Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 22863 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 22863 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a VITA il 01/06/1958
COGNOME NOME nato a VITA il 11/09/1968
COGNOME NOME nato a MAZARA DEL VALLO il 18/05/1961
COGNOME NOME nato a SALEMI il 23/03/1984
avverso la sentenza del 29/10/2024 della Corte d’appello di Palermo Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il PG, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
uditi i difensori presenti:
Avvocato NOME COGNOME del foro di Marsala, difensore di fiducia di COGNOME NOME e COGNOME NOME, che ha insistito per l ‘ accoglimento dei ricorsi e ha depositato copia del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato e nota spese, chiedendo il pagamento dei compensi professionali per questo grado di giudizio;
Avvocato NOME COGNOME del foro di Palermo, difensore di fiducia di COGNOME NOME, presente in proprio e quale sostituto processuale per delega orale dell’avv. NOME COGNOME del foro di Trapani, difensore di fiducia di COGNOME NOME. L ‘avv. COGNOME ha chiesto l ‘accoglimento dei motivi di ricorso proposti nell ‘interesse di COGNOME e COGNOME .
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 29 ottobre 2024, la Corte di appello di Palermo ha parzialmente riformato la sentenza emessa dal Tribunale di Marsala il 18 luglio 2022 nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME che, in primo grado, erano stati ritenuti responsabili, in concorso tra loro, del reato di cui agli artt. 56 e 110 cod. pen. 73, commi 1 e 6 d.P.R, 9 ottobre 1990 n. 309 e 4 legge 16 marzo 2006 n. 146 (oggi art. 61 bis cod. pen.) per aver compiuto atti idonei, diretti in modo non equivoco ad importare dalla Colombia sostanza stupefacente.
La Corte di appello ha confermato l ‘ affermazione della penale responsabilità degli imputati per il reato tentato e ha condiviso le valutazioni compiute dal Tribunale riguardo alla mancata applicazione delle attenuanti generiche. Ha escluso, invece, l ‘ aggravante di cui all ‘ art. 61 bis cod. pen. -che era stata ritenuta sussistente in primo grado -e, di conseguenza, ha ridotto la pena, determinandola: per COGNOME, nella misura di anni sei di reclusione ed € 21.000,00 di multa (ritenuta la recidiva specifica così come contestata); per COGNOME e COGNOME nella misura di anni quattro, mesi otto di reclusione ed € 16.000,00 di multa; per COGNOME nella misura di anni tre, mesi otto di reclusione ed € 10.000 di mul ta.
Secondo i giudici di merito, dall ‘ istruttoria dibattimentale -in particolare, dal contenuto di intercettazioni eseguite a partire dal mese di settembre del 2012 accompagnate da servizi di osservazione, pedinamento e controllo -è emerso che, tra l ‘ estate del 2013 e l ‘ 11 marzo del 2014, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, avvalendosi della collaborazione di NOME COGNOMEche operava in Colombia), tentarono di acquistare in quel paese e importare in Italia 20 Kg di cocaina. Le sentenze di primo e secondo grado sostengono che gli imputati raccolsero il denaro necessario all ‘ acquisto e che, dal 29 agosto al 6 settembre 2013 (le date sono indicate a pag. 44 della sentenza di primo grado), COGNOME si recò in Colombia, ove prese contatti con Palermo e, tramite lui, con altre persone non identificate, disponibili a fornire una partita di
cocaina dietro versamento di un corrispettivo. Secondo i giudici di merito, fu concordato così l ‘ acquisto di almeno 20 kg di cocaina. Come COGNOME riferì ai coimputati quando tornò in Italia (conversazione del 10 settembre 2013, progressivo n. 11207 RIT n. 679/13 -pagg. 45 e ss. della sentenza di primo grado, pag. 7 della sentenza impugnata): il costo dell ‘ operazione era di 54.000 euro e la sostanza sarebbe stata spedita in Europa da Santa Marta, dove «ci sono navi di carbone», ad opera di un vettore che lo stesso NOME aveva individuato.
Le sentenze di primo e secondo grado sostengono che l ‘ operazione, più volte rinviata, ma concordata nelle sue caratteristiche essenziali sulla base di una trattativa sul cui esito positivo gli imputati avevano riposto concreto affidamento, non condusse alla partenza del carico e, per questo, il reato rimase allo stadio del tentativo. In data 11 marzo 2014, infatti, nell ‘ area rurale di Santa Marta, la polizia colombiana rinvenne e sequestrò la sostanza acquistata (come si è detto, 20 kg di cocaina), confezionata in panetti occultati in cilindri metallici, unitamente ad altri 300 kg della stessa sostanza.
Contro la sentenza della Corte di appello, COGNOME e COGNOME hanno proposto tempestivo ricorso per mezzo dei rispettivi difensori. I ricorsi sono articolati in più motivi che saranno di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari alla decisione come previsto dall ‘ art. 173, comma 1, d.lgs. 28 luglio 1989 n. 271. Si tratta, peraltro, in larga parte, di motivi di contenuto analogo.
Il ricorso proposto nell ‘ interesse di NOME COGNOME consta di due motivi, con i quali il difensore deduce vizi di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza di un tentativo punibile, sia sotto il profilo dell ‘ elemento obiettivo che sotto il profilo dell ‘ elemento psicologico.
In premessa, il difensore del ricorrente sostiene che la sentenza impugnata non avrebbe risposto alle censure contenute nei motivi di appello e si sarebbe supinamente adagiata sul contenuto della sentenza di primo grado senza prendere autonoma posizione sulle diverse questioni sollevate in sede di gravame e, dunque, senza offrire alle parti processuali la possibilità di comprendere per quali ragioni le critiche mosse ai contenuti argomentativi della prima decisione fossero state disattese.
3.1. Il primo motivo ha ad oggetto la ritenuta sussistenza di un tentativo punibile. Secondo la difesa, le conversazioni intercettate non documentano affatto che la trattativa instaurata da Crimi e dai coimputati con ignoti soggetti colombiani sia andata a buon fine e l ‘ affermazione secondo la quale gli odierni imputati avrebbero cercato di importare in Italia proprio i 20 kg di cocaina che furono
sequestrati dalla polizia colombiana l ‘ 11 marzo 2014 (insieme ad una più ampia partita di 300 kg della medesima sostanza), sarebbe frutto di una mera congettura. La sostanza, infatti, fu rinvenuta e sequestrata in un terreno agricolo situato a 20 km di distanza dal porto di Santa Marta; non è noto se dovesse essere caricata su una nave; neppure è noto se, nei giorni seguenti al sequestro, fosse programmata la partenza alla volta dell ‘ Europa di una nave carboniera (come quella della quale si parla nelle intercettazioni). Le indagini, inoltre, non hanno provato collegamenti tra gli imputati e le persone che sono state arrestate dalla polizia colombiana a seguito del sequestro della cocaina e neppure sono provati contatti tra queste persone e NOME COGNOME
In tesi difensiva, la ricostruzione fornita dai giudici di merito, secondo la quale la trattativa aveva raggiunto caratteri di concretezza -ed era perciò una «trattativa affidante», idonea a integrare gli estremi di un tentativo punibile (pag. 8 della sentenza impugnata) -sarebbe smentita da molteplici argomenti che sono stati sviluppati nei motivi di gravame e la Corte di appello avrebbe omesso di esaminare essendosi limitata a riprendere, condividendole, le motivazioni sviluppate dai giudici di primo grado.
A questo proposito la difesa osserva: che, il 7 febbraio 2014, NOME COGNOME disse ad COGNOME di aver consegnato ai venditori il denaro necessario all ‘ acquisto; che, il 15 febbraio, gli preannunciò la partenza del carico nel fine settimana successivo; che il 5 marzo indicò quale data di partenza l ‘ 8 marzo; che il 14 marzo 2014 (quando il sequestro della sostanza era ormai avvenuto), pur segnalando che vi erano stati problemi, COGNOME comunicò che il carico era ancora possibile ed era comunque possibile ottenere, entro la fine del mese, la restituzione della somma versata. Secondo la difesa, l ‘ insieme di queste conversazioni rende evidente che, in realtà, NOME COGNOME non aveva avviato alcuna trattativa e la sostanza stupefacente che, in ipotesi accusatoria, COGNOME e gli altri intendevano acquistare non fu mai concretamente individuata. La condotta consistita nel raccogliere il denaro e inviare Anzelmo in Colombia, dunque, quand ‘ anche inequivocamente diretta all ‘ acquisto e all ‘ importazione di sostanza stupefacente, non sarebbe stata idonea alla realizzazione del proposito criminoso, perché COGNOME e i suoi complici si avvalsero di un intermediario inaffidabile che intascò il denaro e attribuì il fallimento dell ‘ operazione a difficoltà sopravvenute, usando come copertura un sequestro di stupefacente eseguito dalla Polizia colombiana del quale ebbe notizia da fonti aperte. Secondo la difesa, non rileva in contrario che, dopo il viaggio di Anzelmo in Colombia, Palermo abbia mantenuto stabili contatti con lui e neppure rileva che tali contatti siano proseguiti dopo il sequestro. Il canale di comunicazione, infatti, fu mantenuto aperto «al solo fine di
propinare altri fantomatici progetti criminali ed intascare altro denaro dagli odierni imputati» (così, testualmente, pag. 16 dell ‘ atto di ricorso).
Anche a prescindere dall ‘ inaffidabilità di Palermo e dalle sue intenzioni truffaldine, peraltro, secondo la difesa il contenuto delle conversazioni rende evidente che le trattative avviate da NOME COGNOME -e proseguite da NOME COGNOME -non avevano ad oggetto la sostanza sequestrata l ‘ 11 marzo 2014 dalla Polizia colombiana. La cocaina che gli odierni ricorrenti avrebbero voluto acquistare, infatti, avrebbe dovuto essere caricata su una nave già l ‘ 8 marzo ed era comunque ancora disponibile il 14 marzo, quando il sequestro era ormai avvenuto. In tesi difensiva, da ciò si desume che la trattativa non acquisì mai carattere di concretezza, la sostanza destinata ad essere importata in Italia non fu mai individuata e non si passò mai dal compimento di meri atti preparatori al compimento di atti idonei, diretti in modo non equivoco alla consumazione del reato.
3.2. Quanto alla ritenuta sussistenza del dolo intenzionale (necessario ad integrare l ‘ elemento psicologico del reato tentato), nel secondo motivo del ricorso il difensore ricorda che, come la sentenza impugnata riferisce (pag. 9), COGNOME e COGNOME mostrarono «l ‘ intenzione di abbandonare il progetto» e rileva che, a differenza di quanto ritenuto dai giudici di appello, questa intenzione si concretizzò. Già prima del sequestro della sostanza, infatti, COGNOME disse agli attuali coimputati «di non avere interesse alcuno al perfezionamento dell ‘ affare e di volere solo rientrare in possesso della somma» (pag. 18 dell ‘ atto di ricorso). La difesa sostiene che COGNOME ribadì questa volontà in plurime occasioni e ne desume che egli si ritirò dalla trattativa quando il progetto si trovava in una fase «embrionale» e gli atti preparatori non erano certamente ancora sfociati in un tentativo punibile.
Il difensore di NOME COGNOME e NOME COGNOME ha proposto nell ‘ interesse dei propri assistiti un unico ricorso articolato in quattro motivi.
4.1. Col primo motivo, nel quale si fa riferimento al reato associativo che era stato inizialmente contestato al capo 8) (reato dal quale tutti gli imputati sono stati assolti già in primo grado), il difensore sostiene che COGNOME e COGNOME si sarebbero accordati tra loro e con altri per acquistare e importare dalla Colombia sostanza stupefacente, ma il reato non fu commesso sicché, nel caso di specie, gli imputati sarebbero stati puniti per il solo fatto dell ‘ accordo, in violazione dell ‘ art. 115 cod. pen.
4.2. Col secondo motivo, la difesa sviluppa argomentazioni simili a quelle già esposte nell ‘ illustrare il ricorso proposto nell ‘ interesse di NOME COGNOME Sostiene, infatti, che la Corte di appello avrebbe illogicamente ritenuto concreta (e idonea
al conseguimento dello scopo) una trattativa che in realtà non fu mai avviata, trattandosi di «un macchinoso espediente diligentemente organizzato da Palermo per raggirare ed ottenere provvista dagli odierni imputati, simulando l ‘ acquisto di una inesistente partita di cocaina da importare in Europa» (pag. 3 dell ‘ atto di ricorso).
Secondo la difesa, la sentenza impugnata ha ritenuto che l ‘ acquisto e l ‘ importazione della cocaina in Italia fossero state concordate nelle loro linee essenziali (e per questo ha ritenuto integrato un tentativo punibile) sulla base di argomentazioni che sarebbero frutto di travisamento della prova. Nella sentenza si legge, infatti (pag. 7), che COGNOME effettuò una trasferta in Colombia portando con sé «decine di migliaia di euro», ma la circostanza che, durante il viaggio, COGNOME avesse denaro con sé non è provata. Non è provato, inoltre, che, nel corso di quella trasferta, COGNOME abbia avuto contatti con le persone che furono tratte in arresto dalla polizia colombiana l ‘ 11 marzo 2014 e sono state indicate nel capo di imputazione come concorrenti nel reato.
In tesi difensiva a ciò deve aggiungersi:
che l ‘ 11 marzo 2014 la polizia colombiana ha sequestrato complessivamente 320 kg di cocaina e dagli atti non emerge esservi stata alcuna differenza tra le modalità di confezionamento dei 20 kg asseritamente destinati agli odierni imputati e i restanti 300 kg, sicché non si comprende in che modo i giudici di merito abbiano potuto individuare l ‘ oggetto della trattativa in una parte della sostanza sequestrata dalle autorità colombiane;
che l ‘ affermazione secondo la quale la sostanza rivenuta a Santa Marta era destinata ad essere imbarcata su una nave e trasferita in Europa è frutto di una congettura, non essendo stata individuata la nave, né accertato il tragitto che avrebbe percorso, né individuato il porto di destinazione;
che neppure è noto se la sostanza sequestrata (non analizzata al momento del sequestro) avesse efficacia drogante.
4.3. Col terzo motivo, la difesa sostiene che i giudici di merito non si sarebbero attenuti alle regole che presiedono alla valutazione della prova indiziaria, avendo considerato come certe, circostanze di fatto in realtà solo supposte.
4.4. Col quarto motivo, la difesa si duole che non siano state applicate né ad COGNOME né a COGNOME le attenuanti generiche non ostante il lungo tempo trascorso dai fatti, l ‘ incensuratezza di COGNOME e la modesta caratura criminale di COGNOME.
Il ricorso proposto nell ‘ interesse di NOME COGNOME consta di un unico motivo articolato in più punti.
5.1. Il ricorrente deduce, in termini non dissimili rispetto a quelli già esposti per gli altri ricorrenti, violazione di legge e vizi di motivazione per essere stato
ritenuto integrato un tentativo punibile a fronte di atti meramente preparatori e di una trattativa mai concretizzatasi.
In tesi difensiva le emergenze istruttorie non provano che tra gli odierni imputati e i presunti venditori della sostanza stupefacente si sia perfezionato un accordo e, come è stato riferito in giudizio, all ‘ udienza del 21 luglio 2020, da uno degli ufficiali di PG incaricati delle indagini (il verbale è allegato all ‘ atto di ricorso), le intercettazioni non hanno documentato contatti tra gli odierni imputati e i soggetti colombiani tratti in arresto l ‘ 11 marzo 2014. Anche il difensore di COGNOME sottolinea che la sostanza stupefacente è stata sequestrata in una località distante dal porto di Santa Marta e ricorda che le conversazioni intercettate facevano riferimento a una nave carboniera, ma il sequestro non è avvenuto a bordo di una nave. In tesi difensiva, l ‘ affermazione secondo la quale gli odierni imputati avevano concordato l ‘ acquisto di una parte della cocaina sottoposta a sequestro dalla polizia colombiana sarebbe frutto di mera supposizione e, nel giungere a queste conclusioni, i giudici di merito non avrebbero fatto corretta applicazione dei principi in materia di valutazione della prova indiziaria.
La sentenza impugnata, inoltre, sarebbe contraddittoria, perché ha ritenuto integrato il tentativo di importazione sostenendo che l ‘ operazione fu concordata nelle sue caratteristiche essenziali e gli imputati riponevano concreto affidamento nel suo esito positivo, ma, nell ‘ escludere la sussistenza della aggravante di cui all ‘ art. 61 bis cod. pen., ha affermato che, in questa vicenda, si coglie soltanto «l ‘ occasionale interrelazione tra distinti centri di interesse, costituiti da una parte da cinque soggetti del trapanese, quattro dei quali qui imputati, e dall ‘ altro da imprecisati soggetti colombiani, del tutto sconosciuti agli odierni appellanti ad eccezione dei fugaci rapporti avuti dall ‘ emissario COGNOME con i quali ha svolto un ruolo di intermediario il quinto siciliano ivi residente» (così, testualmente, pag. 9 della sentenza impugnata).
5.2. Sotto diverso profilo, la difesa sostiene che la sentenza impugnata non avrebbe risposto alle censure contenute nei motivi di appello, adagiandosi supinamente sulla motivazione della sentenza di primo grado e riproducendone in parte il contenuto senza prendere posizione sulle questioni specificamente sollevate in sede di gravame. Il ricorrente sostiene che, in questo caso, non si potrebbe parlare di una motivazione ‘ per relationem ‘ bensì di una concreta elusione dell ‘ obbligo di motivare, previsto, a pena di nullità, dall ‘ art. 125, comma 3, cod. proc. pen. e direttamente imposto dall ‘ art. 111 Cost.
5.3. Nel ricorso, la difesa sviluppa anche un ‘ ulteriore doglianza. Sostiene, infatti, che il reato non sarebbe provato nella sua oggettività non essendo mai stato accertato se la sostanza sequestrata l ‘ 11 marzo 2014 contenesse principio attivo e avesse, dunque, efficacia drogante.
5.4. La difesa si duole, infine, che non siano state concesse ad COGNOME le attenuanti generiche. Osserva che egli intervenne nella vicenda soltanto fornendo un contributo finanziario, senza partecipare in nessun modo alla fase esecutiva dell ‘ operazione, e lamenta che questo dato non sia stato considerato dalla Corte di appello, che ha ritenuto (pag. 12) «la totale assenza di dati storici di contorno muniti di significativa entità attenuatrice».
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità.
Deve essere preliminarmente affrontata la doglianza con la quale i difensori di NOME COGNOME e NOME COGNOME sostengono che la sentenza impugnata non avrebbe risposto alle censure contenute nei motivi di appello adagiandosi supinamente sul contenuto della sentenza di primo grado senza prendere posizione sulle questioni sollevate in sede di gravame.
Va premesso che una sentenza di secondo grado non può essere censurata sol perché -come è avvenuto nel caso di specie -esamina i motivi di appello con criteri omogenei a quelli del primo giudice e opera frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza. In questi casi, infatti, poiché vi è concordanza tra i giudici del gravame e il giudice di primo grado nell ‘ analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo (cfr. tra le tante: Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
Nel caso oggetto del presente ricorso, la Corte territoriale doveva confrontarsi con motivi di appello secondo i quali la condotta accertata in giudizio non integrerebbe un tentativo punibile essendosi esaurita nel compimento di meri atti preparatori: vuoi perché gli imputati si erano avvalsi di un collaboratore inaffidabile, in persona di NOME COGNOME il quale avrebbe cercato di truffarli fingendo di mettersi in contatto con narcotrafficanti colombiani; vuoi perché le trattative non raggiunsero mai carattere di concretezza e, anche a voler ammettere che l ‘ operazione dovesse essere realmente compiuta, non si giunse mai ad un accordo e all ‘ individuazione di una partita di cocaina da acquistare e importare, non potendo essere ritenuta tale la sostanza sequestrata dalla polizia colombiana l ‘ 11 marzo 2014.
La sentenza impugnata risponde a queste argomentazioni richiamando l ‘ esito delle intercettazioni e trascrivendone in nota alcuni passaggi rilevanti. I giudici di secondo grado, dunque, non si sono limitati a condividere le motivazioni della sentenza di primo grado, ma hanno richiamato i passaggi più significativi delle conversazioni intercettate e hanno autonomamente commentato e valutato le emergenze investigative. Una motivazione siffatta non può essere ritenuta ‘apparente’ solo perché riproduce in parte argomentazioni già sviluppate dai giudici di primo grado. Pertanto, il motivo è manifestamente infondato.
Passando al merito della vicenda, le motivazioni con le quali i giudici di primo e secondo grado hanno ritenuto integrato un tentativo punibile appaiono complete, scevre da profili contraddittorietà o manifesta illogicità e conformi ai principi di diritto che regolano la materia.
Secondo i giudici di primo e secondo grado, la sequenza di condotte realizzate dagli imputati fu idonea e diretta in modo non equivoco alla importazione di cocaina. A questo proposito la sentenza impugnata osserva che la «trasferta colombiana dell ‘ Anzelmo» non servì soltanto a consegnare a NOME COGNOME il denaro necessario all ‘ acquisto, ma anche a prendere contatti con terze persone che avrebbero dovuto fornire la sostanza e trasportarla in Europa (pagg. 6 e ss. della sentenza impugnata, pagg. 32 e ss. della sentenza di primo grado). La Corte territoriale ha ritenuto che, in questa trasferta, fossero stati definiti gli elementi essenziali della operazione ed è giunta a questa conclusione alla luce di una conversazione, intercettata il 10 settembre 2013 (progressivo n. 11207 – RIT n. 679/13), nella quale, essendo appena rientrato dalla Colombia e conversando in auto con COGNOME e COGNOME, COGNOME spiegò di essere riuscito a concludere un accordo in base al quale l’importazione dello stupefacente sarebbe avvenuta per mezzo di una nave carbonifera. COGNOME riferì ai complici che per questa ragione, durante la permanenza in Colombia, era dovuto andare fino a Santa Marta, luogo dal quale il viaggio sarebbe iniziato. Disse inoltre: «per questa volta ci è finita bene perché per 54.000 a cosa abbiamo fatto l ‘ operazione» e aggiunse: «quello voleva e ora vuole caricati, il carico e l o scarico, quindi, per 10…» . Nel commentare questa conversazione la sentenza di primo grado (richiamata dalla sentenza di appello) chiarisce (pag. 34) che, in una precedente conversazione, COGNOME aveva indicato quale prezzo di acquisto della sostanza 3.500 dollari al chilo, corrispondenti a 70.000 dollari per 20 kg. La sentenza di primo grado sottolinea che, secondo il cambio dell ‘ epoca, 70.000 dollari corrispondevano a circa 54.000 euro. Chiarisce, inoltre, che 10 kg della sostanza avrebbero dovuto essere lasciati al vettore quale corrispettivo per il trasporto (interpreta così il riferimento ai 10, dovuti per il carico e lo scarico) e riferisce che COGNOME commentò le informazioni ottenute da COGNOME
facendo un calcolo del guadagno che avrebbe potuto ricavarsi proprio dalla vendita di 10 kg di sostanza.
Da questa e dalle successive conversazioni, i giudici di merito hanno desunto che, nella trasferta colombiana, COGNOME tracciò le direttrici lungo le quali ci si doveva muovere per procedere all ‘ importazione della sostanza stupefacente e, avendo individuato una persona disponibile al trasporto, consegnò a NOME COGNOME la somma che doveva servire all ‘ acquisto della cocaina; somma che era stata raccolta prima della partenza e COGNOME aveva portato con sé in Colombia. Secondo i giudici di merito, dunque, le difficoltà successivamente riscontrate, cui conseguirono plurimi rinvii della spedizione, furono una conseguenza, in parte inevitabile, della natura illecita dell ‘ affare.
Dalla sentenza di primo grado emerge: che, prima della partenza di Anzelmo (avvenuta a fine agosto), COGNOME e COGNOME si attivarono per raccogliere il denaro necessario all ‘ acquisto e all ‘ importazione (pag. 43); che, in una conversazione intercettata a gennaio, preso atto delle difficoltà riscontrate, COGNOME suggerì a COGNOME di chiedere la restituzione delle somme versate (testualmente: «vacci e gli dici ‘ le cose sono tutte pagate, le cose me li dai? Dammi le cose che ti ho dato e la finiamo, che mi devo prendere?») (pag. 54); che COGNOME chiese notizie sull ‘ esito dell ‘ operazione, dichiarandosi disponibile a contribuire alle spese del viaggio eventualmente necessario a verificare cosa stesse accadendo (pag. 56). A differenza di quanto sostenuto nel ricorso proposto nell ‘ interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME dunque, l ‘ affermazione secondo la quale, nel corso della trasferta in Colombia, COGNOME portò con sé «decine di migliaia di euro» non è frutto di mera congettura né del travisamento delle emergenze istruttorie, ma della valutazione di tali emergenze, motivata in termini che non possono essere considerati né illogici né contraddittori.
Secondo i giudici di merito, il ritardo nell ‘ attuazione del piano concordato non consente di ipotizzare una volontà truffaldina da parte di Palermo. Lui e COGNOME, infatti, già a gennaio, avevano commentato le difficoltà incontrate (e il conseguente ritardo nell ‘ importazione) manifestando il timore che gli altri potessero iniziare a non fidarsi di loro.
La sentenza impugnata sottolinea (pag. 7 e 8 della motivazione):
che COGNOME e Palermo valutarono la possibilità di restituire i «documenti» e, con l ‘ espressione documenti, intendevano far riferimento alla somma destinata all ‘ acquisto;
che Palermo si dichiarò disponibile ad ospitare di nuovo COGNOME o qualcuno dei finanziatori al fine di consentire loro di constatare di persona la serietà dell ‘ affare;
che, non ostante le difficoltà e i rinvii succedutisi nel tempo, i contatti tra Palermo ed COGNOME (e tra COGNOME, COGNOME e COGNOME) non si interruppero mai.
La Corte di appello riferisce, inoltre:
che il sequestro avvenne alla «modestissima distanza di 20 km» dal porto di Santa Marta, porto dal quale il carico sarebbe dovuto partire secondo gli accordi intervenuti tra COGNOME e i fornitori colombiani;
che, al momento del sequestro, «la sostanza era racchiusa in 320 pacchi rettangolari, occultati in tre diversi cilindri metallici chiusi ermeticamente, in uno a morsetti con viti regolabili di diametro analogo a quello dei cilindri, tali da far concludere che gli stessi dovessero essere attraccati allo scafo di una nave»;
che, come riferì ai complici (e come emerge dalle successive conversazioni intrattenute con Palermo), durante la trasferta in Colombia, COGNOME aveva contattato le persone incaricate del trasporto della sostanza e quel trasporto sarebbe dovuto avvenire per mezzo di una nave carbonifera;
che Palermo operava sul posto, con funzioni di intermediario, sicché il programma criminoso concretamente avviato da COGNOME non richiedeva, per poter proseguire, l ‘ instaurarsi di contatti diretti tra gli imputati rimasti in Italia e i venditori e trasportatori colombiani;
che, pertanto, la mancanza di tali contatti non consente di dubitare della attuazione di quel programma, sul cui esito positivo gli imputati facevano concreto affidamento.
Alla luce di tali emergenze, non è manifestamente illogico né contraddittorio aver considerato congetturale la tesi difensiva secondo la quale NOME COGNOME avrebbe ingannato gli imputati rendendosi responsabile di una truffa in loro danno.
Ciò è tanto più evidente se si considera che -come risulta dalla sentenza di primo grado (pagg. 76 e ss.) -il 14 marzo 2014, dopo il sequestro della sostanza, Palermo contattò COGNOME informandolo che aveva chiesto alla «zia» la restituzione dei soldi e aggiunse: che sarebbe stato «l ‘ uomo più felice di questa terra» se qualcuno fosse andato in Colombia per rendersi conto «della situazione»; che indubbiamente c ‘ erano stati imprevisti, ma «il loro capitale nessuno lo ha toccato, e qui è» (conversazione n. 2 del 14 marzo 2014). Avuta notizia dell ‘ avvenuto sequestro, del resto, COGNOME, COGNOME e COGNOME si incontrarono. COGNOME evidenziò il ruolo di garante assunto da Palermo e disse di non essere più interessato «ai venti» (secondo i giudici di merito: ai venti chilogrammi di cocaina), ma solo alla restituzione di quanto era stato mandato (secondo i giudici di
merito: al denaro che COGNOME aveva portato in Colombia) (pag. 86 della sentenza di primo grado).
I motivi di ricorso non si confrontano con queste motivazioni. Si limitano infatti a sostenere che Palermo potrebbe avere indotto in inganno gli altri sul contenuto delle trattative intraprese e potrebbe aver cercato di giustificare la mancata spedizione della merce facendo riferimento a un sequestro di cocaina del quale aveva avuto notizia. Chiedono, dunque, a questa Corte di legittimità, una «rilettura» degli elementi di fatto posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, dimenticando che non integra vizi di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207945). A questo proposito è doveroso rammentare che l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715).
6. Nel ricorso proposto nell ‘ interesse di NOME COGNOME il difensore sostiene che vi sarebbe contraddizione tra la tesi secondo la quale gli imputati avevano concordato le caratteristiche essenziali dell ‘ operazione e la motivazione che la Corte di appello ha sviluppato per escludere che il reato ascritto agli imputati fosse aggravato ai sensi dell ‘ art. 61 bis cod. pen. (già art. 4 legge n. 146/2006).
Non si comprende, tuttavia, per quali motivi vi sarebbe contraddizione tra l ‘ affermazione secondo la quale gli imputati dettero concreta attuazione a un programma teso all ‘ importazione di una partita di cocaina dalla Colombia e quella, contenuta a pag. 9 della sentenza impugnata, secondo la quale nella vicenda, si coglie soltanto «l ‘ occasionale interrelazione tra distinti centri di interesse, costituiti da una parte da cinque soggetti del trapanese, quattro dei quali qui imputati, e dall ‘ altro da imprecisati soggetti colombiani, del tutto sconosciuti agli odierni appellanti ad eccezione dei fugaci rapporti avuti dall ‘ emissario COGNOME con i quali ha svolto un ruolo di intermediario il quinto siciliano ivi residente». Ed invero con quest ‘ ultima affermazione, la Corte di appello ha escluso che gli imputati abbiano contribuito all ‘ attività di un gruppo organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato, ma non ha affatto escluso che gli accordi intervenuti con i fornitori e i trasportatori colombiani potessero essere concreti e neppure ha escluso che fossero stati concordati il prezzo di vendita, la quantità della sostanza, le modalità del trasporto e il corrispettivo spettante al vettore.
7. La tesi secondo la quale la sostanza acquistata dagli imputati era parte dei 320 kg di cocaina sottoposti a sequestro ad opera della polizia colombiana è censurata da tutti i ricorrenti, secondo i quali si tratterebbe di una ricostruzione congetturale o manifestamente illogica.
I ricorsi, tuttavia, non spiegano per quali ragioni sarebbe manifestamente illogico aver attribuito rilievo indiziario al fatto che la sostanza posta sotto sequestro dalla polizia colombiana era confezionata in cilindri metallici idonei ad essere «attraccati allo scafo di una nave» e fu rinvenuta a pochi chilometri dal porto di Santa Marta. Né spiegano perché sarebbe illogico aver collegato questo dato a quello emergente dalle intercettazioni, dalle quali risulta che, appena rientrato dal viaggio in Colombia, COGNOME riferì ai complici di aver concordato il trasporto della sostanza dal Sudamerica all ‘ Europa per mezzo di una nave carboniera e precisò che quella nave sarebbe partita da Santa Marta.
Nel contrastare queste argomentazioni, i ricorrenti si limitano a sottolineare che la cocaina non fu rinvenuta nel porto, ma in un magazzino posto a 20 km di distanza: un dato che -non illogicamente -la Corte di appello ha valutato inidoneo a svilire il valore indiziario delle modalità di confezionamento della sostanza, contenuta in cilindri metallici «chiusi ermeticamente» e idonei ad essere «attraccati allo scafo di una nave» (circostanza questa che nessuno dei ricorrenti ha contestato). Come emerge dalla lettura della sentenza di primo grado (alla quale la sentenza della Corte di appello fa rinvio), al dato indiziario rappresentato dalla coincidenza tra il luogo del rinvenimento della sostanza, le modalità del confezionamento, e i dettagli forniti da COGNOME ai complici in ordine alle modalità del trasporto, se ne aggiungono altri. Nel riferire ai complici sul contenuto degli accordi intervenuti con i colombiani, infatti, COGNOME parlò di una operazione costata 54.000 euro, corrispondente a 70.000 dollari e, secondo i giudici di merito, questa somma corrisponde al valore di 20 kg di sostanza calcolato al prezzo di 3.500 dollari al chilo (precedentemente indicato da Crimi) (pag. 34 della sentenza di primo grado).
7.1. Non rileva in contrario che la sostanza acquistata dagli imputati fosse parte di una partita più ampia, dalla quale non era distinguibile. Il difensore di COGNOME e COGNOME pone in luce questo dato per sostenere che la partita destinata al trasferimento in Italia non sarebbe stata individuata, ma il motivo non ha pregio. Dalla sentenza impugnata risulta, infatti (pag. 7), che lo stupefacente occultato nei cilindri metallici era «racchiuso in 320 pacchi rettangolari». Ne consegue che, ognuno di questi pacchi, conteneva un chilogrammo di sostanza e ciò consentiva di distribuire il prodotto tra i destinatari nei termini concordati prima dell ‘ inizio del viaggio. Anche per questa parte, dunque, la motivazione della sentenza impugnata non presenta profili di manifesta illogicità.
7.2. Non ha maggior pregio la doglianza secondo la quale la sostanza sequestrata dalla polizia colombiana non sarebbe mai stata analizzata e, pertanto, potrebbe non trattarsi di cocaina o trattarsi addirittura di sostanza priva di efficacia drogante. Basta in proposito riferire che, come risulta dalla sentenza impugnata (pag. 9), «venticinque campioni della sostanza furono trasmessi per le analisi al laboratorio del Cuerpo Tecnico del Investigationes» e queste analisi confermarono «la presenza di cocaina».
8. I giudici di merito hanno ravvisato nei fatti oggetto di imputazione un tentativo di importazione. Hanno ritenuto, dunque, che la trattativa -delineata nei suoi elementi essenziali già nel mese di settembre del 2013 -non abbia determinato il trasferimento di proprietà della sostanza, sottoposta a sequestro prima di essere caricata sulla nave che avrebbe dovuto portarla in Europa. Poiché sono giunti a tali conclusioni, i giudici di merito hanno ritenuto che nel caso di specie dovesse trovare applicazione il principio secondo il quale «ai fini della consumazione del delitto di importazione di sostanze stupefacenti, che consiste nell ‘ attività di immissione nel territorio nazionale di sostanze provenienti da altri Stati, non è sufficiente la mera conclusione dell ‘ accordo tra acquirente e venditore finalizzato all ‘ importazione, con cui si configurerebbe la condotta di detenzione, ma è necessaria l ‘ assunzione, da parte dell ‘ importatore, della gestione dell ‘ attività volta all ‘ effettivo trasferimento dello stupefacente nel territorio nazionale» (Sez. 6, n. 9854 del 14/02/2024, COGNOME, Rv. 286165; Sez. 6, n. 40044 del 29/09/2022, COGNOME, Rv. 283942). Nel caso di specie, infatti, il trasporto non era gestito dagli imputati ed era stato affidato a terzi, individuati dal COGNOME nel corso della trasferta in Colombia.
Nel ritenere integrato un tentativo punibile, i giudici di merito hanno sottolineato: che vi furono seri contatti tra gli imputati e i fornitori colombiani; che il carico era già pronto per la spedizione; che ne era stata concordata la qualità (cocaina), la quantità (20 kg, 10 dei quali sarebbero stati trattenuti dal vettore) e il prezzo (54.000 euro). È stata evidenziata, dunque, l ‘ esistenza di circostanze idonee a dar conto di un tentativo di importazione punibile in ragione del carattere «affidante» delle trattative intercorse.
Così argomentando, i giudici di merito hanno fatto buon governo dei principi di diritto che regolano la materia. Un consolidato orientamento giurisprudenziale, infatti, ritiene che integri il tentativo di importazione di sostanze stupefacenti «la condotta che, collocandosi in una fase antecedente all ‘ acquisto della proprietà della droga destinata ad essere trasferita nel territorio nazionale, si presenti come idonea ed univocamente diretta alla conclusione di tale accordo traslativo, dando vita ad una trattativa sul cui positivo esito risulti che, per la natura, la qualità ed
il numero dei contatti intervenuti, i contraenti abbiano riposto concreto affidamento» (Sez. 1, n. 6180 del 27/11/2019, COGNOME, Rv. 278484; nello stesso senso: Sez. 3, n. 7806 del 15/11/2017, dep. 2018, Pmt ed altri, Rv. 272446; per l’affermazione di principi analoghi v. anche: Sez. 3, n. 1555 del 21/09/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282407; Sez. 6, n. 40044 del 29/09/2022, COGNOME, Rv. 283942).
Col secondo motivo del ricorso a sua firma, il difensore di NOME COGNOME sostiene che questo ricorrente avrebbe dovuto essere mandato assolto dall ‘ imputazione ascrittagli per difetto dell ‘ elemento psicologico del reato, avendo deciso di desistere prima del momento in cui le trattative assunsero caratteristiche tali da poter essere qualificate come un tentativo di importazione. Così argomentando il difensore non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, secondo la quale la trattativa assunse carattere ‘affidante’ fin da quando COGNOME, recatosi in Colombia, consegnò a NOME COGNOME il denaro necessario all ‘ acquisto, indicando la quantità della sostanza da acquistare, le modalità del trasporto, il vettore che avrebbe dovuto eseguirlo, il corrispettivo (in cocaina) che avrebbe dovuto essere corrisposto per il trasporto. Si tratta di premesse in fatto congruamente motivate (dunque, non censurabili in questa sede), dalle quali i giudici di merito hanno desunto la sussistenza del dolo. Ed è coerente con queste premesse l’affermazione (contenuta a pag. 9 della sentenza impugnata) secondo la quale l ‘ intenzione, manifestata da COGNOME, di abbandonare il progetto (peraltro mai concretamente attuata) non esclude il dolo del tentativo perché «altro non attesta se non la pregressa intenzione» di perseguire quel progetto «secondo i passaggi attuativi specificamente compiuti» integranti un tentativo già perfezionato.
10. Restano da esaminare i motivi di ricorso con i quali NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME si dolgono della mancata applicazione delle attenuanti generiche. In tesi difensiva, i ricorrenti sarebbero stati meritevoli dell’applicazione di queste attenuanti per «adeguare la pena al fatto» (risalente nel tempo). Lo sarebbero stati inoltre: COGNOME per l ‘ incensuratezza; COGNOME perché gravato da modesti precedenti; COGNOME, per aver svolto nella vicenda un ruolo di mero finanziatore senza contribuire alla concreta attuazione del progetto.
Come emerge dalla lettura della sentenza impugnata, la scelta di non applicare le attenuanti generiche è stata motivata facendo riferimento alla gravità del fatto che, secondo la Corte di appello, si connota in termini di particolare disvalore perché gli imputati raccolsero «cospicui capitali» e organizzarono una «trasferta internazionale» al fine di acquistare e importare quantità elevate di
cocaina. Con specifico riferimento alla posizione di COGNOME, la Corte territoriale ha anche sottolineato che egli investì nella operazione una somma rilevante e ha considerato questo dato come indicativo di un ‘elevata «caratura criminale». Si deve ricordare allora che, per giurisprudenza costante, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall ‘ art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all ‘ entità del reato e alle modalità di esecuzione dello stesso può risultare sufficiente allo scopo (fra le tante: Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014; COGNOME, Rv. 259899).
11. All ‘ inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che i ricorrenti non versassero in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a carico di ciascuno di loro, a norma dell ‘ art. 616 cod. proc. pen., l ‘onere di versare la somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
Ai sensi dell ‘ art. 83, commi 1 e 2, d.P.R, 30 maggio 2002 n. 115, la liquidazione dei compensi spettanti al difensore degli imputati ammessi al patrocinio a spese dello Stato per il giudizio di cassazione deve essere eseguita «dal giudice di rinvio, ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato». Pertanto, non si tratta di adempimento di competenza di questa Corte.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12 giugno 2025