Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1782 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1782 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME NOME
NOME
Esposito NOME
COGNOME NOME
nato a Salerno il 17/10/1971
nato a Napoli il 13/03/1958
nato a Napoli il 04/04/1990
nato a Sant’Antimo il 14/02/1968
avverso la sentenza del 27/02/2024 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME COGNOME;
udito il Pubblico ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;
udito il difensore Avv. NOME COGNOME per COGNOME e COGNOME nonché, in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME per COGNOME che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 27 febbraio 2024 la Corte di appello di Napoli, riconosciuta la equivalenza fra le già concesse attenuanti generiche rispetto non solo alla recidiva ma anche alle altre aggravanti, rideterminava le pene inflitte dal G.u.p. del Tribunale di Avellino, confermando l’affermazione di responsabilità di NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME per concorso nei reati di tentata rapina, resistenza a pubblico ufficiale, detenzione e porto di un’arma da guerra, ricettazione, detenzione e porto in luogo pubblico di armi comuni da sparo con matricola abrasa, ricettazione di un’autovettura e detenzione di munizioni.
Hanno proposto ricorso gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, chiedendo l’annullamento della sentenza.
Il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME lamenta violazione di legge e vizio motivazionale sotto due diversi ma collegati profili.
3.1. La Corte territoriale, non rilevando la violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., denunciata con l’appello in relazione alla lesione del diritto di difesa, ha erroneamente interpretato la nozione di fatto diverso.
Nel caso di specie il fatto accertato (assalto programmato a un furgone portavalori) è certamente diverso da quello contestato (rapina presso l’ufficio postale), diverse essendo le “vittime” del reato, risultando altresì evidente la differente valenza probatoria nei due obiettivi, il primo dinamico e il secondo statico. L’errata indicazione nel capo d’imputazione del vero obiettivo dei rapinatori costituisce una violazione del diritto di difesa.
3.2. Laddove si fosse ritenuta assente la diversità del fatto, comunque si sarebbe dovuto accertare se la mattina dell’Il novembre 2022 fosse non solo previsto ma anche in fieri un trasporto di denaro destinato all’ufficio postale di Montoro.
In mancanza di questo dato si sarebbe dovuto ritenere il fatto quale un reato impossibile: l’intervento oltremodo “anticipatorio” delle forze dell’ordine ha segnato una soluzione di continuità dell’iter criminoso, che mina altresì l’idoneità degli atti sino a quel momento compiuti ai fini del raggiungimento della soglia di punibilità.
Con un unico atto presentato nell’interesse di COGNOME ed COGNOME viene denunciata la “mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione” sotto vari profili.
4.1. In primo luogo, la sentenza ha evocato in termini ambigui il rapporto familiare di COGNOME con alcuni componenti della famiglia COGNOME, “promotori dell’omonimo clan”, insinuando il convincimento che l’azione delittuosa fosse espressione della criminalità organizzata e )quindi 9 da trattare con maggior rigore.
In secondo luogo, il fatto che l’obiettivo potesse essere il furgone portavalori piuttosto che l’istituto di credito non è ininfluente sul giudizio – come pare avere ritenuto la Corte d’appello – in quanto la ricostruzione motivazionale non è fungibile e le due possibilità alternative aprono a ipotesi rimaste senza risposte essenziali.
4.2. Quanto ai profili in diritto, la Corte territoriale ha ritenuto corretta l qualificazione giuridica del fatto ascritto al capo A) come tentata rapina (“propria o impropria che sia”) sulla base dell’affermata parificazione degli atti preparatori e di quelli esecutivi, in contrasto con un principio affermato sino all’anno 2010 dalla costante giurisprudenza di legittimità, nonché della possibilità di ritenere integrato il reato di tentata rapina anche in mancanza di un atto di violenza o minaccia e della sottrazione della cosa altrui.
La stessa sentenza impugnata ha riconosciuto che “il fine della violenza (rectius: resistenza)” fu quello di “procurarsi l’impunità”, cosicché, alla luce della giurisprudenza maggioritaria, nella fattispecie sono ravvisabili i reati di tentato furto e resistenza a pubblico ufficiale.
Infine il vuoto motivazionale è riscontrabile anche in relazione alla richiesta proposta con l’appello di individuare quale reato più grave, una volta dichiarata la insussistenza del reato di rapina, quello di “porto e detenzione di armi aggravati dall’art. 4 L. 895/1967”.
5. Il ricorso di COGNOME denuncia violazione di legge e “mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione” con riferimento alla qualificazione giuridica del fatto ascritto al capo A), erronea in quanto nel caso di specie non è ravvisabile né una tentata rapina propria (nessuno dei componenti è entrato nell’ufficio postale e si è impossessato del denaro) né una tentata rapina impropria: non vi fu, infatti, “la sottrazione della res altrui”, ma “eventualmente la sola violenza fisica per assicurarsi l’impunità e non anche l’ingiusto profitto”, cosicché, ricorrendone gli estremi, il ricorrente potrebbe rispondere solo di un furto tentato in concorso materiale con il delitto contro la persona vittima del reato.
I giudici di merito hanno poi erroneamente individuato l’obiettivo nell’ufficio postale di Montoro, quando invece quello compiuto dagli imputati fu un atto preparatorio di un progetto il cui obiettivo non era stato ancora deciso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi vanno rigettati perché proposti con motivi generici o infondati.
Possono essere affrontati insieme temi comuni a tutte le impugnazioni, che peraltro hanno denunciato cumulativamente il vizio motivazionale, in contrasto con il principio ribadito di recente dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo il quale «i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione. Per tali ragioni la censura alternativa ed indifferenziata di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risulta priva della necessaria specificità» (Sez. U, n. 24591 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027, non mass. sul punto; nello stesso senso, da ultimo, vds. Sez. 4, n. 8294 del 01/02/2024, COGNOME, Rv. 285870 – 01).
Va ribadito altresì che sono inammissibili i motivi che riproducono pedissequamente le censure dedotte in appello, al più con l’aggiunta di espressioni che contestino, in termini meramente assertivi e apodittici, la correttezza della sentenza impugnata, laddove difettino di una critica puntuale al provvedimento e non prendano in considerazione, per confutarle in fatto e/o in diritto, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non sono stati accolti (Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521 – 01; Sez. 6, n. 17372 del 08/04/2021, COGNOME, Rv. 281112 – 01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710 – 01; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970 – 01; Sez. 6, n. 34521 del 27/06/2013, COGNOME, Rv. 256133 – 01).
Tutti i ricorsi sono generici, nella parte in cui, con diverse argomentazioni, hanno censurato la decisione impugnata per non avere la Corte ravvisato nel caso di specie un tentativo non punibile.
Le difese, infatti, hanno obliterato del tutto le risultanze delle intercettazioni che, secondo la ricostruzione delle due sentenze, dimostrano chiaramente che gli imputati effettuarono nel mese di ottobre vari sopralluoghi presso l’Ufficio postale di Montoro e soprattutto che quel giorno, prima di essere sorpresi dalla Polizia, erano pronti a realizzare la rapina, risultando inequivocabili alcune frasi captate in ambientale sull’autovettura ove attendevano l’arrivo del furgone (Carbone: “E io dove devo andare”; Meles: “tu…dove lui sale…prendi la via sua tela via che sale…” – pag. 9).
In ordine all’obiettivo della rapina, il G.u.p. ha parlato del tentativo di effettuare una “rapina all’interno dell’Ufficio Postale” (pag. 14), come da
imputazione, ma anche dell’attesa dell’arrivo del portavalori e dei rapinatori “pronti a cogliere l’attimo propizio per poter assaltare il furgone portavalori che di lì a poco sarebbe giunto sul posto” (pag. 11), come da intercettazioni ambientali, nonché del fatto che “l’obiettivo fosse l’ufficio postale – e, segnatamente, il furgone portavalori in procinto di giungere” (pag. 19).
La Corte ha correttamente escluso la violazione dell’art. 521, comma 1, cod. proc. pen., doglianza in questa sede reiterata solo nel ricorso di COGNOME (primo motivo), ricordando che la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza è configurabile soltanto in presenza di una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad una incertezza sull’oggetto della contestazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa.
Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051 – 01; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205619 – 01; Sez. 2, n. 10989 del 28/02/2023, COGNOME, Rv. 284427 – 01; Sez. 3, n. 24392 del 10/02/2023, Gargano, Rv. 284846 – 04; Sez. 4, n. 6564 del 23/11/2022, COGNOME, Rv. 284101 – 01; Sez. 3, n. 7146 del 04/02/2021, Ogbeifun, Rv. 281477 – 01).
Proprio in una ipotesi di tentata rapina,questa Corte ha escluso che si fosse verificata la violazione del principio della corrispondenza tra accusa e sentenza in un caso in cui, a fronte della contestazione di tentata rapina, non giunta a consumazione per la “reazione della vittima” all’interno di una banca, la sentenza, sulla base delle risultanze del dibattimento, aveva ricondotto la mancata consumazione all’intervento dei Carabinieri mentre l’imputato stava entrando nell’istituto di credito (Sez. 2, n. 17565 del 15/03/2017, COGNOME, Rv. 269569 – 01).
4. Più radicalmente risulta indifferente, ai fini della ricostruzione del fatto e del rispetto dei diritti degli imputati (che hanno scelto di essere giudicati sulla base delle risultanze delle indagini, accedendo al rito premiale), la individuazione dell’ufficio postale quale obiettivo diretto o indiretto dell’azione criminosa, essendo determinante la logica valutazione dei giudici di merito circa la configurabilità di un tentativo punibile.
Già il primo Giudice aveva richiamato i rilievi difensivi per disattendere la tesi di un’azione ancora non in itinere e anche la Corte territoriale, soprattutto sulla base delle intercettazioni obliterate dai ricorrenti, ha rimarcato come gli imputati fossero all’interno del veicolo parcheggiato a trecento metri dall’ufficio postale, con volto travisato da maschere di gomma, armati di fucili e di pistole, con bottiglie di plastica con benzina all’interno e tavolette accendifuoco (pag. 14 della sentenza).
Risulta altresì pertinente il richiamo del Giudice di appello all’orientamento della giurisprudenza di legittimità che, diversamente da quanto sostenuto nei ricorsi di COGNOME e COGNOME è «da lungo tempo largamente prevalente (rispetto all’isolato precedente della Sez. 1 n. 40058 del 24.9.08, dep. 28.10.08, rv. 241649) nello statuire che l’art. 56 c.p. ha abbandonato la vecchia distinzione tra atti preparatori ed atti esecutivi (questi ultimi intesi come atti tipic corrispondenti, anche solo in minima parte, alla descrizione legale di una fattispecie delittuosa a forma libera o vincolata), richiedendosi – invece – per l’esistenza d’un tentativo punibile l’idoneità e l’univocità degli atti posti in essere dal soggetto agente. L’idoneità è intesa come potenziale attitudine a produrre l’evento, da valutarsi ex ante con cd. prognosi postuma, mentre l’univocità va apprezzata nelle caratteristiche oggettive degli atti, così da rivelarne le finalità secondo regole di comune esperienza, in rapporto alla loro natura e al contesto in cui si inseriscono» (Sez. 2, n. 41649 del 05/11/2010, COGNOME, Rv. 248829 01; in senso conforme vds., ad es., Sez. 5, n. 36422 del 17/05/2011, COGNOME, Rv. 250932 – 01 nonché Sez. 2, n. 36536 del 21/09/2011, COGNOME, Rv. 251145 – 01). Pertanto, «anche un c.d. ‘atto preparatorio’ può infatti integrare gli estremi del tentativo punibile, purché sia idoneo e diretto in modo non equivoco alla consumazione di un reato, ossia qualora abbia la capacità, sulla base di una valutazione per l’appunto ex ante e in relazione alle circostanze del caso, di raggiungere il risultato prefisso e a tale risultato sia univocamente diretto» (Sez. 5, n. 7341 del 21/01/2015, COGNOME, Rv. 262768 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Secondo il diritto vivente, dunque, per la configurabilità del tentativo rilevano non solo gli atti esecutivi veri e propri, ma anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori, facciano fondatamente ritenere che l’agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l’azione abbia la significativa probabilità di conseguire l’obiettivo programmato e che il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili indipendenti dalla volontà del reo (cfr., ad es., Sez. 1, n. 37091 del 19/07/2023, COGNOME, Rv. 285282 – 01; Sez. 5, n. 18981 del 22/02/2017, COGNOME, Rv. 269931 – 01; Sez. 2, n. 52189 del 14/09/2016, Gravina, Rv. 268644 – 01; Sez. 2, n. 25264 del 10/03/2016, COGNOME, Rv.
267006 – 01; Sez. 2, n. 40912 del 24/09/2015, COGNOME, Rv. 264589 – 01; cfr. anche Sez. 2, n. 24302 del 04/05/2017, Gentile, Rv. 269963 – 01 nonché Sez. 2, n. 11855 del 08/02/2017, COGNOME, Rv. 269930 – 01 proprio in casi di tentata rapina a un furgone portavalori il cui assalto fu impedito per l’intervento delle forze dell’ordine).
Sono prive di fondamento, dunque, le deduzioni proposte nei ricorsi di COGNOME, COGNOME e COGNOME con le quali si è contestata la qualificazione giuridica del fatto quale tentata rapina impropria e non quale tentato furto in quanto non vi sarebbe stata sottrazione del denaro.
Infatti, il tentativo di rapina impropria è integrato proprio «nel caso in cui l’agente, dopo aver compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco alla sottrazione della cosa altrui, adoperi violenza o minaccia per procurare a sé o ad altri l’impunità», come statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 34952 del 19/04/2012, COGNOME, Rv. 253153 – 01; in senso conforme, di recente, v. Sez. 2, n. 35134 del 25/03/2022, COGNOME, Rv. 283847 – 01): «combinando la norma incriminatrice dell’art. 628, comma secondo, cod. pen. con l’art. 56 cod. pen., se ne trae che se si tenta un furto senza realizzare la sottrazione della cosa e si commette immediatamente dopo un’azione violenta contro una persona, che ha per fine di assicurare l’impunità per il tentativo di furto, l’azione violenta resta strumentale a quella già realizzata e, pertanto, assorbita».
La stessa pronuncia ha altresì precisato che «l’art. 628 c.p., comma 2, fa riferimento alla sola sottrazione e non anche all’impossessamento, ciò che conduce a ritenere che il delitto di rapina impropria si possa perfezionare anche se il reo usi violenza dopo la mera apprensione del bene, senza il conseguimento, sia pure per un breve spazio temporale, della disponibilità autonoma dello stesso».
Con fondamento, dunque, la sentenza impugnata ha affermato che la condotta minacciosa e violenta degli imputati, che puntarono le armi in direzione degli agenti e tentarono di investire l’ispettore COGNOME, fu realizzata “al fine di procurarsi l’impunità” (pag. 16), opponendosi all’intervento della Polizia.
I giudici di merito hanno poi correttamente ravvisato il concorso fra il reato di tentata rapina e quello previsto dall’art. 337 cod. pen., configurabile quando la violenza esercitata nei confronti di un pubblico ufficiale sia strumentale anche al conseguimento dell’impunità e la qualità del destinatario della violenza sia nota all’agente (Sez. 2, n. 43364 del 21/09/2023, Ugheghele, Rv. 285194 – 01).
Anche in ordine alla insussistenza nel caso di specie di un reato impossibile la Corte d’appello ha correttamente motivato: avuto specifico
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riguardo alla tentata rapina, la non punibilità dell’agente per inesistenza dell’oggetto materiale del reato può ricorrere solo quando detta inesistenza sia in rerum natura ovvero assoluta e originaria, cioè quando manchi qualsiasi possibilità che, in quel contesto di tempo, la cosa possa trovarsi in un determinato luogo e non anche quando la sua assenza sia puramente temporanea e accidentale (Sez. 3, n. 16499 del 08/11/2018, COGNOME, Rv. 275569 01; Sez. 2, n. 8026 del 13/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258531 – 01; Sez. 2, n. 3189 del 08/01/2009, Obrayou, Rv. 242669 – 01).
Nel caso di specie era evidentemente più che possibile che all’interno del furgone e nell’ufficio postale si trovasse del denaro.
Le altre censure proposte nel ricorso di COGNOME e COGNOME sono prive di ogni fondamento.
Una volta affermata la responsabilità per il reato di rapina, reato più grave non è quello di “porto e detenzione di armi aggravati dall’art. 4 L. 895/1967”, circostanza che – come osservato dalla Corte d’appello – non è stata né contestata né applicata dal primo Giudice.
Privo di qualsiasi rilievo, infine, è l’incidentale riferimento della sentenza impugnata alla circostanza che NOME COGNOME fosse stato in passato controllato insieme ad alcuni componenti di una famiglia mafiosa, in quanto la rapina non è stata in alcun modo valutata come un’azione posta in essere dalla criminalità organizzata.
Nessuna incidenza tale circostanza, già richiamata dal G.u.p., ha avuto sulla determinazione della pena, punto della decisione che neppure ha costituito oggetto di ricorso. Peraltro, in appello si era solo dedotto, nel motivo inerente al giudizio di equivalenza e non di prevalenza delle generiche, che la parentela con i COGNOME era “del tutto irrilevante”.
Al rigetto delle impugnazioni proposte segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 05/12/2024.