Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 32830 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 32830 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/09/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME, nato a Ceglie Messapica il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato a Prato il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato in Romania il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/10/2024 della Corte d’appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore NOME COGNOME, il quale ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili;
udito l’AVV_NOTAIO – in difesa di RAGIONE_SOCIALE, nonché, in sostituzione, per delega orale, dell’AVV_NOTAIO, anche in difesa, oltre che dello stesso RAGIONE_SOCIALE, di COGNOME NOME e di COGNOME NOME – il quale, dopo la discussione, ha insistito per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 10/10/2024, la Corte d’appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del 07/05/2015 del Tribunale di Pistoia:
aderendo all’accordo intercorso tra le parti ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., rideterminava in due anni e sette mesi di reclusione ed C 1.600,00 di multa la pena irrogata a NOME COGNOME per i reati di:
a.1) tentata rapina aggravata in concorso (con NOME COGNOME e con NOME COGNOME) ai danni della Banca Credito RAGIONE_SOCIALEerativo di Vignola sita in Prato di cui al capo d) dell’imputazione;
a.2) tentata rapina aggravata in concorso (con NOME COGNOME e con NOME COGNOME) ai danni della Banca RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE sita in Prato di cui al capo e) dell’imputazione;
a.3) tentata rapina aggravata in concorso (con NOME COGNOME e con NOME COGNOME) ai danni della Banca RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE di Firenze sita in Tavarnuzze di cui al capo f) dell’imputazione;
a.4) tentata rapina aggravata in concorso (con COGNOME) ai danni della Banca RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE di Prato sita in Prato di cui al capo g) dell’imputazione;
riduceva a cinque anni e sei mesi di reclusione ed C 1.500,00 di multa la pena irrogata a NOME COGNOME per i reati – in ordine ai quali confermava la condanna dell’imputato – di:
b.1) rapina aggravata in concorso (con NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, oltre che con altri soggetti rimasti ignoti) ai danni della RAGIONE_SOCIALE di cui al capo c) dell’imputazione;
b.2) tentata rapina aggravata in concorso (con NOME COGNOME e con NOME COGNOME) ai danni della Banca Credito RAGIONE_SOCIALEerativo di Vignola sita in Prato di cui al capo d) dell’imputazione;
b.3) tentata rapina aggravata in concorso (con NOME COGNOME e con NOME COGNOME) ai danni della Banca RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE sita in Prato di cui al capo e) dell’imputazione;
b.4) tentata rapina aggravata in concorso (con NOME COGNOME e con NOME COGNOME) ai danni della Banca RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE di Firenze sita in Tavarnuzze di cui al capo f) dell’imputazione;
b.5) tentata rapina aggravata in concorso (con NOME COGNOME) ai danni della Banca RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE di Prato sita in Prato di cui al capo g) dell’imputazione;
aderendo all’accordo intercorso tra le parti ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., rideterminava in due anni e due mesi di reclusione ed C 1.400,00 di multa la pena irrogata a NOME COGNOME per i reati di:
c.1) tentata rapina aggravata in concorso (con NOME COGNOME e con NOME COGNOME) ai danni della Banca Credito RAGIONE_SOCIALEerativo di Vignola sita in Prato di cui al capo d) dell’imputazione;
c.2) tentata rapina aggravata in concorso (con NOME COGNOME e con NOME COGNOME) ai danni della Banca RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE sita in Prato di cui al capo e) dell’imputazione;
c.3) tentata rapina aggravata in concorso (con NOME COGNOME e con NOME COGNOME) ai danni della Banca RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE di Firenze sita in Tavarnuzze di cui al capo f) dell’imputazione.
Avverso la menzionata sentenza del 10/10/2024 della Corte d’appello di Firenze, hanno proposto ricorsi per cassazione, con un unico atto a firma dei propri difensori AVV_NOTAIO. NOME AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, affidati a tre motivi.
2.1. L’esposizione degli stessi è preceduta da un’ampia argomentazione a sostegno dell’«ammissibilità del ricorso anche per la parte relativa ai c.d. “concordati” ex art. 599 bis c.p.p. raggiunti con il procuratore generale per AVV_NOTAIO COGNOME NOME e COGNOME NOME».
Tale ammissibilità troverebbe il proprio fondamento in quanto affermato da Sez. U, n. 19415 del 17/10/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284481-01.
I ricorrenti aggiungono che, in ogni caso, «l motivo “non rinunciato” attiene al punto 9 dell’atto di appello» a firma dell’AVV_NOTAIO, in particolare, a secondo e al quarto capoverso della pag. 30 di tale atto. A loro avviso, «l motivo di ricorso presuppone necessariamente la sussistenza della fattispecie tentata; di contro l’applicazione della pena sul punto sarebbe illegittima».
Ciò posto, gli imputati anticipano che, nei motivi, illustreranno «le ragioni per le quali le fattispecie di tentata rapina per le quali è stata inflitta condanna ai du ricorrenti di cui sopra è da ritenersi giuridicamente inesistente, poiché carente dei requisiti minimi di offensività delle condotte come oggettivamente ritenute provate in giudizio e, sulle quali, i due imputati hanno concordato la loro responsabilità».
2.2. Con il primo motivo – che attiene alla posizione di COGNOME con riguardo all’affermazione della sua responsabilità per il reato di rapina aggravata in concorso cui al capo c) dell’imputazione -, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, con riferimento agli artt. 42, 110 e 628, primo e terzo comma, cod. pen., e agli artt. 192 e 605 cod. proc. pen., in ordine alla «partecipazione materiale o morale dello RAGIONE_SOCIALE alle condotte contestate, nonché alla sussistenza dell’elemento soggettivo di esse».
La Corte d’appello di Firenze non avrebbe argomentato «sulla fallacia o inadeguatezza dei motivi di appello» in quanto si sarebbe «limitata a ribadire, acriticamente, quanto affermato dal primo Giudice».
Ciò sarebbe vero, in primo luogo, per la «chiara contestazione» dello RAGIONE_SOCIALE in ordine alla riconducibilità a sé dell’utenza cellulare n. 3279423648, «presupposto indefettibile per l’attribuzione di responsabilità in ordine al capo d’imputazione».
Ciò varrebbe altresì, in secondo luogo, per la questione – che era stata anch’essa sollevata con i motivi di appello – che, anche ad attribuire all’imputato la suddetta utenza cellulare n. 3279423648, l’altra utenza cellulare con cui egli sarebbe stato in contatto mentre svolgeva il ruolo di palo, la n. 3883507606, non era «stata rinvenuta nella disponibilità degli autori materiali della rapina, arrestat immediatamente dopo», in particolare, nella disponibilità dell’autore materiale NOME COGNOME, con cui lo RAGIONE_SOCIALE sarebbe stato appunto in contatto mentre il COGNOME commetteva materialmente il reato. Secondo il ricorrente, la Corte d’appello di Firenze avrebbe motivato in modo contraddittorio e illogico a tale riguardo, «affermando in un primo momento che la prova che l’utenza di cui sopra fosse in uso al COGNOME emergerebbe dal fatto che egli aveva con sé al momento dell’arresto il telefono cellulare riportante l’utenza indicata (?) e dal verbale di perquisizione risulta che vennero sequestrati a costui una serie di cellulari con l’indicazione delle sim abbinate, per poi concludere asserendo che il fatto che la sim con utenza n. 3383507606 non fosse tra quelle rinvenute nella perquisizione non dimostra che COGNOME non l’avesse in uso durante la rapina». Secondo il ricorrente, non si comprenderebbe il significato della locuzione secondo cui il telefono cellulare che il COGNOME aveva con sé «riporta l’utenza indicata» atteso che «n cellulare può riportare una utenza se vi è inserita la sim corrispondente, altrimenti il ragionamento perde di coerenza e di significato, non consentendo alla parte di comprendere le reali argomentazioni sottese al predetto ragionamento». La Corte d’appello di Firenze avrebbe contraddittoriamente ritenuto «che COGNOME avesse con sé questo telefono abbinato alla sim in questione, per poi argomentare, subito dopo, che la sim non l’aveva con sé al momento dell’arresto». Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
Lo RAGIONE_SOCIALE ribadisce che l’istruttoria dibattimentale non aveva pertanto dimostrato l’utilizzo, da parte sua, dell’utenza cellulare n. 327942348 e che, dalla stessa istruttoria, era emerso che l’autore materiale della rapina NOME COGNOME non possedeva, in quel momento, l’utenza n. 3883507606 che sarebbe stata in contatto con l’utenza cellulare n. NUMERO_TELEFONO.
La Corte d’appello di Firenze non avrebbe quindi reso una motivazione logica e non contraddittoria rispetto all’interrogativo che era stato posto nell’atto d
appello «sulla non riconducibilità allo RAGIONE_SOCIALE COGNOME e al COGNOME dei ruoli di interlocutori nelle conversazioni intercettate tra le predette utenze nel corso dell’esecuzione materiale della rapina».
In terzo luogo, la Corte d’appello di Firenze avrebbe motivato in modo meramente apparente in ordine al rilievo difensivo con il quale era stata stigmatizzata la scelta della polizia giudiziaria di non procedere all’arresto dello RAGIONE_SOCIALE, atteso che la stessa Corte non avrebbe considerato che tale rilievo «puntava il dito verso la deliberata decisione degli organi di polizia di contravvenire ad un obbligo di legge su di essi gravante, coincidente con l’arresto obbligatorio nella flagranza di reato di rapina aggravata di tutti i concorrenti». Scelta che gli inquirenti non avrebbero mai chiaramente giustificato.
2.3. Con il secondo motivo – che attiene alla posizione di tutti e tre gli imputati con riguardo ai reati di tentata rapina aggravata in concorso di cui ai capi d), e), f) e g) dell’imputazione a essi rispettivamente attribuiti -, i ricorrenti deducono, relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale e, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, con riferimento agli artt. 49, 56, 110 e 628, primo e terzo comma, cod. pen., e agli artt. 530 e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in ordine alla «non configurabilità del tentativo per violazione del principio di minima offensività della condotta penalmente sanzionabile».
Secondo i ricorrenti, i fatti di cui a tutti i capi d’imputazione d), e), f) e g) avrebbero raggiunto la soglia del tentativo punibile, «fermandosi tutt allo stadio dei c.d. atti preparatori non ancora ultimati, non giunti ad un grado tale da lasciare la possibilità agli autori del progettato reato di dare inizio alla fase esecutiva dell stesso».
Sempre ad avviso dei ricorrenti, «’incompiutezza del tentativo è il discrimine tra la rilevanza o non rilevanza penale della condotta; essa si manifesta in due casi distinti: – quando l’azione non giunge al compimento; – quando l’evento non si verifica, nonostante l’azione fosse giunta a compimento».
Dopo avere esposto un’ampia rassegna di giurisprudenza di legittimità e di merito dalla quale tale tesi trarrebbe conforto (pagg. 12-17 del ricorso), i ricorrenti contestano che l’affermazione della Corte d’appello di Firenze circa l’«ampio superamento della soglia del tentativo punibile» non sarebbe supportata da idonee considerazioni in diritto.
Inoltre, dopo avere premesso che «le difese di COGNOME e di COGNOME non coincidono integralmente», i ricorrenti contestano che «quindi non corrisponde al vero che i difensori (dunque entrambi), muniti di procure speciali, abbiano rinunciato ai motivi di appello circa i capi di imputazione relativi all
tentate rapine per le posizioni del secondo e terzo dei suddetti imputati, contestando tali fatti solo per il primo». A differenza di quanto avrebbe sostenuto la Corte d’appello di Firenze, «il difensore comune di tutti e tre gli imputati, AVV_NOTAIO, ha discusso criticando la condanna di COGNOME per la fattispecie di cui al capo C) dell’imputazione, mentre il codifensore (solo) di COGNOME ha riportato l’attenzione della Corte d’Appello alle critiche mosse con l’atto di gravame ai capi di imputazione concernenti tutte le tentate rapine, sotto il profilo dell radicale non conformità delle fattispecie concrete al paradigma astratto degli artt. 56 e 628 c.p.».
I ricorrenti passano quindi a esaminare le singole tentate rapine di cui ai capi d), e), f) e g) dell’imputazione.
2.3.1. Quanto a quella di cui al capo d), i ricorrenti, sotto un primo profilo, dopo avere rappresentato che, al fine di ritenere superata la soglia del tentativo punibile, la Corte d’appello di Firenze aveva considerato dirimente il fatto che gli agenti avevano «già manomesso la porta posteriore della banca» (pag. 15 della sentenza impugnata), deducono che sarebbe stato proprio il testimone della polizia giudiziaria NOME COGNOME a «confermare che l’iter della preparazione di questa rapina non era ancora completo perché mancavano altri adempimenti da fare» (così il ricorso), avendo il COGNOME in particolare dichiarato che «il cilindro l’abbiamo tolto noi, quindi non si può parlare di manomissione».
I ricorrenti espongono che, rispetto a tale circostanza, vi sarebbero in atti dei rilievi della polizia scientifica «che nulla aggiungono con certezza in ordine alla idoneità delle operazioni rilevate visivamente sul cilindro di questa porta al fine di consentire agli imputati un futuro ingresso nella banca durante l’orario di apertura dell’Agenzia», sorgendo infatti l’interrogativo «se fosse sufficiente per far fare ingresso ai rapinatori in una futura, eventualmente ideata, rapina, l’operazione sul cilindro della serratura descritto dalle foto effettuate dalla polizia scientifica o s come pensiamo e come ha “ammesso”, anche il suddetto teste, si sarebbero rese necessarie ulteriori operazioni di scasso».
Si porrebbero altresì gli interrogativi, che sarebbero rimasti senza risposta: «circa il fatto che da quella porta ove era stato in parte manomesso il cilindro si potesse accedere direttamente ai locali della banca oppure se, invece, ci fossero porte scorrevoli ad apertura controllata di sicurezza, ormai presenti in tutti gli Istituti bancari»; «se, quella della banca, fosse una porta allarmata che avrebbe prodotto l’effetto di mettere in atto qualche strumento difensivo dell’Agenzia nel caso in cui i rapinatori si fossero introdotti proprio da quel varco. Su questo punto l’AVV_NOTAIO (p. 105 trascrizione verbale udienza del 20.11.2013) sostiene che, forse, gli imputati individuavano porte non allarmate controllando in alto se vi fossero tacchettine con i fili o, forse, i medesimi erano soliti effettuare delle prove
per vedere se suonava l’allarme, ma su questi elementi le sue dichiarazioni si limitano a riportare sospetti ed illazioni, senza fornire alcunché di certo per affermare che quella specifica porta fosse, o non fosse, allarmata».
In assenza di questi accertamenti, non sarebbe possibile affermare ragionevolmente «che l’operazione fotografata su questo cilindretto sia da qualificarsi come condotta univocamente sussumibile in un inizio di esecuzione della condotta tipica corrispondente alla descrizione legale della fattispecie delittuosa contestata, neppure nella fase del tentativo», ben potendosi ritenere anche che la stessa operazione «non era tale da aver innescato in maniera incontrovertibile, se non per l’effetto di agenti esterni imprevedibili, l’iter criminis esecutivo della rapina citata perché, nonostante l’esecuzione di tale operazione, non sarebbe stato impossibile, né inverosimile, che gli ideatori del colpo potessero decidere di non porlo in essere».
Anche qualora si fosse raggiunta la prova dell’effettuazione di sopralluoghi da parte degli imputati, sarebbero «senz’altro da relegare nella classe dei meri atti preparatori non diretti in modo univoco alla commissione dei reati contestati tutte le azioni richiamate dalla Corte d’appello nella motivazione della sentenza impugnata». Atti «ancora non concretizzatisi in atti tipici, corrispondenti, anche solo in minima parte – come inizio di esecuzione – alla descrizione legale della fattispecie delittuosa contestata».
Sotto un secondo profilo, i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello di Firenze avrebbe del tutto omesso di motivare in ordine alla doglianza difensiva con la quale era stata dedotta la sussistenza, nella specie, di un reato impossibile, in quanto, «nel giorno ritenuto prestabilito per l’esecuzione della ipotizzata rapina de qua, è risultato che la sede della banca “bersaglio” era stata trasferita da altra parte già da alcuni giorni».
La filiale della banca «non era temporaneamente chiusa, ma si era trasferita, era stata definitivamente chiusa e, seppur da poco tempo, ciò non era avvenuto proprio quel giorno, ma alcuni giorni prima», il che avrebbe reso non conferente la giurisprudenza che era stata al riguardo richiamata dal Tribunale di Pistoia.
2.3.2. Quanto alla tentata rapina di cui al capo e) dell’imputazione, i ricorrenti trascrivono sia la motivazione della Corte d’appello di Firenze al riguardo sia le «eccezioni mosse dalla difesa» nei capoversi dal secondo in poi della pag. 19 e nei primi due paragrafi della pag. 20 dell’atto di appello a firma dell’AVV_NOTAIO.
Tanto trascritto, i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello di Firenze si sarebbe «limitata a riportare un dato fattuale, privo di contesto e del tutto inconsistente dal punto di vista probatorio, che non fornisce risposta adeguata alle precise doglianze difensive sopra richiamate», tra le quali gli appellanti avevano
in particolare sottolineato: come la dichiarazione dell’ispettore COGNOME secondo cui «i preparativi di questa banca diciamo cominciano la sera stessa del 22 marzo» si dovesse ritenere «emblematica in quanto racchiude in sé il cuore della vicenda. Le condotte verificate dalla polizia giudiziaria, infatti, si traducono in meri preparativ e tali resteranno fino all’abbandono del proposito criminoso»; come si dovesse ritenere che la dichiarazione dello stesso ispettore COGNOME secondo cui «poi dovevano smontare questo benedetto condizionatore che non gli permetteva l’accesso, perché comunque non sarebbero potuti entrare» si dovesse ritenere avere fornito «un dato dirimente».
2.3.3. Quanto alla tentata rapina di cui al capo f) dell’imputazione, i ricorrenti trascrivono sia la motivazione della Corte d’appello di Firenze al riguardo sia le «argomentazioni difensive» contenute nei capoversi dal quarto in poi della pag. 21, nella pag. 22 e nei primi tre paragrafi della pag. 23 dell’atto di appello a firma dell’AVV_NOTAIO.
Tanto trascritto, i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello di Firenze avrebbe ignorato tali argomentazioni, con le quali gli appellanti avevano in particolare sottolineato: che «elle conversazioni nn. 353, 382 e 385 emerge che COGNOME avrebbe tentato di forzare la porta di accesso alla banca, ma di non esservi riuscito a causa di un paletto che la bloccava dall’interno, decidendo con COGNOME di rivolgere l’attenzione allo smontaggio di una finestra, visto che non riuscivano a preparare la via d’accesso alla porta. Successivamente gli imputati decidevano di desistere dal proposito delittuoso essendosi accorti tramite gli scanner dei segnalatori g.p.s. presenti sulle loro auto»; come si dovesse reputare non «possibile ritenere allo stesso tempo che una porta non fosse ancora stata scassinata in modo da consentire l’accesso alla banca e che i lavori di smontaggio della finestra fossero solo iniziati, ma non ultimati, e sostenere poi che vi sia stato un seppur parziale inizio dell’iter criminis, poi non consumatosi rispetto al delitto contestato, così da far ritenere il superamento della soglia del tentativo punibile»; come il testimone ispettore COGNOME avesse dichiarato che «ella porta che COGNOME stava cercando di forzare per far accedere i complici alla banca, c’era ancora lucchetto interno da neutralizzare in qualche modo prima dell’esecuzione della rapina» (così l’atto di appello).
2.3.4. Quanto alla tentata rapina di cui al capo g) dell’imputazione, i ricorrenti trascrivono sia la motivazione della Corte d’appello di Firenze al riguardo sia le doglianze difensive contenute nei capoversi dal terzo in poi della pag. 24 e nei primi cinque paragrafi della pag. 25 dell’atto di appello a firma dell’AVV_NOTAIO.
Tanto trascritto, i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello di Firenze non avrebbe fornito risposta a tali doglianze, con le quali gli appellanti avevano in
particolare sottolineato che, secondo quanto era stato riferito dal testimone ispettore COGNOME, «il buco effettuato era ancora piccolo, non sufficiente al passaggio di una persona» (testualmente: «20 centimetri»), il che avrebbe «dato contezza della assoluta inidoneità di tale lavoro preparatorio della rapina a consentire l’introduzione dei futuri esecutori del progettato delitto nei locali della banca», con la conseguenza che «nche in questo caso sussiste la prova che gli atti posti in essere fino a quel momento dagli imputati non erano idonei alla consumazione del reato contestato, pertanto non ci troviamo ancora, neppure stavolta, nella fase del tentativo punibile».
2.3.5. I ricorrenti concludono che la Corte d’appello di Firenze sarebbe incorsa nell’erronea interpretazione dell’art. 56 cod. pen. con l’affermare la responsabilità per tutte e quattro le tentate rapine di cui ai capi d), e), f) e g) dell’imputazion atteso che il tentativo «impone il superamento di una soglia minima di offensività, sussistente solo laddove il bene giuridico espressamente tutelato dalla norma della corrispondente fattispecie consumata sia stato già attinto dal pericolo di subire l’evento dannoso tipizzato dal precetto penale di riferimento».
Attesa, invece, «la radicale inidoneità del fatti concreti ritenuti provati dai giudici di primo e secondo grado al superamento della soglia del tentativo punibile di rapina aggravata, contestato nei quattro capi d’imputazione di cui si discute», la sentenza impugnata dovrebbe essere annullata anche con riguardo alle «statuizioni di secondo grado in punto di concordato in appello ex art. 599 bis c.p.p. involgente le posizioni di COGNOME NOME e di COGNOME NOME».
2.4. Con il terzo motivo – che attiene alla posizione di COGNOME il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale e, in relazione all’art. 606, Comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, con riferimento agli artt. 133, 199 e 235 cod. pen., e all’art. 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., nonché alla direttiva 2004/38/CE del 29 aprile 2004, recepita con il d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, con riguardo alla «richiesta di revoca della misura di sicurezza dell’allontanamento dal territorio dello stato ex art. 235 c.p. confermata in grado di appello».
Il ricorrente deduce anzitutto che la Corte d’appello di Firenze, nel confermare tale misura di sicurezza nei suoi confronti, avrebbe motivato in modo meramente apparente in ordine alla sussistenza in concreto della sua pericolosità sociale.
In secondo luogo, lo RAGIONE_SOCIALE lamenta che la Corte d’appello di Firenze sarebbe «ricad in una motivazione incentrata unicamente sulla ritenuta pericolosità sociale dell’imputato, sufficiente ai fini di ordinare l’espulsione di u cittadino extracomunitario, ma non nel caso di specie trattandosi dell’allontanamento di un cittadino dell’Unione per il quale la direttiv
2004/38/CE del 29 aprile 2004, recepita nell’ordinamento interno dal d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, prevede una disciplina speciale e maggiormente restrittiva».
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo – che attiene alla posizione di NOME COGNOME con riguardo all’affermazione della sua responsabilità per il reato di rapina aggravata in concorso di cui al capo c) dell’imputazione – non è fondato.
Le conformi sentenze dei giudici del merito hanno ritenuto provato che lo RAGIONE_SOCIALE fosse il possessore dell’utenza cellulare n. 3279423648 sulla base delle seguenti risultanze investigative, sulle quali aveva riferito il testimone della polizia giudiziaria ispettore COGNOME): 1) NOME COGNOME, che si trovava a bordo di un’autovettura Smart nella quale erano eseguite intercettazioni ambientali, aveva chiamato il suindicato numero di telefono cellulare, dopo che esso gli era stato fornito da NOME NOME COGNOME, e aveva dato appuntamento in un luogo («dinanzi al bar della coop»; pag. 5 della sentenza di primo grado) alla persona che aveva risposto a tale chiamata; 2) seguendo, grazie al GPS, i percorsi sia della menzionata autovettura Smart sia dell’autovettura Alfa 147 che era in uso allo RAGIONE_SOCIALE, si era constatato che i due veicoli si erano incontrati presso la RAGIONE_SOCIALE, cioè proprio nel luogo che era stato convenuto tra il COGNOME e il possessore dell’utenza cellulare n. NUMERO_TELEFONO.
Diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, si deve ritenere che i giudici del merito abbiano del tutto logicamente ritenuto che tali risultanze investigative comprovassero che lo RAGIONE_SOCIALE fosse il possessore dell’utenza cellulare n. 3279423648. È infatti del tutto logico ritenere che, se al possessore di 94.70/ un’utenza cellulare viene fern appuntamento in un determinato luogo, il soggetto che si presenta in quel luogo convenuto sia colui al quale lo stesso appuntamento era stato dato e, quindi, colui che disponeva della suddetta utenza cellulare.
Si deve anche osservare che il ricorrente ha sostenuto che la Corte d’appello di Firenze non avrebbe fornito risposta alla «chiara contestazione» che egli aveva avanzato in ordine alla disponibilità, in capo a sé, dell’utenza in questione, ma non appare essersi confrontato con l’indicata motivazione dei giudici del merito al riguardo, né appare tanto meno avere indicato per quali ragioni la stessa motivazione si sarebbe dovuta ritenere contraddittoria o manifestamente illogica. Ne discende che il motivo risulta, sul punto, anche aspecifico e generico.
Posta la logicità, per le ragioni che si sono dette, della motivazione in ordine alla disponibilità dell’utenza cellulare n. 3279423648 da parte dello RAGIONE_SOCIALE, si deve rilevare che i giudici del merito hanno motivato il concorso di tale imputato nella rapina di cui al capo c) dell’imputazione con l’ulteriore argomentazione – che appare anch’essa priva di contraddizioni e di illogicità, tanto meno manifeste – che
colui che aveva la disponibilità della medesima utenza e, quindi, lo RAGIONE_SOCIALE, aveva intrattenuto, tramite la stessa, mentre la rapina era in corso, due conversazioni (la n. 7 delle ore 16:36 e la n. 8 delle ore 16:38, quest’ultima della durata di oltre trenta minuti) con uno dei soggetti che stava materialmente commettendo la stessa rapina, dal contenuto delle quali era risultato con certezza come lo RAGIONE_SOCIALE stesse svolgendo il ruolo di palo (l’autore materiale lo avvisava di tenersi fuori pronto e di avvisarlo di possibili pericoli). A fronte di ci si deve rilevare come il ricorrente abbia anche omesso di confrontarsi con il contenuto di tali conversazioni.
Che lo RAGIONE_SOCIALE si trovasse sul luogo della rapina e stesse svolgendo il ruolo di palo aveva trovato altresì conferma, come è stato pure logicamente argomentato dai giudici del merito, nella circostanza – che era emersa dal monitoraggio tramite il GPS che era stato posizionato sull’autovettura Alfa 147 in uso allo RAGIONE_SOCIALE – che, mentre veniva perpetrata la rapina, tale autovettura dello RAGIONE_SOCIALE aveva percorso ininterrottamente un tracciato intorno al luogo dove era ubicata la banca rapinata.
I giudici del merito hanno tratto ulteriore conferma del concorso dello Scroisteanu nella rapina: sia nel fatto che, sempre dal tracciato del GPS che era stato posizionato sull’autovettura Alfa 147 in uso allo RAGIONE_SOCIALE, era risultato che tale autovettura si era allontanata dal luogo della rapina davanti alle due Fiat Punto, che la seguivano in fila, sulle quali viaggiavano gli autori materiali della rapina, con il profitto della stessa di circa C 100.000,00 (oltre ad alcune pistole, a tute blu e a passamontagna); sia nel fatto che, in un’intercettata conversazione tra presenti del 13/03/2010 (la n. 359), lo RAGIONE_SOCIALE aveva raccontato della rapina a NOME, il quale lo aveva rimproverato per avervi portato delle donne (le arrestate NOME COGNOME e NOME COGNOME). Elemento, quest’ultimo, che appare anch’esso logicamente significativo e con il quale il ricorrente ha pure del tutto omesso di confrontarsi.
A fonte di tali elementi, che sono stati ritenuti, nel loro complesso, non illogicamente dimostrativi, al di là di ogni ragionevole dubbio, del concorso dello COGNOME nella rapina, si deve reputare parimenti non illogica la considerazione della Corte d’appello di Firenze in ordine all’irrilevanza – o, comunque, in ogni caso, alla non decisività – del fatto che, tra le SIM che erano state sequestrate a NOME COGNOME, non fosse compresa quella che corrispondeva al n. 3883507606.
Contrariamente a quanto è sostenuto dal ricorrente, non appare comunque illogica l’argomentazione della Corte d’appello di Firenze che il telefono che era stato sequestrato al COGNOME «riporta l’utenza indicata» (pag. 14 della sentenza impugnata), dovendo tale locuzione essere intesa nel senso che, sul
telefono del COGNOME, erano stati trovati elementi che facevano riferimento alla suddetta utenza.
Non si comprende, infine, né il ricorrente lo spiega, quale rilievo la scelta della polizia giudiziaria di non procedere al suo arresto – la quale è peraltro giustificata dalla Corte d’appello di Firenze con la plausibile esigenza di proseguire le indagini a suo carico – possa avere ai fini del giudizio sulla responsabilità dell’imputato.
L’affermazione di responsabilità del ricorrente per il reato di rapina di cui al capo c) dell’imputazione si deve pertanto ritenere essere stata argomentata, nelle conformi sentenze dei giudici del merito, senza incorrere né in contraddizioni né in illogicità, tanto meno manifeste e, in particolare, per le ragioni che si sono indicate, senza incorrere nei vizi motivazionali prospettati con il motivo in esame.
Il secondo motivo, nella parte in cui attiene alla posizione degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME, non è consentito.
Si deve infatti in proposito rammentare che è ammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta e al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative ai motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. – salvo il caso in cui sia dedotta l’estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia della sentenza di appello (Sez. U, n. 19415 del 27/10/2022, dep. 2023, COGNOME, cit.) – nonché ai vizi attinenti alla determinazione della pena, che non si siano trasfusi nell’illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa da quella prevista dalla legge (Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, COGNOME, Rv. 27610201).
Anche la citata sentenza “COGNOME” delle Sezioni unite, che è stata invocata dai ricorrenti, ha in realtà riaffermato che il giudice d’appello, nell’accogliere l richiesta di pena concordata, non deve motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen. né sull’insussistenza di ipotesi di nullità assoluta o di inutilizzabilità delle pro perché l’obbligo della motivazione deve essere rapportato all’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione, in quanto, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia (in questo senso: Sez. 3, n. 19866 del 04/02/2025, Toscano, Rv. 28809301, in motivazione).
Richiamati tali principi, il motivo, nella parte in cui attiene alla posizione degl imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME, si deve ritenere non consentito, perché attiene alla contestazione della configurabilità di tentativi punibili (d
rapina), cioè a un motivo che era stato oggetto di rinuncia, atteso che i suddetti due imputati avevano scelto di insistere sui soli motivi attinenti al trattamento sanzionatorio, con rinuncia a tutti gli altri motivi di appello (pag. 13, primo secondo capoverso, della sentenza impugnata), con la conseguenza che, in ordine all’indicata contestazione, si è determinata una preclusione nel giudizio di legittimità, appunto, per intervenuta rinuncia.
Contrariamente a quanto mostrano di ritenere i ricorrenti, il fatto che «il difensore comune di tutti e tre gli imputati, AVV_NOTAIO, ha discusso criticando la condanna di COGNOME per la fattispecie di cui al capo C) dell’imputazione, mentre il codifensore (solo) di COGNOME ha riportato l’attenzione della Corte d’Appello alle critiche mosse con l’atto di gravame ai capi di imputazione concernenti tutte le tentate rapine, sotto il profilo della radicale non conformità delle fattispecie concrete al paradigma astratto degli artt. 56 e 628 c.p.», non esclude che, diversamente dall’imputato NOME COGNOME, gli imputati NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME avessero rinunciato ai motivi di appello diversi da quelli attinenti al trattamento sanzionatorio.
Né può essere accolta l’interpretazione della nozione di illegalità della pena che appare propugnata dai ricorrenti là dove argomentano che «l motivo “non rinunciato” attiene al punto 9 dell’atto di appello» a firma dell’AVV_NOTAIO – in particolare, al secondo e al quarto capoverso della pag. 30 di tale atto, là dove venivano contestati l’entità della diminuzione di pena ex art. 56, secondo comma, cod. pen., e l’entità degli aumenti per la continuazione – e che «l motivo di ricorso presuppone necessariamente la sussistenza della fattispecie tentata; di contro l’applicazione della pena sul punto sarebbe illegittima», atteso che una tale interpretazione comporterebbe l’irragionevole conseguenza che ogni vizio di legge sostanziale (o processuale) si tradurrebbe sempre in un’illegalità della comminatoria finale della pena.
Ne discende che il secondo motivo di ricorso deve essere esaminato solo per quanto attiene alla posizione dell’imputato NOME COGNOME.
3.1. Tale motivo: a) è manifestamente infondato nella parte in cui, con esso, il ricorrente contesta che gli atti compiuti fossero idonei e diretti in modo non equivoco a commettere le rapine di cui ai capi d), e), f) e g) dell’imputazione; b) è fondato limitatamente alla parte in cui, con esso, il ricorrente lamenta la mancanza della motivazione in ordine alla doglianza difensiva con la quale era stata dedotta, con riferimento al capo d) dell’imputazione, la sussistenza di un reato impossibile per inesistenza dell’oggetto in quanto l’RAGIONE_SOCIALE bancaria che costituiva il “bersaglio” della rapina di cui al suddetto capo d) era stata trasferita.
3.1.1. Quanto alla manifesta infondatezza della prima contestazione, indicata sub a) del punto 3.1, si deve rammentare che, per quanto concerne il requisito
dell’idoneità degli atti, l’opinione maggioritaria della giurisprudenza di legittimit è nel senso che un atto può essere ritenuto idoneo quando, valutato ex ante e in concreto (criterio cosiddetto della prognosi postuma), ossia tenendo conto di tutte le circostanze conosciute e conoscibili e non di quelle oggettivamente presenti e conosciute dopo, il giudice, sulla base della comune esperienza dell’uomo medio, possa ritenere che gli atti – indipendentemente dall’insuccesso determinato da fattori estranei – erano tali da ledere, ove portati a compimento, il bene giuridico tutelato dalla norma violata.
L’idoneità degli atti non va, infatti, valutata con riferimento a un criter probabilistico di realizzazione dell’intento delittuoso, bensì in relazione alla possibilità che alla condotta consegua lo scopo che l’agente si propone, configurandosi invece un reato impossibile per inidoneità degli atti, ai sensi dell’art. 49 cod. pen., in presenza di un’inefficienza strutturale e strumentale del mezzo usato, che sia assoluta e indipendente da cause estranee ed estrinseche, ove l’azione, valutata ex ante e in relazione alla sua realizzazione secondo quanto originariamente voluto dall’agente, risulti del tutto priva della capacità di attuare il proposito criminoso (Sez. 6, n. 17988 del 06/02/2018, Mileto, Rv. 272810-01; Sez. 1, n. 36726 del 02/07/2015, L.M., Rv. 264567-01).
Per quanto riguarda, invece, la nozione di univocità degli atti, secondo la tesi cosiddetta soggettiva, che è quella prevalente nella giurisprudenza di legittimità, l’atto preparatorio può integrare gli estremi del tentativo punibile quando sia idoneo e diretto in modo non equivoco alla consumazione di un reato, ossia qualora abbia la capacità, sulla base di una valutazione ex ante e in relazione alle circostanze del caso, di raggiungere il risultato prefisso e a tale risultato sia univocamente diretto (Sez. 2, n. 40702 del 30/09/2009, Cristiano, Rv. 24512301); la prova del requisito dell’univocità dell’atto (da considerare quale parametro probatorio) può essere raggiunta non solo sulla base dell’atto in sé considerato, ma anche aliunde e, quindi, anche sulla base di semplici atti “preparatori” che rivelino la finalità dell’agente e addirittura l’imminente passaggio alla fase esecutiva del delitto, ma non ne postulino necessariamente l’avvio.
Si deve quindi ritenere che, per la configurabilità del tentativo, rilevino non solo gli atti esecutivi veri e propri, ma anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori, facciano fondatamente ritenere che l’agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l’azione abbia la significativa probabilità di conseguire l’obiettivo programmato e che il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili indipendenti dalla volontà del reo (Sez. 2, n. 46776 del 20/11/2012, COGNOME, Rv. 254106-01).
I giudici del merito, con le loro conformi sentenze, hanno rispettato tali principi.
In tali sentenze si è infatti evidenziato come, dal compendio probatorio (in particolare: dalle dichiarazioni del testimone della polizia giudiziaria ispettore COGNOME e dai rilievi della polizia scientifica), fosse emerso come gli imputati avessero non solo preparato le rapine, organizzando gli ingressi nelle agenzie bancarie e le modalità di fuga in auto dopo l’effettuazione dei “colpi”, ma avessero anche iniziato a scassinare le serrature delle stesse agenzie bancarie, in particolare: 1) quanto a quella di cui al capo d) dell’imputazione, intervenendo sulla porta posteriore, il cui «cilindro poteva essere estratto» (pag. 8 della sentenza di primo grado); 2) quanto a quella di cui al capo e) dell’imputazione, operando l’effrazione della serratura della porta posteriore, aprendola; 3) quanto a quella di cui al capo f) dell’imputazione, scassinando la porta posteriore (pur non riuscendo ad aprirla) e iniziando a “lavorare” allo smontaggio di una finestra; 4) quanto a quella di cui al capo g) dell’imputazione, forzando una porta collocata nel garage sottostante l’RAGIONE_SOCIALE bancaria e che permetteva l’accesso all’intercapedine della banca e operando un buco (ancorché ancora insufficiente a permettere il passaggio di una persona) nel perimetro della stessa banca.
Alle luce di tali risultanze probatorie, si deve ritenere che i giudici del merito abbiano correttamente ritenuto che gli indicati atti preparatori, compiuti dagli imputati, facessero fondatamente ritenere che essi, avendo definitivamente approntato i piani criminosi in ogni dettaglio, avessero anche iniziato ad attuarli e che le loro azioni avessero la significativa probabilità di conseguire gli obiettivi programmati e che le rapine sarebbero state commesse, salva la verificazione di eventi non prevedibili indipendenti dalla volontà degli stessi imputati (chiusura dell’RAGIONE_SOCIALE nel caso di cui al capo “d” dell’imputazione; scoperta dell’effrazione da parte di una donna delle pulizie nel caso di cui al capo “e” dell’imputazione; scoperta, da parte degli imputati, dei dispositivi GPS che erano stati installati dalla polizia giudiziaria al fine di monitorarli nei casi di cui ai capi “f” e dell’imputazione). Con la conseguente, correttamente ritenuta, configurabilità di delitti di tentata rapina.
3.1.2. Quanto alla fondatezza della seconda contestazione, indicata sub b) del punto 3.1, si deve rilevare che, con l’atto di appello a firma dell’AVV_NOTAIO, lo RAGIONE_SOCIALE, con riferimento al capo d) dell’imputazione, aveva contestato anche la sussistenza di un reato impossibile per inesistenza dell’oggetto in quanto l’RAGIONE_SOCIALE bancaria che costituiva il “bersaglio” della programmata rapina di cui allo stesso capo d) era stata trasferita (la contestazione è argomentata nelle pagg. 16-18 del menzionato atto di appello).
Orbene, tale contestazione – che era autonoma e diversa rispetto a quella dell’insussistenza di un tentativo punibile ex art. 56 cod. pen. -, nonostante sia stata riportata dalla Corte d’appello di Firenze nel riepilogo dei motivi di appello che figura alla pag. 11 della sentenza impugnata, non è stata poi esaminata dalla stessa Corte d’appello, con la conseguente sussistenza della lamentata mancanza di motivazione sul punto.
A proposito della stessa contestazione, il Collegio reputa opportuno rammentare che: a) perché si verifichi la seconda delle ipotesi che sono previste dall’art. 49, secondo comma, cod. pen., l’inesistenza dell’oggetto deve essere o in rerum natura (perché l’oggetto materiale non è mai esistito o si è estinto) o, comunque, originaria e assoluta – cosicché manchi qualsiasi possibilità di offesa del bene giuridico tutelato -, con la conseguenza che non si ha reato impossibile quando l’oggetto sia mancante in via temporanea o per cause accidentali (Sez. 1, n. 12407 del 30/09/2019, COGNOME, Rv. 278902-01; Sez. 3, n. 26505 del 20/05/2015, COGNOME, Rv. 264396-01); b) anche in tema di tentata rapina, è stato affermato che la non punibilità dell’agente per inesistenza dell’oggetto materiale del reato può ricorrere solo quando tale inesistenza sia in rerum natura ovvero assoluta e originaria, cioè quando manchi qualsiasi possibilità che, in quel contesto di tempo, la cosa possa trovarsi in un determinato luogo e non anche quando la sua assenza sia puramente temporanea e accidentale (Sez. 3, n. 16499 del 08/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275519-01; Sez. 2, n. 8026 del 13/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258331-01; Sez. 2, n. 3189 del 08/01/2009, Obrayou, Rv. 242669-01).
Pertanto, perché si possa ritenere sussistente un reato impossibile, l’inesistenza dell’oggetto materiale deve essere originaria e deve, quindi, essere anteriore al compimento degli atti, cioè già esistente al momento iniziale dell’azione.
Da ciò discende che, nel caso in esame, il definitivo trasferimento dell’RAGIONE_SOCIALE bancaria che costituiva il “bersaglio” della programmata rapina di cui al capo d) dell’imputazione potrebbe comportare la sussistenza di un reato impossibile solo qualora lo stesso trasferimento risultasse essere già stato effettuato quando gli imputati compirono i sopra indicati (al punto 3.1.1) atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere la medesima rapina, atteso che, in tale caso, sarebbe mancata qualsiasi possibilità di offesa del bene giuridico tutelato.
Gli stessi atti conserverebbero invece rilevanza penale, come tentativo di rapina, nel caso in cui il trasferimento dell’RAGIONE_SOCIALE bancaria, ancorché già effettuato nel giorno prestabilito per l’esecuzione della rapina, fosse stato però successivo al compimento dei medesimi atti, atteso che, in questo caso, essi
avrebbero comportato la messa in pericolo del bene giuridico tutelato dall’art. 628 cod. pen.
4. Il terzo motivo, che riguarda la posizione del solo NOME COGNOME e che attiene al rigetto della richiesta di revoca della misura di sicurezza dell’allontanamento dallo Stato, è fondato.
Ciò in quanto: a) da un lato, posto che il giudizio sulla pericolosità sociale dell’imputato era stato basato sul compimento, da parte sua, anche della rapina di cui al capo d) dell’imputazione (pag. 16, penultimo capoverso, della sentenza impugnata), tale giudizio dovrebbe essere eventualmente rinnovato alla luce della decisione che verrà adottata in ordine alla sussistenza o no, nella fattispecie di cui al medesimo capo d), di un reato impossibile per inesistenza dell’oggetto; b) dall’altro lato, e soprattutto, posto che lo RAGIONE_SOCIALE è un cittadino dell’Unione europea, la Corte d’appello di Firenze, nel confermare la misura del suo allontanamento dal territorio dello Stato, non risulta avere tenuto conto della necessità di accertare che, nella specie, ricorressero le rigide condizioni alle quali l’ordinamento dell’Unione europea subordina l’adozione della suddetta misura, previste dalla direttiva 2004/38/CE del 29 aprile 2004, recepita nell’ordinamento interno con il d.lgs. n. 30 del 2007 (Sez. 1, n. 23399 del 14/07/2020, COGNOME, Rv. 279440-01).
5. In conclusione: a) la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente al capo d) dell’imputazione e alla misura di sicurezza dell’allontanamento dal territorio dello Stato, nonché, limitatamente al capo d) dell’imputazione, anche nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, atteso l’effetto estensivo dell’impugnazione proposta dallo COGNOME, in quanto fondata su di un motivo non esclusivamente personale, ai sensi dell’art. 587, comma 1, cod. proc. pen., con rinvio a un’altra sezione della Corte d’appello di Firenze per un nuovo giudizio sul suddetto capo d) e sul suddetto punto dell’allontanamento dello COGNOME dal territorio dello Stato; b) il ricorso di NOME COGNOME deve essere rigettato nel resto; c) i ricorsi di NOME COGNOME e di NOME COGNOME devono essere dichiarati inammissibili nel resto.
Quanto all’indicato effetto estensivo delle impugnazioni, è opportuno rammentare come, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, dello stesso possano beneficiare anche gli imputati che non hanno proposto ricorso, ivi compresi coloro che hanno concordato la pena in appello, che vi abbiano rinunciato o che, come nella specie, abbiano proposto un ricorso inammissibile (Sez. U, n. 30347 del 12/07/2007, COGNOME, Rv. 236756-01. Successivamente: Sez. 5, n. 34238 del 28/05/2024, COGNOME, Rv. 286939-02; Sez. 3, n. 55001 del 18/07/2018,
Cante, Rv. 274213-02; Sez. 1, n. 2940 del 17/10/2013, dep. 2014, Del Re, Rv. 258393-01).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo d), e, per COGNOME NOME, limitatamente all’espulsione e rinvia per nuovo giudizio su tale capo e su detto punto ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze. Rigetta nel resto il ricorso di COGNOME. Dichiara nel resto inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e di COGNOME NOME.
Così deciso il 26/09/2025.