Tentativo di Furto: Quando un’Azione è Idonea e Non C’è Desistenza Volontaria
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi su un caso di tentativo di furto, offrendo importanti chiarimenti sui concetti di idoneità dei mezzi e di desistenza volontaria. La decisione sottolinea come l’interruzione dell’azione criminale a causa dell’intervento delle forze dell’ordine non possa essere confusa con una scelta volontaria dell’imputato di abbandonare il proprio proposito illecito. Analizziamo insieme i dettagli di questa pronuncia.
I Fatti del Caso in Esame
Il caso riguarda un individuo che aveva tentato di scassinare la cassaforte di un erogatore automatico di carburante. Per farlo, si era avvalso di una chiave inglese, uno strumento ritenuto adatto a forzare il dispositivo. Tuttavia, l’azione non è stata portata a termine, poiché interrotta dall’arrivo delle forze dell’ordine. A seguito del tentativo, la cassaforte risultava comunque danneggiata. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che si trattasse di un tentativo non idoneo e, in subordine, che si dovesse configurare una desistenza volontaria.
La Decisione della Corte sul tentativo di furto
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende. La decisione si fonda su due principi cardine del diritto penale in materia di tentativo.
L’Idoneità dei Mezzi Utilizzati
In primo luogo, i giudici hanno ribadito che, affinché un tentativo sia considerato penalmente irrilevante, l’inefficienza dei mezzi utilizzati deve essere ‘assoluta’. In altre parole, lo strumento deve essere talmente inadatto da non consentire, neppure in via eccezionale, il raggiungimento dell’obiettivo criminoso. Nel caso di specie, la chiave inglese era stata correttamente valutata come uno strumento del tutto idoneo a forzare la cassaforte, rendendo quindi il tentativo pienamente sussistente e punibile.
L’Esclusione della Desistenza Volontaria
In secondo luogo, la Corte ha affrontato il tema della desistenza volontaria. Questo istituto si applica solo quando l’agente interrompe l’azione per una propria libera e autonoma scelta. La desistenza è configurabile esclusivamente nella fase del ‘tentativo incompiuto’, ossia prima che siano stati posti in essere tutti gli atti che possono scatenare l’evento dannoso. Nel caso analizzato, l’azione di scasso era già iniziata (come dimostrato dal danneggiamento della cassaforte) e si è interrotta non per volontà del reo, ma a causa di un fattore esterno e coercitivo: l’intervento delle forze dell’ordine. Di conseguenza, non è stato possibile riconoscere alcuna desistenza volontaria.
Le Motivazioni della Sentenza
Le motivazioni dell’ordinanza si basano su un consolidato orientamento giurisprudenziale. La Corte richiama precedenti sentenze per specificare che la valutazione sull’idoneità degli atti deve essere condotta con un giudizio ‘ex ante’, cioè basandosi sulla situazione così come si presentava all’agente al momento dell’azione. Se, in quella prospettiva, gli atti appaiono capaci di condurre all’evento, il tentativo è punibile.
Per quanto riguarda la desistenza, viene sottolineata la differenza fondamentale tra una scelta interna del reo (desistenza) e un’interruzione dovuta a cause di forza maggiore (tentativo non riuscito). L’arrivo della polizia rappresenta l’esempio classico di un evento esterno che impedisce il completamento del reato, ma non annulla la rilevanza penale degli atti già compiuti. L’azione era già entrata nella fase esecutiva e aveva prodotto un danno, elemento che rafforza la conclusione che il processo causale era stato innescato.
Conclusioni
Questa pronuncia della Cassazione riafferma con chiarezza due principi fondamentali del diritto penale. Primo: un tentativo di furto è punibile se i mezzi impiegati sono oggettivamente adeguati allo scopo, anche se poi l’azione fallisce. Secondo: la desistenza, per essere considerata ‘volontaria’, deve nascere da una decisione autonoma dell’autore del reato e non da impedimenti esterni. La decisione ha quindi un’importante implicazione pratica: chi viene colto in flagrante mentre commette un reato non può sperare di invocare la desistenza volontaria per evitare la condanna, poiché l’interruzione non deriva da un suo ripensamento, ma dalla necessità.
Quando un tentativo di reato è considerato penalmente rilevante?
Un tentativo di reato è rilevante quando gli atti compiuti e i mezzi usati sono ‘idonei’, ovvero oggettivamente capaci di portare a termine il crimine. Non è richiesta l’assoluta certezza del successo, ma è sufficiente che l’azione, valutata al momento in cui viene compiuta, abbia la concreta potenzialità di realizzare il proposito criminoso.
Cosa si intende per ‘desistenza volontaria’ e quando si applica?
La desistenza volontaria si verifica quando una persona interrompe l’azione criminale per una sua libera scelta, non perché costretta da eventi esterni. Secondo l’ordinanza, è configurabile solo nella fase del ‘tentativo incompiuto’, cioè prima che siano stati compiuti tutti gli atti che possono causare l’evento finale del reato.
L’intervento delle forze dell’ordine può essere considerato causa di desistenza volontaria?
No, l’intervento delle forze dell’ordine è un fattore esterno che interrompe forzatamente l’azione criminale. Pertanto, esclude la possibilità di configurare una desistenza volontaria, la quale deve dipendere esclusivamente da una scelta autonoma dell’autore del reato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22700 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22700 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 14/12/1974
avverso la sentenza del 29/04/2024 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
1. Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Firenze che ha confermato la condanna dell’imputato per il reato di tentato furto pluriaggravato;
2. Considerato che il primo motivo di ricorso – che eccepisce l’improcedibilità del reat per difetto di querela – è manifestamente infondato e palesemente smentito dagli atti
processuali, da cui emerge chiaramente la volontà della persona offesa di perseguire il responsabile del reato, senza alcun margine di incertezza;
3. Rilevato che il secondo e il terzo motivo di ricorso – che denunziano violazione di legge e vizio di legittimità in ordine alla mancata applicazione della disciplina del reato impossibi
quantomeno della desistenza volontaria – sono manifestamente infondati in quanto il giudice di merito con motivazione esente da vizi logici e giuridici ha chiarito le ragioni poste a fondamen
della dichiarazione di responsabilità dell’imputato;
Invero, con riferimento alla configurabilità del reato impossibile, l’inidoneità dell’a deve essere assoluta per inefficienza strutturale e strumentale del mezzo usato, così da non consentire neppure in via eccezionale l’attuazione del proposito criminoso (Sez. 5, n.9254 del 15/10/2014 Rv. 263058, Semeraro). In applicazione del principio, la Corte territoriale h correttamente ritenuto sussistente il tentativo di furto con riferimento, in particolare, ai adoperati dall’agente (una chiave inglese, adatta a forzare la cassaforte dell’erogator automatico di carburante al centro della vicenda).
Inoltre, nei reati di danno a forma libera, è configurabile la desistenza volontaria s nella fase del tentativo incompiuto, ossia fino a quando non siano stati posti in essere gli att cui origina il processo causale idoneo a produrre l’evento (Sez. 5, n. 50079 del 15/05/2017, Mayer, Rv. 271435). Nel caso di specie il tentativo di scassinare la cassaforte, rimasta peralt danneggiata a seguito dell’azione criminosa, si è realizzato salvo interrompersi per l’interven delle forze dell’ordine;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 07 maggio 2025