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Tentativo di furto: la Cassazione chiarisce gli atti

Un individuo, sorpreso a forzare una porta con degli arnesi, ricorre in Cassazione contro la condanna per tentato furto, sostenendo che l’intenzione fosse solo di danneggiare. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando che il contesto, gli strumenti utilizzati e le modalità dell’azione costituiscono prove sufficienti per dimostrare l’inequivocabile intenzione di commettere un furto. La sentenza ribadisce i criteri per distinguere il tentativo di furto dal mero danneggiamento.

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Pubblicato il 20 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentativo di furto: quando gli atti preparatori sono prova dell’intento criminale?

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 36141 del 2024, offre un importante chiarimento sui criteri per distinguere un tentativo di furto da un semplice reato di danneggiamento. La Corte ha stabilito che la natura degli strumenti utilizzati e le circostanze dell’azione possono essere sufficienti a dimostrare in modo inequivocabile l’intenzione di rubare, anche se il reato non viene portato a compimento. Questo principio è fondamentale per definire i confini del tentativo punibile.

I fatti del caso

Un uomo veniva condannato in primo e secondo grado per il reato di tentato furto in abitazione in concorso con un’altra persona. L’imputato era stato sorpreso dalle forze dell’ordine mentre, utilizzando un cacciavite e un coltello, cercava di forzare il portone d’ingresso di un’abitazione. All’interno di un’auto nelle vicinanze, in uso ai due soggetti, venivano rinvenuti ulteriori strumenti da scasso, tra cui un altro giravite e un grimaldello. La porta dell’abitazione presentava già segni di danneggiamento nella parte inferiore.

I motivi del ricorso

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su cinque motivi principali:
1. Mancanza degli elementi del reato: Si sosteneva che la Corte d’Appello avesse erroneamente dedotto l’intenzione di furto solo dal danneggiamento della porta, senza considerare la possibilità che l’intento fosse limitato al solo reato di danneggiamento.
2. Errata applicazione della recidiva: La difesa lamentava che la recidiva fosse stata riconosciuta in modo formale, senza una valutazione concreta della pericolosità sociale dell’imputato.
3. Estinzione del reato per prescrizione: Legato al punto precedente, si chiedeva di dichiarare la prescrizione del reato qualora la recidiva fosse stata esclusa.
4. Mancato riconoscimento della continuazione: Si contestava la decisione di non applicare l’istituto della continuazione con altri reati (evasione e furto di energia elettrica) giudicati in precedenza.
5. Carenza di motivazione sulle attenuanti generiche: Si criticava la mancata prevalenza delle attenuanti generiche sulla recidiva contestata.

L’analisi della Cassazione sul tentativo di furto

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutti i motivi. In particolare, sul tema centrale del tentativo di furto, i giudici hanno ribadito che il loro compito non è riesaminare i fatti, ma verificare la logicità della motivazione delle sentenze di merito. In questo caso, la valutazione dei giudici di primo e secondo grado è stata ritenuta pienamente logica e coerente.

Le motivazioni

La Corte ha spiegato che gli atti compiuti dall’imputato erano “univoci”, ovvero non lasciavano dubbi sulla finalità furtiva. L’utilizzo di strumenti da scasso specifici (giravite, coltello, grimaldello) per forzare una serratura è un’azione che, secondo le norme di comune esperienza, è diretta a commettere un furto, non un semplice danneggiamento. La presenza di ulteriori arnesi nell’auto rafforzava ulteriormente questa conclusione. Pertanto, la condotta era pienamente idonea a integrare gli estremi del tentativo punibile.

Per quanto riguarda gli altri motivi:
Recidiva: La Cassazione ha ritenuto corretta la motivazione della Corte d’Appello, che aveva evidenziato come i numerosi e gravi precedenti penali dell’imputato (reati contro la persona, il patrimonio e in materia di stupefacenti) dimostrassero un percorso delinquenziale allarmante, giustificando l’aumento di pena.
Continuazione: È stata esclusa perché mancava l’unicità del disegno criminoso. I reati precedenti erano eterogenei (evasione, furto di energia) e separati da un significativo lasso di tempo, indicando una generica propensione a delinquere piuttosto che un piano unitario.
Attenuanti: La Corte ha ricordato che la specifica tipologia di recidiva contestata all’imputato rientra nell’ambito dell’art. 69, ultimo comma, del codice penale, che vieta la prevalenza delle circostanze attenuanti.

Le conclusioni

La sentenza consolida un principio fondamentale: per configurare il tentativo di furto, non è necessario che l’agente entri nell’abitazione, ma è sufficiente che compia atti che, valutati nel loro complesso, indichino chiaramente l’intenzione di rubare. La scelta degli strumenti e le modalità dell’azione diventano elementi di prova cruciali. La decisione sottolinea inoltre i limiti del giudizio di legittimità, che non può sostituirsi alla valutazione dei fatti operata dai giudici di merito, se questa risulta logica e ben motivata.

Quando un’azione di danneggiamento diventa tentativo di furto?
Un’azione di danneggiamento si qualifica come tentativo di furto quando gli atti sono ‘univoci’, cioè quando, considerati nel contesto complessivo (inclusi gli strumenti usati e le modalità dell’azione), rivelano in modo inequivocabile l’intenzione di sottrarre beni altrui, come nel caso di forzatura di una serratura con arnesi da scasso.

È sufficiente avere precedenti penali per l’applicazione della recidiva?
No, non è sufficiente. La sentenza chiarisce che il giudice deve fornire una motivazione specifica, dimostrando che i precedenti penali indicano una radicata propensione a delinquere e una maggiore pericolosità sociale dell’autore del reato, tale da giustificare un aggravamento della pena.

Perché la Corte di Cassazione non ha riesaminato i fatti?
La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito non è quello di ricostruire i fatti o di valutare nuovamente le prove, ma di controllare che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente la legge e abbiano fornito una motivazione logica e non contraddittoria per la loro decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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