Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23439 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23439 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a ROMA il 16/07/1974
avverso la sentenza del 16/09/2024 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore della ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso .
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Firenze, con sentenza del 16 settembre 2024, confermava la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto NOME COGNOME responsabile dei reati di cui agli artt. 56, 628, primo e terzo comma, n. 1 cod. pen. e 23 comma 4 l. n. 110/75 (originariamente era stato contestato il comma 3 del medesimo articolo).
Avverso la sentenza ricorre la difesa di COGNOME, eccependo:
2.1. nullità della sentenza per violazione dell’art. 420 -ter cod. proc. pen.: il difensore, nel chiedere il rinvio del dibattimento per assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento dovuto a concomitanti impegni professionali, non si era limitato a documentare la contemporanea esistenza di questi, ma aveva fornito l’attestazione dell’assenza di un codifensore nell’altro procedimento e prospettato le specifiche ragioni per le quali non poteva farsi sostituire nell’uno o nell’altro dei due processi contemporanei, nonché i motivi che imponevano la sua presenza nell’altro processo, per cui la specificazione utilizzata nelle due istanze ‘anche per volontà dell’imputata’, acquisiva una funzione di mera chi usura delle ragioni che imponevano la presenza del difensore dinanzi ad altri organi giudiziari e suggerivano l’opportunità di un legittimo rinvio; la motivazione sul punto della Corte di appello era pertanto palesemente erronea;
2.2. violazione degli artt. 56 e 628, primo e terzo comma, cod. pen.: gli atti diretti in modo non equivoco a commettere un reato possono essere solamente quelli esecutivi, ossia gli atti tipici corrispondenti ad un inizio di esecuzione, e non quelli meramente preparatori: nel caso in esame, il possesso di armi, di fatto non utilizzate, unitamente al travisamento della persona, non potevano costituire manifestazione univoca del tentativo di rapina aggravata, ove valutati alla luce sia della condotta anterio re all’intervento dei carabinieri, caratterizzata da mancanza di attività di documentato e provato sopralluogo preso la gioielleria, sia di quella successiva che aveva visto la COGNOME assumere un atteggiamento di composta attesa dinanzi all’arrivo dei carabinieri, come rilevato dal maresciallo COGNOME;
2.3. illegittimità della sentenza relativamente al ritenuto concorso della ricorrente nel delitto di cui all’art. 23 , comma 4, legge n. 110/75; nullità del capo di sentenza per violazione dell’art. 125 cod. proc. pen. in relazione alla carenza di motivazione circa l’incidenza del concorso morale della ricorrente rispetto al fatto da altri compiuto: la sentenza impugnata non aveva indicato specifici elementi di fatto dai quali desumere che l’imputata avesse fornito un contributo agevolativo alla realizzazione del fatto tipico posto in essere da altro soggetto.
Venivano poi depositati motivi aggiunti con i quali si eccepiva:
2.4. violazione dell’art. 606 , comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. per inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 62bis , 132 e 133 cod. pen., in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla dosimetria della pena e carenza di motivazione sul punto oltre che illogicità della sentenza;
2.5. violazione dell’art. 606 , comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 545bis cod. proc. pen., 20bis cod. pen. e l. n. 689/81 per non
aver ritenuto la Corte territoriale di dover valutare l’applicabilità dell’ istituto della sostituzione della pena secondo i canoni di legge previsti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1. Relativamente al primo motivo di ricorso, la decisione della Corte di appello analizza quanto accaduto nel corso del processo di primo grado e trae una conclusione corretta, evidenziando che il difensore di fiducia aveva nominato un sostituto sia prima delle due udienze nelle quali era stato chiesto rinvio per concomitanti impegni professionali (6 marzo 2019 e 9 ottobre 2019), sia in un’udienza intermedia tre le due citate (27 marzo 2019), sia in un’udienza successiva (5 febbraio 2020); a fronte di tale condotta processuale, l’affermazione secondo la quale per le udienze del 6 marzo 2019 e 9 ottobre 2019 non era stato possibile reperire un sostituto diventa generica, posto che non spiega perché non era stato possibile designare uno dei due difensori che avevano sostituito il difensore di fiducia nelle altre tre udienze; inoltre, come evidenziato dalla Corte di appello, la mancata autorizzazione del soggetto patrocinato (la richiesta di rinvio faceva riferimento al fatto che non era stato possibile nominare un sostituto processuale ‘anche su richiesta dell’imputata’ ) era irrilevante, visto che ‘le scelte professionali del difensore, tra cui rientra anche la nomina un sostituto di udienza, sono espressione della sua discrezionalità tecnica e non possono, quindi, essere sindacate dal soggetto difeso il quale può esclusivamente, ove sussista un’insanabile divergenza in ordine alle modalità di espletamento del mandato professionale, revocare il mandato e sostituire il mandatario con altro difensore ‘ (Sez. 3, n. 31377 del 08/03/2018, P D C, Rv. 273808-01).
1.2. R elativamente all’eccezione secondo la quale l’attività degli imputati non aveva ancora superato la fase degli atti preparatori ovvero non era ancora iniziata la fase di esecuzione del reato di cui al capo a), la Corte di appello ha ritenuto correttamente come fosse stata già superata la soglia del tentativo punibile, visto che vi era stata una predisposizione consistente nel portare sul luogo ove sarebbe stata commessa la rapina due pistole con matricola abrasa e fascette per legare le persone da sottoporre all’azione criminosa, nel travisamento, nel l’uso di una carrozzina con all’interno un bambolotto per dare l’apparente immagine di un nucleo familiare inoffensivo, nella disponibilità di un borsone per portare via la refurtiva e di telefoni cellulari per tenere i contatti; a ciò si era aggiunta una concreta attività di esecuzione, consistente nel tentativo di entrare in gioielleria; sul punto, si deve ribadire che , p er la configurabilità del tentativo rilevano non solo gli atti esecutivi veri e propri, ma anche quegli atti che, pur
classificabili come preparatori, facciano fondatamente ritenere che l’agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l’azione abbia la significativa probabilità di conseguire l’obiettivo programmato e che il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili indipendenti dalla volontà del reo. (Fattispecie relativa a tentativo di rapina ad un furgone portavalori, con riferimento alla quale la RAGIONE_SOCIALE. ha ritenuto che erroneamente il tribunale del riesame, in riforma dell’ordinanza coercitiva, avesse escluso l’univocità degli atti solo per la non imminenza dell’assalto, senza tener conto degli altri indici utilizzabili per stabilire se l’azione avesse una significativa probabilità di essere portata a compimento, tra cui l’individuazione dell’obiettivo, la progettazione dell’azione nei minimi particolari, la progressione nell’organizzazione – con l’approvvigionamento di una pala gommata, di armi e di maschere per i volti – nonostante la certezza del monitoraggio delle forze dell’ordine, nonché la scelta di un’idonea strada con curve a gomito per l’agguato).’ (Sez. 2, n. 24302 del 04/05/2017, Gentile, Rv. 269963-01).
1.3. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato, posto che, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, nel giudizio di legittimità rimane comunque esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito: nel caso in esame, la Corte di appello ha infatti rilevato che tutti i soggetti avevano la disponibilità delle due pistole (pag. 13 sentenza impugnata), con una valutazione sulla quale non è ammesso sindacato nella presente sede.
S ul punto, si deve ribadire che ‘concorre nei delitti di illecita detenzione e di illecito porto in luogo pubblico di arma colui che partecipa insieme ad altri all’ideazione e alla preparazione di un reato da commettere con armi, essendo irrilevante il suo mancato intervento materiale durante la fase esecutiva del reato programmato’ (Sez. 1, n. 6223 del 05/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285785-01); infatti, il concorso di persone nel porto o nella detenzione di un’arma non può essere escluso dalla semplice appartenenza dell’arma a uno solo dei concorrenti, se con questo gli altri abbiano programmato dei reati prevedendo la necessità dell’utilizzazione dell’arma e abbiano poi realizzato questi reati accompagnandosi nel luogo in cui essi dovevano essere consumati (così, Sez. 2, n. 46286 del 23/09/2003, Inglese, Rv.226971-01).
1.4. Quanto alla memoria presentata, si deve ribadire che l’inammissibilità dei motivi originari del ricorso per cassazione non può essere sanata dalla proposizione di motivi nuovi, atteso che si trasmette a questi ultimi il vizio radicale che inficia i motivi originari per l’imprescindibile vincolo di connessione esistente tra gli stessi e considerato anche che deve essere evitato il surrettizio spostamento in avanti dei termini di impugnazione.
Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell’art. 616 c od. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di € 3.000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 05/06/2025