LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Tentativo di rapina impropria: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione conferma la condanna per due imputati per il reato di tentativo di rapina impropria. Dopo aver tentato di rubare due giubbotti, uno degli imputati ha usato violenza contro un addetto alla sicurezza per garantirsi la fuga. La Corte ha chiarito che la violenza successiva al tentativo di furto, finalizzata a ottenere l’impunità, qualifica il reato come rapina impropria tentata.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentativo di rapina impropria: quando la violenza per la fuga trasforma il reato

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Penale, n. 16925/2025, offre un importante chiarimento sulla distinzione tra tentato furto e tentativo di rapina impropria. La pronuncia analizza il caso di due persone che, dopo aver fallito nel sottrarre merce da un negozio, hanno usato violenza per garantirsi la fuga. Questa decisione ribadisce principi consolidati e affronta questioni relative alle circostanze attenuanti e alla responsabilità del concorrente che non compie materialmente l’atto violento.

I fatti del caso

Due individui, un uomo e una donna, sono stati accusati di aver tentato di rubare due giubbotti del valore complessivo di circa 100 euro da un noto negozio di abbigliamento. I due avevano rimosso le placche antitaccheggio dai capi e li avevano occultati nella borsa della donna. Tuttavia, accortisi di essere osservati da un addetto alla sicurezza, hanno riposto la merce sugli scaffali e hanno tentato di allontanarsi.

Una volta fuori dal negozio, l’addetto alla sicurezza ha cercato di fermarli. A quel punto, l’uomo ha reagito con violenza, colpendo il vigilante con un pugno al petto e minacciandolo di morte per assicurare la fuga a sé e alla complice. La donna, pur non partecipando attivamente alla violenza, era presente e non ha interrotto la sua marcia.

I giudici di primo e secondo grado avevano condannato entrambi per il reato di tentata rapina impropria in concorso. Gli imputati hanno quindi proposto ricorso in Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili, confermando integralmente la sentenza di condanna della Corte d’Appello. I giudici supremi hanno rigettato tutti i motivi di ricorso presentati dalla difesa, ritenendo la qualificazione giuridica del fatto come tentativo di rapina impropria corretta e la motivazione della corte territoriale immune da vizi logici.

Analisi del tentativo di rapina impropria

Il punto centrale della decisione riguarda la corretta configurazione del reato. La Cassazione ha ribadito che si ha un tentativo di rapina impropria quando un soggetto, dopo aver compiuto atti idonei e diretti in modo non equivoco a sottrarre un bene (tentativo di furto), usa violenza o minaccia non per impossessarsi della cosa, ma per assicurare a sé o ad altri l’impunità o la fuga. Nel caso specifico, la sottrazione non si era perfezionata, ma gli atti compiuti (rimozione delle placche antitaccheggio, occultamento dei beni) erano inequivocabilmente diretti al furto. La successiva violenza contro il vigilante era chiaramente finalizzata a sfuggire al controllo e a garantirsi l’impunità.

La responsabilità del concorrente non violento

Un altro aspetto cruciale è la posizione della coimputata, che non aveva partecipato materialmente all’aggressione. La Corte ha confermato la sua responsabilità a titolo di concorso anomalo (art. 116 c.p.). Secondo i giudici, l’uso di violenza per fuggire dopo un furto scoperto costituisce uno sviluppo logicamente prevedibile del piano criminoso iniziale. Pertanto, anche chi non commette l’atto violento risponde del reato più grave, se questo rientra nella prevedibilità dell’azione concordata.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione sulla base di diversi punti chiave. In primo luogo, ha sottolineato come la dinamica dei fatti, ricostruita attraverso testimonianze concordi, dimostrasse in modo inequivocabile la finalità della violenza: non la difesa da un’azione illegittima, ma la garanzia della fuga. L’arresto da parte di privati in caso di flagranza di reato è infatti consentito dalla legge (art. 380 e 383 c.p.p.), quindi la reazione violenta non poteva essere giustificata.

In secondo luogo, la Corte ha respinto la richiesta di applicazione delle circostanze attenuanti. Riguardo all’attenuante del danno di speciale tenuità (art. 62 n. 4 c.p.), i giudici hanno chiarito che la valutazione non deve limitarsi al valore economico dei beni (in questo caso, circa 100 euro), ma deve considerare il pregiudizio complessivo. La violenza e le minacce di morte contro l’addetto alla sicurezza hanno aggravato il fatto, impedendo di considerarlo di “speciale tenuità”. Anche la richiesta di applicare la nuova attenuante per i fatti di lieve entità, introdotta dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 86/2024, è stata respinta per le medesime ragioni.

Infine, la Corte ha ritenuto congrua la dosimetria della pena, giustificando il diniego delle attenuanti generiche con i numerosi precedenti penali degli imputati e confermando che la riduzione per il tentativo era stata correttamente calibrata sullo stato avanzato dell’azione criminosa.

Le conclusioni

La sentenza in esame consolida un importante principio del diritto penale: la linea di demarcazione tra furto e rapina impropria è segnata dall’uso della violenza o della minaccia per conseguire l’impunità. Anche se il furto non viene portato a termine, la reazione violenta per fuggire qualifica il fatto come tentativo di rapina impropria. Inoltre, la pronuncia riafferma la validità del principio del concorso anomalo, estendendo la responsabilità per il reato più grave anche al complice che non ha agito materialmente, qualora l’evoluzione criminosa fosse prevedibile. Questa decisione serve da monito sulla gravità delle condotte che, pur partendo da un reato contro il patrimonio, sfociano in un’aggressione alla persona.

Quando un tentativo di furto si trasforma in un tentativo di rapina impropria?
Si trasforma quando l’autore, dopo aver compiuto atti idonei a sottrarre la cosa altrui senza riuscirci, usa violenza o minaccia contro una persona per assicurare a sé o ad altri l’impunità, ovvero per garantirsi la fuga.

Una persona che non compie materialmente la violenza può essere condannata per tentata rapina impropria in concorso?
Sì, può essere condannata ai sensi dell’art. 116 c.p. (concorso anomalo) se l’uso della violenza o della minaccia da parte del complice costituiva uno sviluppo logicamente prevedibile del delitto di furto programmato.

È possibile applicare l’attenuante del fatto di lieve entità al tentativo di rapina impropria?
In linea di principio sì, ma la valutazione non si basa solo sul valore dei beni che si è tentato di sottrarre. Il giudice deve considerare il pregiudizio complessivo, che include anche le conseguenze lesive derivanti dalla violenza e dalla minaccia. Nel caso specifico, la Corte ha escluso la lieve entità proprio a causa della violenza e delle minacce esercitate contro l’addetto alla vigilanza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati