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Tentativo di riciclaggio senza proventi: non è reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3131 del 2024, ha annullato una condanna per tentativo di riciclaggio. Il caso riguardava un soggetto che aveva messo a disposizione il proprio conto corrente per ricevere fondi da una frode informatica, la quale però era stata sventata. La Corte ha stabilito che, in assenza di un effettivo ‘provento’ del delitto presupposto, il reato di riciclaggio non può sussistere. Inoltre, ha qualificato la condotta come concorso nel reato di frode e non come un autonomo atto di riciclaggio.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentativo di Riciclaggio: Annullata la Condanna se Manca il Provento del Reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito un punto fondamentale in materia di reati finanziari: non può esserci tentativo di riciclaggio se il crimine originario, da cui dovrebbero provenire i fondi, non ha prodotto alcun profitto. Questa decisione sottolinea l’importanza dell’esistenza materiale del ‘provento’ come requisito essenziale per la configurabilità del reato.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguardava un individuo condannato in appello per tentato riciclaggio. L’imputato era stato accusato di aver compiuto atti idonei a riciclare denaro proveniente da reati di frode informatica e accesso abusivo a sistema informatico. In pratica, aveva messo a disposizione il proprio conto corrente affinché terzi potessero farvi confluire i pagamenti illecitamente distratti da una società, vittima di una manipolazione delle comunicazioni telematiche commerciali.

Tuttavia, l’operazione criminale era stata scoperta prima che il denaro venisse effettivamente trasferito. La frode informatica, quindi, si era fermata allo stadio del tentativo e non aveva generato alcun profitto illecito. Nonostante ciò, i giudici di merito avevano ritenuto configurabile il reato di tentato riciclaggio.

La Decisione della Cassazione sul Tentativo di Riciclaggio

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della difesa, annullando la sentenza di condanna senza rinvio, con la formula ‘perché il fatto non sussiste’. La decisione si fonda su due principi giuridici chiari e distinti che meritano un’analisi approfondita.

Le motivazioni

I giudici hanno basato il loro ragionamento su due pilastri fondamentali.

1. L’assenza del ‘provento’ del delitto presupposto

Il primo e più importante motivo della decisione riguarda l’oggetto stesso del reato di riciclaggio. L’articolo 648-bis del codice penale punisce chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da un delitto. La parola chiave è ‘proventi’. La Corte ha ribadito che, per poter parlare di riciclaggio, anche solo tentato, è indispensabile che esista un profitto illecito da ‘ripulire’.

Nel caso di specie, il reato presupposto (la frode informatica) era rimasto allo stadio del tentativo. Poiché l’azione criminale era stata interrotta prima di generare un profitto, mancava l’oggetto materiale su cui l’operazione di riciclaggio avrebbe dovuto incidere. Senza proventi, non può esserci riciclaggio. Di conseguenza, il fatto contestato all’imputato è stato ritenuto penalmente irrilevante sotto questo profilo.

2. Concorso nel reato presupposto e non un autonomo atto di riciclaggio

Il secondo argomento, altrettanto cruciale, attiene alla corretta qualificazione giuridica della condotta. La difesa sosteneva che l’atto di mettere a disposizione il proprio conto corrente non costituiva un’attività di riciclaggio successiva alla frode, ma un contributo essenziale alla frode stessa.

La Cassazione ha concordato con questa tesi. Fornire il conto corrente era una parte integrante del piano criminoso finalizzato a commettere la frode informatica. Senza quel conto, i proventi illeciti non avrebbero mai potuto essere incassati. Pertanto, la condotta dell’imputato andava inquadrata come un concorso nel reato di tentata frode informatica, e non come un reato autonomo e successivo di riciclaggio. Il riciclaggio, per sua natura, è un ‘post-fatto’ che interviene quando il reato presupposto si è già concluso e ha prodotto i suoi frutti illeciti.

Le conclusioni

Questa sentenza offre un importante principio di diritto: il tentativo di riciclaggio non è configurabile se il reato presupposto non ha generato alcun provento economico. La decisione rafforza la necessità di una distinzione netta tra la partecipazione a un reato (concorso) e le attività successive volte a occultarne i profitti (riciclaggio). Per gli operatori del diritto e per i cittadini, questo significa una maggiore certezza giuridica: un’azione può essere punita come riciclaggio solo se esiste un bene materiale, frutto di un delitto già consumato, da ‘ripulire’.

È configurabile il tentativo di riciclaggio se il reato da cui dovrebbe provenire il denaro è solo tentato e non produce alcun profitto?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che per il reato di riciclaggio è indispensabile la presenza di un ‘provento di un delitto’. Se il reato presupposto resta allo stadio di tentativo e non genera alcun profitto, manca l’oggetto materiale del riciclaggio e, pertanto, il fatto non sussiste.

Fornire il proprio conto corrente per una truffa informatica è riciclaggio o concorso nel reato di truffa?
Secondo la sentenza, mettere a disposizione il proprio conto corrente per ricevere i fondi di una frode informatica costituisce un contributo essenziale alla realizzazione della frode stessa. Di conseguenza, tale condotta integra un concorso nel reato di frode informatica e non un autonomo reato di riciclaggio, che presuppone un’azione successiva alla consumazione del delitto principale.

Cosa significa che la sentenza è stata ‘annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste’?
Significa che la Corte di Cassazione ha cancellato in via definitiva la condanna emessa nei gradi precedenti. La formula ‘perché il fatto non sussiste’ indica che, secondo la Corte, l’azione contestata all’imputato non integra gli elementi costitutivi del reato di riciclaggio per cui era stato condannato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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