Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 28803 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 28803 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NOME COGNOME il 21/09/1981
avverso la sentenza del 06/02/2025 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Visti gli atti e la sentenza impugnata;
esaminato il ricorso proposto, a mezzo del difensore, da COGNOME COGNOME ritenuto responsabile, all’esito della sentenza resa dalla Corte d’appello di Reggio Calabria del reato di cui agli artt. 56, 73, comma 4, d.P.R. 309/90 – così riqualificata l’originaria imputazione.
Rilevato che, a motivi di ricorso, la difesa lamenta quanto segue.
I) Erronea applicazione della legge penale per avere, la Corte di merito sussunto i fatti oggetto del processo nell’ipotesi di delitto tentato ex art. 56 cod. pen. Carenza assoluta di motivazione nonché illogicità e contraddittorietà della stessa relativamente al fatto-reato oggetto di imputazione.
La Corte di Appello di Reggio Calabria, nel riformare parzialmente la sentenza di primo grado, perviene alla conclusione che COGNOME NOME avrebbe commesso il reato di tentato acquisto di sostanza stupefacente finalizzato ad una successiva vendita ex artt. 56 c.p. e 73, comma 4, d.P.R. 309/90, in quanto egli avrebbe portato avanti una trattativa senza giungere all’accordo finale sulla fornitura.
Il giudicante è incorso in un evidente errore di diritto nel considerare che le condotte contestate all’imputato possano dirsi sussumibili nell’ipotesi tentata del reato di acquisto di sostanze stupefacenti per una successiva rivendita.
La motivazione, infatti, in punto di valutazione del tentativo, risulta essere assolutamente carente sotto il profilo degli elementi probatori da cui desumere che l’azione posta in essere dal ricorrente abbia i requisiti di idoneità e univocità richiesti dall’art. 56 del codice penale.
La sentenza impugnata, sul punto, è affetta da una duplice patologia: 1. Il vizio di legge per avere il giudice, erroneamente, applicato l’ipotesi di delitto tentato; 2. Carenza ed illogicità della motivazione, nella parte in cui il giudice, escludendo l’autonoma rilevanza penale dell’episodio “campione”, effettuava una sorta di recupero della condotta relativa all’accordo mai raggiunto (condotta esclusa dalla sentenza di primo grado) sussumendo il fatto nell’ipotesi di delitto tentato. Circostanza, quest’ultima, assolutamente non più giudicabile in quanto categoricamente esclusa dalla sentenza di primo grado.
II) Erronea applicazione della legge penale per non avere, la Corte di merito, qualificato il fatto contestato al ricorrente nell’ipotesi della lieve entità di all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990. Carenza assoluta di motivazione. Omessa pronunzia sui motivi d’appello.
Sui motivi dedotti si osserva quanto segue.
Il primo motivo di doglianza è inammissibile, in quanto palesemente versato in fatto.
Dietro l’apparente prospettazione del vizio di legittimità, la difesa offre una diversa ricostruzione e valutazione del fatto, con sollecitazione rivolta alla Corte di legittimità ad una rivalutazione del materiale probatorio in atti.
Il ricorso così proposto investe profili del giudizio rimessi alla esclusiva competenza della Corte di appello, che ha fornito una congrua e adeguata motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità dell’imputato ed alla riqualificazione del fatto nella ipotesi del tentativo, esente da vizi logic perché basata su corretti criteri di inferenza, espressi in un ragionamento fondato su condivisibili massime di esperienza.
Nel ripercorrere la vicenda che occupa, la Corte d’appello ha rammentato come l’accusa si fondi su servizi di intercettazione e di videoripresa attivati presso una cava di Gioia Tauro. In quel luogo l’imputato si era recato per incontrare COGNOME NOME, COGNOME NOME ed un altro soggetto rimasto non identificato, ricevendo dal soggetto non identificato un campione di sostanza stupefacente, conservata presso la cava su indicazione dell’imputato. il campione viene lasciato sul posto da COGNOME.
Si comprende dal tenore delle conversazioni intercettate, riportate in motivazione – il cui significato, come rimarcato in sentenza, risulta essere
t
alquanto esplicito – come RAGIONE_SOCIALE fungesse da intermediario per l’acquisto di una partita di stupefacente da parte di un terzo
(“faccio da tramite…io non voglio mettermi con queste co…”).
Si chiarisce, sempre dalla conversazione intercettata il 15/9/2017, che COGNOME avesse deciso di lasciare sul posto il campione di
stupefacente per fare in modo che il destinatario potesse esaminarlo, onde evitare successivi problemi alla consegna (“…meglio che viene lui a vederla,
perché non voglio che se la porta e poi me la porta indietro”).
Alla stregua di tali emergenze, la Corte di merito ha ritenuto, offrendo una motivazione logica e coerente rispetto alle emergenze rappresentate, che la
condotta del ricorrente dovesse essere sussunta sotto la fattispecie del tentativo, la quale era stata peraltro invocata dalla stessa difesa nell’atto di appello.
All’uopo ha osservato come la contrattazione tra Prochilo ed il fornitore – intervenuta allo scopo di procurare stupefacente a terzi – non si fosse conclusa e
come non potesse individuarsi nel comportamento serbato dall’imputato alcuna forma di desistenza (la decisione di COGNOME di non portare a compimento
l’operazione, ha spiegato la Corte territoriale, non è stata spontanea, ma determinata dal controllo di polizia subito dopo l’incontro nella cava e dalla
circostanza che l’imputato aveva compreso il rischio a cui si esponeva, sospettando di essere monitorato dalle Forze dell’ordine).
Le argomentazioni a sostegno del decisum
sono rispettose dei principi stabiliti in questa sede [cfr. Sez. 5, n. 54188 del 26/09/2016, COGNOME, Rv.
268749:«Si configura il tentativo di acquisto di sostanza stupefacente destinata allo spaccio quando l’ “iter criminis” si sia interrotto prima della conclusione
dell’accordo tra acquirente e venditore in ordine alla quantità, alla qualità e al prezzo della sostanza. (In applicazione del principio, la SRAGIONE_SOCIALE. ha ritenuto immune da censure la sentenza di condanna per tentato acquisto, in una fattispecie in cui erano state intercettate comunicazioni tra l’imputato ed altro soggetto nelle quali il primo, manifestando la volontà di acquistare cocaina presso un fornitore ed al prezzo indicatogli dal secondo, chiedeva a quest’ultimo di mettersi in contatto con il predetto fornitore, per verificare la disponibilità dello stupefacente)»].
Non scalfiscono la correttezza della ricostruzione operata dalla Corte d’appello le osservazioni difensive: il primo giudice ha ritenuto di individuare nella condotta serbata dall’imputato il reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. 309/90 nella forma consumata; la Corte d’appello ha corretto tale impostazione, riqualificando la condotta, all’esito di una puntuale disamina delle circostanze risultanti in atti, nella forma tentata. Come è noto, il giudice di secondo grado può, nell’ambito dei punti impugnati, procedere a nuova valutazione del materiale probatorio raccolto, indipendentemente dall’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di primo grado.
Parimenti inammissibile è il motivo riguardante il mancato riconoscimento della fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90. Lla Corte di merito ha fatto buon governo della norma che si assume violata: attingendo correttamente a tutti i dati probatori disponibili ed effettuando una valutazione complessiva della condotta dell’imputato, ha negato la ricorrenza della fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 sulla base di una serie di elementi (significativo dato ponderale, non occasionalità della condotta di intermediazione nella compravendita di stupefacenti) incompatibili con la nozione della minima offensività.
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 24 giugno 2025.