterebbe motivata la natura diretta e non equivoca degli atti ex art. 56 cod. pen. a colpire la persona offesa.
Il secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per travisamento, in quanto, oltre che per le ragioni esposte dal motivo precedente, l’animus ledendi proprio del dolo richiesto si sarebbe espresso nell’esplosione di più colpi di arma da fuoco e non solo di uno, né corretta sarebbe la decisione della Corte territoriale per cui dalla idoneità degli atti ex art. 56 cod. pen. derivi in sé la prova del dolo.
Il terzo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in quanto la sentenza impugnata non ha ritenuto sussistente l’esimente putativa dell’uso legittimo delle armi.
La Corte di appello non avrebbe fatto buon governo dei relativi principi, escludendo che la fuga pericolosa da parte dell’Audi di COGNOME e COGNOME fosse tale da integrare una resistenza attiva, meritevole dell’uso delle armi; tanto più che l’errore commesso dagli operanti era avvalorato dal ritenere che nell’auto sempre una Audi A4 di colore grigio – vi fossero i reali rapinatori, in precedenza inseguiti e ‘persi’ nella stessa zona in cui ricomparve l’auto delle attuali persone offese. Inoltre, queste ultime, temendo di essere a loro volta vittime di una rapina, avevano provato a fuggire, e si era resa necessaria l’esplosione di colpi di arma da fuoco alle ruote per fermare l’autovettura, da parte di COGNOME.
Né la Corte di appello avrebbe spiegato perché l’azione dei poliziotti fosse sproporzionata, trovandosi costoro nella erronea convinzione di avere a che fare con agguerriti rapinatori muniti di fucili e non con due ignari cittadini.
La riprova della correttezza del comportamento sarebbe nella circostanza che COGNOME non è stato rinviato a giudizio per danneggiamento o violenza privata, né per tentate lesioni personali, essendo stata ritenuta scriminata la sua condotta, il che dovrebbe poter valere anche per COGNOME.
Né la Corte ha chiarito, in modo adeguato, perché non si verta in tema di errore colposo, al quale applicare l’art. 59, comma quarto, cod. pen., che renderebbe non punibile il delitto, in quanto il tentativo di lesioni colpose non è configurabile.
Il quarto motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto la decisione impugnata non farebbe buon governo del principio dell’«oltre ogni ragionevole dubbio», integrato quest’ultimo dalla probabile natura accidentale dell’esplosione del colpo d’arma da fuoco.
Il quinto motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 62, n. 5, ravvisandosi la colpa del COGNOME, nel non aver arrestato la marcia della propria autovettura a fronte dell’«Alt» della Polizia, senza che la Corte abbia motivato sul punto, risultando tale condotta concorrente nella causazione del danno.
Il sesto motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla dosimetria della pena, determinata al di sopra del minimo, senza adeguata giustificazione, tenendo conto che si tratta di un delitto tentato.
Difetta anche la motivazione per il diniego della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alle contestate aggravanti.
Il ricorso, depositato dopo il 30 giugno 2024, è stato trattato senza l’intervento delle parti, ai sensi del rinnovato art. 611 cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022 e successive integrazioni,
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME ha concluso per la inammissibilità del ricorso, rilevando come la denuncia di travisamento nel primo e secondo motivo non si confronterebbe con l’esistenza ‘doppia conforme’, che inibisce tale doglianza rispetto a mezzi di prova che non siano stati utilizzati in via esclusiva dalla Corte di appello; la tesi dell’accidentalità sarebbe stata vagliata ed esclusa con motivazione congrua dalla Corte di merito.
Il terzo motivo, relativo all’esimente dell’uso legittimo delle armi, non si confronta con le dichiarazioni dell’agente COGNOME che riferiva come il colpo fu sparato quando la vettura si era già fermata e con una adeguata motivazione della sentenza impugnata. Il quarto motivo sarebbe generico in quanto riferito a prove indiziarie mentre si verte in tema di prove dirette. Il quinto motivo non si confronterebbe con la motivazione al punto 7 della sentenza impugnata, sul tema del mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 5 cod. pen., fondata su una valutazione in fatto qui non censurabile, discutendosi inoltre di un reato di mera condotta per il quale è da escludersi la volontà delle persone offese di concorrere a determinare l’evento, non verificatosi. Infine, infondati sarebbero i motivi relativi al trattamento sanzionatorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini che seguono.
Il primo e il secondo motivo, per alcuni profili connessi, vanno trattati congiuntamente.
2.1 Va in primo luogo evidenziato come le denunce di travisamento risultano sostanzialmente infondate, in quanto la Corte di appello ha analizzato le deposizioni dei testimoni in maniera attenta, ritenendo maggiormente affidabili quelle rese dalle persone offese, valutando la costanza e la sovrapponibilità delle stesse, con il che deve rilevarsi come non viziata sia la conclusione che COGNOME alle attuali persone offese non ebbe a mostrare oltre alla pistola, anche la paletta di ordinanza, intimando loro l’«Alt», che le stesse persone offese riferivano di non
aver sentito, pur ammettendo di avere la radio accesa e, dunque, non potendo escludere che l’intimazione orale fosse intervenuta.
Non di meno, le censure mosse attingono per lo più il profilo del rilievo dell’antefatto e della convinzione che l’autovettura inseguita nella seconda fase fosse la stessa di quella dei reali rapinatori, oggetto dell’immediatamente precedente inseguimento.
Difatti l’autovettura era comparsa nella stessa zona ove che la prima auto, quella ritenuta dei reali rapinatori, si era data alla fuga.
Tale erronea convinzione – che identificava le attuali persone offese nei reali rapinatori – risulterebbe, a parere della difesa, avvalorata dalla fuga di queste ultime, COGNOME e COGNOME che costrinsero COGNOME a sparare agli pneumatici per arrestate l’auto degli (incolpevoli) fuggitivi.
A ben vedere – ferma l’impossibilità della Corte di legittimità di procedere alla rivalutazione del materiale probatorio, pure sollecitata in modo non consentito dalla difesa, per altro a fronte di una cd. doppia conforme – risulta fondato il vizio di illogicità manifesta quanto a due profili: l’univocità degli atti, requisito degli atti necessario per integrare il tentativo, nonché la natura dolosa e non colposa dell’esplosione del colpo d’arma da fuoco da parte di COGNOME.
2.2 Premesso che è stato certamente accertato che l’imputato sparò, alcuna valutazione, anche sulla scorta di elementi di verifica scientifica, viene riportata dalla sentenza impugnata quanto al profilo della idoneità e univocità della condotta, ai sensi dell’art. 56 cod. pen.
A ben vedere la Corte di appello afferma la idoneità degli atti, in quanto il colpo fu esploso dalla pistola impugnata da COGNOME in direzione dell’autovettura delle persone offese, posta a distanza ravvicinata rispetto quella all’interno della quale lo stesso COGNOME era seduto al posto guida.
Le auto, in sostanza erano affiancate e «il proiettile aveva attinto la parte inferiore dello specchietto retrovisore esterno, lato destro, destabilizzandosi e impattando, quindi la lamiera esterna dello sportello, così da determinare la rottura del finestrino»; prosegue la Corte territoriale osservando che da «le fotografie a pag. 17 della relazione del c.t. del pubblico ministero, si comprende come il proiettile abbia pericolosamente lambito il finestrino, quindi, una o entrambe le persone offese, che verosimilmente, ove colpite, avrebbero riportato conseguenze ben più gravi di una mera lesione. Solo una fortunata coincidenza, l’impatto contro lo specchietto e la definitiva collocazione della portiera, ha impedito al proiettile di attingere gli occupanti del veicolo» (fol. 10 della sentenza impugnata).
A ben vedere, non vi è dubbio che la doglianza è infondata quanto al requisito della idoneità degli atti posti in essere, in quanto l’esplosione di un colpo di arma
da fuoco da distanza ravvicinata mette in pericolo il bene della integrità fisica, ma anche della vita, con una rilevante attitudine e probabilità.
Ciò che però difetta del tutto nella valutazione della Corte territoriale è l’analisi del secondo requisito oggettivo che deve connotare gli ‘atti’, ex art. 56 cod. pen.: vale a dire la ‘direzione’ univoca degli stessi a commettere un delitto.
Va qui richiamato il principio per cui in tema di tentativo, per affermare l’univocità degli atti, ancorché la prova del dolo sia stata desunta aliunde, è necessario effettuare una seconda verifica per accertare se gli atti posti in essere, valutati nella loro oggettività per il contesto nel quale si inseriscono, per la loro natura e la loro essenza, siano in grado di rivelare, secondo le norme di esperienza e secondo l’id quod plerumque accidit, il fine perseguito dall’agente (Sez. 5, n. 4033 del 24/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267563 – 01, che ha annullato con rinvio la sentenza con cui il giudice di merito aveva affermato la responsabilità per tentato furto dell’imputato – introdottosi nel giardino di un convento a sua detta per trascorrervi la notte – limitandosi a valutare circostanze quali la fuga e la condizione di pregiudicato dell’agente, ritenuti inadeguati a fornire sostegno motivazionale alla condanna).
Tale principio ribadiva quanto affermato da Sez. 1, n. 9284 del 10/01/2014, COGNOME, Rv. 259249 – 01, chiarendo che in tema di delitto tentato, la direzione non equivoca degli atti, non indica un parametro probatorio ma una caratteristica oggettiva della condotta, nel senso che gli atti posti in essere devono di per sè rivelare l’intenzione dell’agente: la Corte chiariva in motivazione che, effettivamente, la prova del dolo può essere anche desunta “aliunde”, ma è comunque necessaria una seconda verifica al fine di stabilire se gli atti posti in essere, valutati nella loro oggettività, siano in grado di rivelare, secondo le norme di esperienza, quale fosse l’intenzione perseguita dall’agente.
A ben vedere, questa Corte ritiene condivisibili tali principi, dovendo trarsi dalla condotta nella sua oggettività la univocità della direzione degli atti.
In tal senso alcuna argomentazione viene spesa nella ricostruzione dei fatti dalla Corte di merito, per verificare quale fu la direzione del colpo, quale la traiettoria che il colpo avrebbe avuto se lo specchietto non vi fosse stato, provocando la deviazione verso la lamiera. Nessuna specifica annotazione di tipo balistico si rinviene nella sentenza, se non una approssimativa affermazione conseguente a una generica visione dei rilievi fotografici contenuti nella relazione del consulente tecnico – che il proiettile abbia «pericolosamente lambito il finestrino», cosicchè solo «una fortunata coincidenza» avrebbe evitato l’impatto con – entrambe – le persone offese: ma nessun riferimento viene riportato quanto alla direzione del colpo, alla altezza dello stesso al momento della partenza
e al momento dell’arrivo, tenendo in conto la posizione dello sparatore, seduto nella propria auto, e quella delle possibili vittime, sedute nella propria.
In sostanza la motivazione è deficitaria su un punto essenziale, che connota di direzione univoca l’idoneità dell’atto e che consentirebbe di comprendere se e in che misura, con adeguata precisione, il proiettile avrebbe attinto gli occupanti dell’altra auto in assenza dello specchietto.
Nel caso in esame, la motivazione impugnata non si sofferma quindi sulla univocità degli atti, venendo sostanzialmente a farla coincidere con l’intenzione di COGNOME, che esplodeva un colpo d’arma da fuoco verso le persone offese non con la volontà «di uccidere i malviventi, ma di ferirli, per evitarne la fuga, cosicché è verosimile che egli ritenne l’esplosione di un solo colpo».
Al di là della conclusione quanto alla prova del dolo di lesioni, sulla quale si tornerà a seguire, risulta evidente che la Corte territoriale ribalti il percorso argomentativo richiesto, nel senso che è l’atto nella sua oggettività che deve avere carattere di univocità espressiva della intenzione dell’agente, non potendo mutuarla dall’elemento psicologico.
Pertanto, la doglianza difensiva sul punto è fondata.
2.3 Va pertanto confermato che in tema di delitto tentato, la direzione non equivoca degli atti, non indica un parametro probatorio ma una caratteristica oggettiva della condotta, nel senso che gli atti posti in essere devono di per sè rivelare l’intenzione dell’agente.
2.4 Quanto alle censure mosse in ordine al dolo, deve rilevarsi come la Corte abbia tratto dalla dinamica, come ricostruita, la prova del dolo di lesioni (intenzione non di uccidere ma di ferire) per evitare la fuga dei presunti rapinatori.
Ma l’argomentazione è manifestamente illogica così come proposta: a ben vedere è la stessa sentenza impugnata a chiarire (fol. 9) che l’esplosione del colpo era condotta del tutto ‘anomala’, in quanto l’auto dei presunti rapinatori era ormai ferma, dopo essere stata colpita da COGNOME all’altezza degli pneumatici.
In sostanza, sussiste una evidente contraddizione fra l’arresto dell’auto delle persone offese e degli stessi – che dunque al più sarebbero dovuti fuggire a piedi – e l’esplosione di un colpo dall’auto verso l’altra vettura per impedire la fuga, così genericamente richiamata, senza specificare se la fuga riguardava l’auto o i suoi occupanti a piedi.
Inoltre, la Corte, richiamando l’anomalia della condotta di COGNOME, che arrestata l’auto dei presunti rapinatori doveva scendere dalla propria vettura per immobilizzare le attuali persone offese, introduce il riferimento a una condotta negligente, quindi colposa.
D’altro canto, la tesi difensiva della esplosione accidentale, quindi colposa, fondata sulla unicità del colpo, al quale non ne seguirono altri, viene disattesa
nella sentenza impugnata in ragione della circostanza che la pistola fu vista dalle persone offese: dunque, COGNOME ebbe a sporgersi volontariamente dall’autovettura ponendo il braccio all’esterno – a differenza di quanto narra COGNOME – per ferire (e non uccidere), «cosicchè è verosimile che egli ritenne sufficiente l’esplosione di un solo colpo» – salvo aggiungere, subito dopo, che Di COGNOME si sarebbe arrestato «potendosi ragionevolmente ritenere che a quel punto l’imputato desistette dallo sparare altri colpi» per la reazione vivace di COGNOME. Si tratta di due affermazioni contraddittorie.
In sostanza la circostanza che la pistola fu puntata sporgendosi all’esterno della auto civetta, tanto da essere visibile da parte delle persone offese, comproverebbe la non accidentalità della esplosione.
Ma questo punto della motivazione risulta manifestamente illogico, perché trae il dolo delle lesioni dalla condotta (punti 7 e 8 della sentenza), senza però confrontarsi con la circostanza che l’evento delle lesioni è stato evitato anche per la cessazione dell’azione da parte dell’imputato, che non ha esploso altri colpi di arma da fuoco, e la ragione di tale cessazione dell’azione lesiva non è stata definita univocamente, come si è ora rilevato.
A tal proposito va evidenziato come l’elemento della reiterazione dei colpi è per giurisprudenza pacifica significativo – pur se non sempre determinante (cfr. ad esempio Sez. 1, n. 45332 del 02/07/2019, Pesce, Rv. 277151 – 01) – quanto alla volontà lesiva dell’agente, tanto che nei delitti che attentano alla integrità personale e alla vita la sussistenza del dolo può desumersi, in mancanza di attendibile confessione, per via indiretta dalle peculiarità intrinseche dell’azione criminosa, aventi valore sintomatico in base alle comuni regole di esperienza, quali, a titolo esemplificativo, il comportamento antecedente e susseguente al reato, la natura del mezzo usato, le parti del corpo della vittima attinte, la reiterazione dei colpi (Sez. 1, n. 30466 del 07/07/2011, COGNOME, Rv. 251014 – 01, in tema di omicidio; conf.: N. 3185 del 2000 Rv. 215511 – 01, N. 39293 del 2008 Rv. 241339 – 01).
Una indagine approfondita sulla prova del coefficiente soggettivo non si ha nella sentenza impugnata, cosicché la Corte di appello offre una motivazione apparente quanto alla prova del dolo delle lesioni che avrebbero dovuto impedire la fuga, prova ritenuta in re ipsa, non valutando per un verso che l’auto dei presunti rapinatori era ferma, e dunque che la fuga che doveva essere evitata sarebbe stata solo quella a piedi, ma che a fronte di ciò l’esplosione del colpo era decisamente anticipata, in quanto le persone offese erano ancora nell’auto.
Né la sentenza si confronta con il dato che l’imputato abbia voluto solo puntare l’arma temendo che i presunti rapinatori a loro volta impugnassero i fucili, con i quali avevano commesso la rapina.
In tal senso, andava verificata la sussistenza, per giungere alla prova del dolo, di una pluralità di elementi, esemplificativamente indicati dalle Sezioni Unite di questa Corte a proposito della distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente, che però questa Corte ritiene esemplificativamente utili per per provare o escludere l’uno o l’altro coefficiente soggettivo (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261104 – 01).
In tal senso significativi per l’approfondimento a farsi possono risultare indicatori quali: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalità e le pregresse esperienze dell’agente; c) la durata e la ripetizione dell’azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali; f) la probabilità di verificazione dell’evento; g) le conseguenze negative anche per l’autore in caso di sua verificazione; h) il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l’azione nonché la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento (cosiddetta prima formula di Frank).
Deve rilevarsi come tali criteri possano soccorrere nel caso in esame, ancor più per valutare la sussistenza della prova del dolo diretto di lesioni, come prospettato dalla sentenza impugnata, a fronte di una condotta che potrebbe essere colposa, connotata dalle descritte anomalie nella condotta dell’agente, quale appartenente alle forze di polizia, rilevate dalla stessa Corte territoriale.
Evidentemente l’esito dell’indagine, che spetta alla Corte di appello in sede di rinvio, in caso di colpa condurrebbe alla non configurabilità del tentativo (cfr. Sez. 1, n. 6532 del 20/11/1997, dep. 1998, COGNOME, Rv. 209372 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 26492 del 2015, n.m.)
In tal senso occorre allora che la Corte di appello del giudizio rescissorio effettui una più approfondita indagine in ordine al coefficiente soggettivo, qualora risulti superato quello relativo alla univocità degli atti ex art. 56 cod. pen., perché se è vero che tale prova deve o può essere tratta dalle modalità della condotta, è anche vero che l’indagine non può prescindere da una analisi complessiva degli elementi distinti, dall’antefatto, dall’errore nel quale l’imputato era incorso con il collega nell’inseguire le due persone offese che non erano i rapinatori armati, come anche dalle esperienze pregresse dell’agente e dalla compatibilità della condotta tenuta con le regole professionali da tenere da parte degli operatori di polizia in casi analoghi.
Ritenuta la fondatezza dei primi due motivi di ricorso, mentre gli altri risultano assorbiti in quanto logicamente conseguenti, va quindi annullata la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Salerno.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Salerno.
Così deciso in data 11/10/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidenté