LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Tentativo punibile: quando scatta il reato? Cassazione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione analizza il concetto di tentativo punibile in un caso di rapine pianificate ma non portate a termine. La Corte conferma la condanna, stabilendo che anche gli atti preparatori possono integrare il reato quando dimostrano in modo inequivocabile l’intenzione criminale e la concreta possibilità di successo. Viene inoltre negata la desistenza volontaria, poiché l’interruzione dei piani è dipesa da fattori esterni e non da una libera scelta degli imputati. La pronuncia dichiara infine inammissibili i ricorsi degli altri coimputati che avevano concordato la pena in appello.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentativo Punibile: La Cassazione definisce i confini tra preparazione e reato

Quando un piano criminale, seppur non portato a termine, diventa un reato? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7663 del 2025, torna su un tema cruciale del diritto penale: la distinzione tra atti preparatori non punibili e il tentativo punibile. La decisione offre importanti chiarimenti su quando la soglia della rilevanza penale può dirsi superata, anche se l’azione delittuosa finale non è mai iniziata. Il caso esaminato riguarda un gruppo di individui accusati di aver pianificato meticolosamente una serie di rapine, interrotte solo da eventi fortuiti.

I Fatti del Caso: Un Piano Criminale Interrotto

La vicenda processuale ha origine da una complessa indagine che ha portato alla condanna di diversi soggetti per reati legati al traffico di sostanze stupefacenti e, soprattutto, per aver tentato di commettere più rapine ai danni di privati cittadini. Il gruppo aveva organizzato i colpi in modo dettagliato: aveva effettuato numerosi sopralluoghi, si era procurato strumenti da scasso, armi e veicoli, e aveva pianificato le modalità operative e la spartizione dei ruoli.

Nonostante la minuziosa preparazione, i tentativi di rapina fallirono in quattro diverse occasioni per cause del tutto estranee alla volontà dei malviventi: la presenza inattesa di altre persone sul luogo del delitto, il passaggio di una pattuglia dei carabinieri o altre circostanze impreviste che resero impossibile l’esecuzione del piano. Uno degli imputati ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che tali azioni non potessero configurare un tentativo punibile, ma al massimo atti preparatori non penalmente rilevanti, e che in ogni caso la loro interruzione dovesse essere qualificata come desistenza volontaria.

La Decisione della Corte e il Tentativo Punibile

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del principale imputato e dichiarato inammissibili quelli degli altri, i quali avevano precedentemente raggiunto un accordo sulla pena in appello (c.d. patteggiamento in appello). Il cuore della sentenza risiede nella dettagliata analisi dell’art. 56 del codice penale, che disciplina il delitto tentato.

I giudici supremi hanno confermato l’orientamento maggioritario secondo cui, per la configurabilità del tentativo punibile, non sono necessari esclusivamente gli atti “esecutivi” del reato. Anche gli atti classificabili come “preparatori” possono integrare il tentativo quando, valutati nel loro complesso, presentano due caratteristiche fondamentali:

1. Idoneità: gli atti devono essere concretamente capaci di portare alla consumazione del reato.
2. Univocità: gli atti devono essere diretti in modo non equivoco a commettere quel specifico reato.

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che i ripetuti sopralluoghi, il reperimento di armi e strumenti, e l’appostamento nei pressi dell’obiettivo costituissero un insieme di condotte che superavano la mera preparazione, rendendo la commissione della rapina altamente probabile e sventata solo da fattori esterni.

Le Motivazioni: Atti Preparatori o Esecutivi?

La difesa degli imputati aveva sostenuto che, non essendo mai iniziata la violenza o la minaccia tipica della rapina, si era ancora in una fase non punibile. La Cassazione, tuttavia, ha chiarito che il criterio per distinguere un atto preparatorio da un tentativo punibile non è meramente temporale, ma logico e probatorio. L’intera “azione”, intesa come sequenza di condotte, deve essere valutata per capire se ha raggiunto un punto di non ritorno virtuale, in cui “tutto fa supporre che il reato sarà commesso” e non vi sono incognite tali da metterne in dubbio l’esito.

Inoltre, la Corte ha smontato la tesi della desistenza volontaria. L’art. 56 c.p. prevede la non punibilità solo se l’agente interrompe “volontariamente” l’azione. Nel caso in esame, è emerso chiaramente che l’abbandono dei propositi criminosi non è stato frutto di una libera scelta o di un ripensamento, ma una conseguenza diretta di ostacoli imprevisti. La rinuncia dettata dalla paura di essere scoperti o dalla difficoltà sopravvenuta non è “volontaria” ai sensi della legge.

Infine, per gli altri coimputati, la Corte ha ribadito un principio fondamentale del processo penale: l’adesione al “concordato in appello” comporta la rinuncia a contestare la propria colpevolezza. Il ricorso in Cassazione, in questi casi, è ammissibile solo per vizi legati all’accordo stesso, non per riesaminare il merito della vicenda.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

La sentenza in esame consolida un principio di grande importanza pratica: la linea di confine tra la preparazione di un reato e la sua tentata esecuzione è più sottile di quanto si possa pensare. Non è necessario attendere l’ultimo atto del piano criminale perché scatti la responsabilità penale. Quando la pianificazione è dettagliata, i mezzi sono stati predisposti e l’agente ha iniziato ad attuare il suo piano in modo che la commissione del reato appaia come uno sviluppo altamente probabile, il tentativo punibile è già una realtà. Questa interpretazione fornisce alle forze dell’ordine e alla magistratura uno strumento per intervenire prima che il danno si verifichi, punendo condotte che, pur non raggiungendo la consumazione, manifestano una pericolosità sociale concreta e un’intenzione criminale inequivocabile.

Quando un atto preparatorio diventa un tentativo punibile?
Secondo la Corte, un atto preparatorio diventa tentativo punibile quando, pur non essendo un atto esecutivo in senso stretto, fa ritenere fondatamente che l’agente abbia iniziato ad attuare il suo piano criminoso, che l’azione abbia una significativa probabilità di successo e che il delitto stia per essere commesso, salvo eventi imprevedibili e indipendenti dalla volontà del reo.

La rinuncia a commettere un reato è sempre considerata “desistenza volontaria”?
No. La Corte ha chiarito che la desistenza, per escludere la punibilità, deve essere “volontaria”, cioè frutto di una libera scelta dell’agente. Se la rinuncia è causata da fattori esterni, imprevisti e non voluti (come l’arrivo di una pattuglia o la presenza inattesa di testimoni), non si tratta di desistenza volontaria e il tentativo resta punibile.

Se si accetta un “concordato in appello” (patteggiamento), si può ancora fare ricorso in Cassazione?
Sì, ma solo per motivi molto specifici, come vizi nella formazione della volontà di accordarsi o se la sentenza del giudice è difforme dall’accordo. Non è possibile, come nel caso di specie, contestare nel merito la colpevolezza o la valutazione delle prove, poiché si è rinunciato a tali motivi con l’accordo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati