Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2901 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2901 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a MILANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/02/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo udito il difensore
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IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Milano confermava la sentenza con cui il tribunale di Milano, in data 22.4.2022 aveva condanNOME COGNOME NOME, in relazione ai reati ex artt. 494; 497 ter, c.p., e 4, I. n. 110/75, in rubrica ascrittigli, alla pena ritenuta di giustizia.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, lamentando: 1) violazione di legge, in ordine alla intervenuta dichiarazione di abitualità nel reato, con particolare riferimento al difetto di contestazione; 2) violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento al reato di cui all’art. 497-ter, c.p., per avere omesso di considerare che nel caso in esame ricorre una fattispecie di falso grossolano, alla luce della contestuale co-detenzione di segni riconducibili a differenti corpi di polizia, che peraltro dimostra come la condotta dell’imputato sia manifestazione dei suoi problemi psichici; 3) violazione di legge, con riferimento al reato di cui all’art. 494, c.p., che, nel caso in esame, si presenta in forma di tentativo e non di reato consumato; 4) violazione di legge in punto di mancato riconoscimento della causa di non punibilità, di cui all’art. 131 bis, c.p., con esclusivo riferimento al reato contravvenzionale in materia di armi, causa di cui ricorrono gli estremi in considerazione delle condizioni di salute mentale del COGNOME, incline ad atti di autolesionismo, cui erano finalizzati il coltellino e il tirapugni, trovati, nell’occasione, in suo possesso.
Con requisitoria scritta del 13.7.2023, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, AVV_NOTAIO, chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
Con memoria e conclusioni scritte del 12.9.2023, il difensore di fiducia dell’imputato insiste per l’accoglimento del ricorso, mentre con separata istanza chiede la liquidazione delle proprie competenze professionali, posto che il proprio assistito è stato ammesso al patrocinio a spese dello RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorso va accolto parzialmente, per le seguenti ragioni.
Inammissibile per carenza di interesse appare il primo motivo di ricorso.
Come è noto, ai sensi dell’art. 533, c. 2, c.p.p., “nei casi previsti dalla legge il giudice dichiara il condanNOME delinquente o contravventore abituale o professionale o per tendenza”.
È altrettanto noto che alla dichiarazione di abitualità nel reato può provvedere il giudice della cognizione anche d’ufficio, a condizione che sia stata elevata un’espressa contestazione riferita alla fattispecie d’abitualità presunta per legge o a quella ritenuta dal giudice (cfr. Sez. 1, n. 36949 del 24/09/2014, Rv. 265123; Sez. 2, n. 12944 del 06/12/2018, Rv. 276529).
Ciò posto, non può non rilevarsi come, nel caso in esame, difetti la materia del contendere, in quanto i giudici di merito non hanno adottato alcuna formale dichiarazione di abitualità nel reato, ma si sono limitati ad escludere la possibilità di applicare in favore dell’imputato la causa di non punibilità, di cui all’art. 131 bis, c.p., evidenziando come a tanto sia da ostacolo, come si vedrà meglio in seguito, una valutazione complessiva della condotta del COGNOME, non potendosi equiparare l’espressione utilizzata al riguardo dalla corte territoriale, evidenziata dal ricorrente, secondo cui quest’ultimo “ha posto in essere reati in modo abituale, come emerge dal certificato penale”, a una formale dichiarazione di abitualità nel delitto, che rappresenta solo uno dei parametri da cui, ai sensi dell’art. 131 bis, co. 2, c.p., si desume la sussistenza di un comportamento abituale, che, ai sensi dell’art. 131 bis, co. 1, c.p., non consente di ravvisare la particolare tenuità del fatto.
6. Inammissibile appare il secondo motivo di ricorso, con riferimento alla dedotta censura della insussistenza dell’elemento oggettivo del delitto di cui all’art. 497 ter, c.p., in ragione della grossolanità del falso, trattandosi di questione, come si evince dalla incontestata sintesi dei motivi di impugnazione operata dalla corte territoriale, non prospettata specificamente in sede di appello.
Trattandosi di motivo inedito, dunque, se ne deve dichiarare l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 606, co. 3, c.p.p., in quanto non
possono essere sollevate davanti al giudice di legittimità questioni sulle quali il giudice di appello non si sia pronunciato, perché non devolute alla sua cognizione (cfr., ex plurimis, Sez.2, n. 26721 del 26/04/202, Rv. 284768).
Al riguardo non può comunque non rilevarsi come, per costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, integri il delitto di cui all’art. 497-ter, comma primo, parte seconda, c.p., (possesso di segni distintivi contraffatti), la detenzione di un tesserino riferibile a corpi di polizia (Polizia RAGIONE_SOCIALE o Guardia RAGIONE_SOCIALE), ma grossolanamente falsificato, in quanto detta disposizione sanziona la detenzione di segni distintivi, contrassegni o documenti di identificazione che, pur senza riprodurre fedelmente gli originali, ne simulino la funzione e siano idonei a trarre agevolmente in inganno i cittadini sulla qualifica e i poteri di colui che ne fa uso (cfr., ex plurimis, Sez. 5 n. 45126 del 05/06/2019, Rv. 277539; Sez. 5, n. 3556 del 31/10/2014, Rv. 262177).
Nel caso in esame, oggetto della contestazione sono per l’appunto i segni distintivi e i documenti di identificazione in uso a organi diversi della Polizia di RAGIONE_SOCIALE, indicati nel capo n. 2) dell’imputazione, rispetto ai quali il ricorrente non indica per quale ragione specifica essi debbano ritenersi inidonei a trarre in inganno i terzi sulla qualifica e sui poteri, che dal loro uso apparentemente derivavano al COGNOME.
Peraltro, proprio la circostanza evidenziata dal ricorrente, a sostegno della propria tesi, vale a dire che il dubbio sull’autenticità dei documenti esibiti dal COGNOME per accedere il varco di controllo dei biglietti presso la stazione ferroviaria di Milano-Centrale, venne formulato dall’COGNOME, addetto a varchi di accesso ai binari ferroviari, il quale in precedenza aveva prestato servizio presso l’RAGIONE_SOCIALE (cfr. pp. 2 e 3 della sentenza di appallo), rappresenta anche un’evidente smentita dell’assunto della grossolanità del falso, posto che il sospetto sulla genuinità di quanto esibito dall’imputato era sorto in una persona, che, in ragione della propria esperienza professionale, era dotata di una specifica competenza tecnica, come ben argomentato dal giudice di secondo grado (cfr. p. 10).
E, come è noto, secondo l’orientamento dominante nella giurisprudenza di questa Corte, la grossolanità della contraffazione, che dà luogo al reato impossibile, si apprezza solo quando il falso sia “ictu oculi” riconoscibile da qualsiasi persona di comune discernimento ed avvedutezza e non si debba far riferimento nè alle particolari cognizioni ed alla competenza specifica di soggetti qualificati, né alla straordinaria diligenza di cui alcune persone possono esser dotate (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 6873 del 06/10/2015, Rv. 266417).
Del tutto generico, perché meramente reiterativo della doglianza già articolata innanzi alla corte territoriale, oltre che manifestamente infondato e versato in fatto appare, inoltre, il rilievo difensivo sulla insussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
Sul punto la corte di appello, con motivazione affatto manifestamente illogica o contraddittoria, ha sottolineato come le stesse modalità della condotta del prevenuto, finalizzata a oltrepassare il varco di accesso ai treni, accompagnando una signora in possesso di regolare titolo di viaggio, presupponevano “una certa pianificazione”, tale da escludere che il COGNOME, in ragione del suo stato psicopatologico, “non avesse contezza di quanto stava facendo (cfr. p. 11 della sentenza di appello).
Fondato, invece, appare il terzo motivo di ricorso.
Si osserva, al riguardo, che, come affermato in un condivisibile arresto di questa Sezione, il delitto di sostituzione di persona è configurabile nella forma del tentativo, che sussiste quando l’agente abbia usato uno dei mezzi fraudolenti indicati nell’art. 494, c.p., senza riuscire ad indurre in errore taluno (cfr. Sez. 5, n. 10381 del 17/11/2014, Rv. 263899).
Principio ribadito in una successiva decisione, secondo cui il delitto di sostituzione di persona è configurabile nella forma del tentativo quando l’agente abbia usato uno dei mezzi fraudolenti previsti dall’art. 494, c.p., senza riuscire nell’altrui induzione in errore, che individua il momento consumativo del reato per il quale non è necessario l’effettivo raggiungimento del vantaggio perseguito dall’agente, attinente al coefficiente psicologico del reato (cfr. Sez. 5, n. 5432 del 18/12/2020, Rv. 280336).
Tali profili, a fronte di uno specifico motivo di appello, non sono stati sufficientemente meditati dalla corte territoriale, che ha risolto la questione portata alla sua attenzione, escludendo il tentativo, sol perché l’imputato era “riuscito a superare i controlli”, venendo “fermato solamente una volta salito sul treno” (cfr. p. 11), laddove la stessa corte territoriale, come si è visto, dava per incontestato che già al momento in cui il COGNOME si era portato al varco di accesso ai binari, l’COGNOME si era insospettito in ordine alla genuinità dei segni distintivi e dei documenti esibiti dall’imputato, tanto da decidere con il collega COGNOME, di consentirgli di superare il varco, seguendolo, tuttavia, a distanza e avvisando la Polfer di quanto stava accadendo (cfr. p. 3).
Sul punto, di conseguenza, la sentenza impugnata va annullata, con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Milano, che provvederà a colmare l’evidenziata aporia motivazionale, uniformandosi ai principi di diritto in precedenza affrontati.
Manifestamente infondato e tale da sollecitare un giudizio di merito non consentito in questa sede di legittimità, deve ritenersi l’ultimo motivo di ricorso.
Premesso che i reati per cui si procede sono stati correttamente ritenuti unificati sotto il vincolo della continuazione, non può non rilevarsi come, alla luce dell’orientamento fatto proprio dalla giurisprudenza di legittimità nella sua espressione più autorevole, la pluralità di reati unificati nel vincolo della continuazione non è di per sé ostativa alla configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto la quale può essere riconosciuta dal giudice all’esito di una valutazione complessiva della fattispecie concreta, che – salve le condizioni ostative tassativamente previste dall’art. 131-bis, c.p., per escludere la particolare tenuità dell’offesa o per qualificare il comportamento come abituale – tenga conto di una serie di indicatori rappresentati, in particolare, dalla natura e dalla gravità degli illeciti in continuazione, dalla tipologia dei beni giuridici protetti, dall’entità delle disposizioni di legge violate, dalle finalità e dalle modalità esecutive delle condotte, dalle loro motivazioni e dalle conseguenze che ne sono
derivate, dal periodo di tempo e dal contesto in cui le diverse violazioni si collocano, dall’intensità del dolo e dalla rilevanza attribuibile ai comportamenti successivi ai fatti (cfr. Sez. U. n. 18891 del 27/01/2022, Rv. 283064, nonché, nello stesso senso, Sez. 4, n. 36534 del 15/09/2021, Rv. 281922; Sez. 3, n. 35630 del 13/07/2021, Rv. 282034).
Se è, dunque, vero che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis, c.p., non sussistendo alcuna identificazione tra continuazione e abitualità, può essere dichiarata anche in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, è altrettanto vero che quando gli stessi siano stati commessi in contesti spazio-temporali diversi, tale causa non può essere riconosciuta, in quanto, in tal caso, la volizione criminosa non appare unitaria e circoscritta (cfr. Sez. 3, n. 35630 del 13/07/2021, Rv. 282034).
Di tali principi hanno fatto buon governo entrambi i giudici di merito (le due sentenze, sul punto, si saldano reciprocamente, essendo stati utilizzati in entrambe le decisioni gli stessi criteri di valutazione, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218), evidenziando come il reato contravvenzionale, commesso nello stesso contesto di tempo e di luogo dei delitti in precedenza indicati, si inserisca in una vicenda certo non di minima offensività, anche in considerazione della tendenza dell’imputato a porre in essere comportamenti illeciti, alla luce delle precedenti condanne riportate e della circostanza che dopo soli ventitre giorni dai fatti per cui si procede, il COGNOME “ha commesso un rapina aggravata in Pavia per la quale è stato condanNOME e ha espiato pena detentiva fino al 28.5.2020″ (cfr. p. 5 della sentenza di primo grado), circostanza non contestata dal ricorrente.
9. La non completa soccombenza dell’imputato, implica che quest’ultimo non sia condanNOME al pagamento delle spese processuali, né di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende.
Nulla in tema di spese va disposto in favore del difensore dell’imputato, posto che in tema di patrocinio a spese dello RAGIONE_SOCIALE, competente a decidere sulla istanza di liquidazione dei compensi relativi all’attività difensiva svolta nel giudizio di legittimità è il giudice di merito che ha emesso il provvedimento impugNOME, posto che la Corte di cassazione può accedere agli atti esclusivamente ai fini della rilevazione di eventuali vizi processuali verificatisi nel corso del giudizio e, pertanto, non ha la piena disponibilità materiale e giuridica degli stessi, che devono essere restituiti, con pienezza di accesso, al giudice di merito una volta definito il giudizio di legittimità (cfr. Sez. 3, n. 41525 del 15/12/2016, Rv. 271339).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo 1) con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della corte di appello di Milano. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma il 22.9.2023.