Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 36141 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 36141 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CESSANITI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/01/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
NOME COGNOME
che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza emessa il 13/02/2020 dal Tribunale di Vibio Valentia, con la quale NOME COGNOME era stato condannato alla pena di anni due di reclusione ed € 300,00 di multa – previa concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata recidiva – in relazione al reato previsto dagli artt. 56, 110, 624bis e 625, n. cod.pen., per avere compiuto, in concorso con NOME COGNOME, atti diretti in modo non equivoco a commettere il reato di furto, avendo tentato di forzare con arnesi da scasso il portone di ingresso dell’abitazione di NOME COGNOME.
La Corte territoriale ha pregiudizialmente affrontato il tema inerente al riconoscimento della contestata recidiva, oggetto di specifico motivo di appello, atteso che dall’eventuale esclusione della stessa sarebbe derivata l’estinzione del reato per effetto di intervenuta prescrizione; ha quind ritenuto infondata la relativa doglianza, in considerazione della gravità e del numero dei precedenti dell’imputato, idonei a far desumere la sussistenza di una propensione a delinquere radicata e tale da giustificare un inasprimento della pena.
Ha quindi ritenuto infondato il motivo di appello con il quale la difesa dell’imputato aveva contestato il requisito della univocità degli atti, ritenend che gli stessi fossero inequivocabilmente sostenuti dal dolo tipico del delitto di furto anche in considerazione della tipologia degli strumenti da scasso rinvenuti nella disponibilità del suddetto nonché in relazione a quanto esposto dai Carabinieri operanti e che avevano riferito di avere visto l’imputato nell’atto di scardinare la porta di ingresso.
La Corte ha altresì ritenuto infondato il motivo inerente al mancato riconoscimento della continuazione esterna con i fatti giudicati con le sentenze dello stesso Tribunale del 28/04/2015 e del 28/11/2014, relative rispettivamente a un’evasione e a un furto di energia elettrica, ritenendo corretta la valutazione del giudice di primo grado relativamente alla mancanza dell’unicità del disegno criminoso.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, tramite il proprio difensore, articolando cinque motivi di impugnazione.
Con il primo motivo ha dedotto, in relazione all’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen., la violazione degli artt. 56 e 624bis cod.pen. e 125
cod.proc.pen., in riferimento alla mancanza degli elementi costitutivi della fattispecie di furto, con conseguente vizio di motivazione e travisamento probatorio.
Ha dedotto – anche in relazione alla struttura della sentenza imposta dal vigente testo dell’art.546 cod.proc.pen. – che la decisione impugnata non conteneva l’adeguata esplicitazione delle ragioni che avevano condotto a ritenere provata la fattispecie contestata; in particolare, ha assunto che Corte territoriale – senza adeguata motivazione – avrebbe desunto la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di furto solo sulla base della comprovata condotta di danneggiamento della porta dell’altrui abitazione, escludendo quindi aprioristicamente (e senza tenere conto delle argomentazioni difensive) la sussistenza di una condotta finalizzata a compiere il solo reato di danneggiamento; con la conseguente censurabilità in ordine alla ravvisata sussistenza della univocità finalistica degli atti po in essere dall’imputato.
Con il secondo motivo ha dedotto – in riferimento all’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione di legge in ordine all’applicazio dell’art.99 cod.pen..
Ha dedotto che la Corte territoriale, al fine di riconoscere la recidiva, s sarebbe limitata a un mero e indifferenziato riscontro formale in ordine all’esistenza di precedenti penali, senza dare adeguato conto degli elementi di giudizio da porre alla base della valutazione in ordine ai necessari presupposti per l’applicazione.
Con il terzo motivo, in senso strumentale rispetto alla formulazione del secondo, la difesa ha quindi ritenuto sussistenti i presupposti per l dichiarazione di estinzione del reato per effetto di intervenuta prescrizione.
Con il quarto motivo ha dedotto – in riferimento all’art.606, comma 1, let.b), cod.proc.pen. – l’erronea applicazione della legge penale in punto di esclusione del rapporto di continuazione rispetto ai reati giudicati con le sentenze del 28/04/2014 e del 28/11/2014 del Tribunale di Vibo Valentia e che la Corte territoriale aveva negato sulla base degli elementi rappresentati dall’eterogeneità delle condotte e del lasso temporale trascorso; ha esposto che il tempo medesimo era pari a un solo anno e tre mesi rispetto alla fattispecie di furto di energia elettrica e a due anni rispetto al reat evasione e che la Corte non avrebbe tenuto conto della sufficienza, ai fini dell’applicazione della continuazione, di una sola generica programmazione del delitti.
Con il quinto motivo ha dedotto – in riferimento all’art.606, comma 1 , lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione di legge in relazione agli artt. 1
62bis cod.pen. e 125, comma 3 e 546 cod.proc.pen., con mancanza della motivazione.
Ha dedotto che la Corte avrebbe escluso l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche senza rendere alcuna puntuale motivazione sotto tale aspetto e che sarebbe incorsa nel relativo vizio anche in ordine alla richiesta prevalenza delle circostanze stesse sulla contestata recidiva, non tenendo conto della limitata offensività della condotta e del contegno collaborativo tenuto dall’imputato.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che, vertendosi in una fattispecie di c.d. doppia conforme, le due decisioni di merito vanno lette congiuntamente, integrandosi le stesse a vicenda, secondo il tradizionale insegnamento della Suprema Corte; tanto in base al principio per cui «Il giudice di legittimità, a fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile» (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, COGNOME, Rv. 209145; in conformità, tra le numerose altre, Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano, Rv. 224079; Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, COGNOME, Rv. 225671; Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore, Rv. 266617).
Ciò posto, il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato e comunque meramente reiterativo di censure già prese in esame da parte del giudice di appello e da questi rigettate con motivazione intrinsecamente logica.
Sotto tale profilo, deve infatti essere premesso – in via logicamente pregiudiziale – che eccede dai limiti di cognizione della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità è circoscritto ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., alla sola verif dell’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno
determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione e, quindi della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile (Sez. 2, n. 910 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Chen, Rv. 284556, tra le altre).
Ricordando, altresì, che non è consentita in sede legittimità una rivalutazione nello stretto merito delle risultanze processuali, essendo preclusa in questa sede la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente com maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006 COGNOME, RV. 234559; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, B., Rv. 280601); essendo, infatti, stato più volte ribadito che la Corte di cassazione non può sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio (Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, COGNOME, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, COGNOME, Rv. 253099), restando esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, 7380 del 11/1/2007, Messina, Rv. 235716).
Ciò posto, i giudici di merito hanno dato atto – nelle rispettive part motive – di come l’odierno imputato (unitamente al correo NOME COGNOME) fosse stato colto dagli operanti nell’atto di armeggiare con un giravite e un coltello sulla porta dell’abitazione della persona offesa e di come, all’intern di una vettura in uso al COGNOME e parcheggiata nei pressi, fossero sta rinvenuti altri strumenti idonei all’effrazione, quali un giravite e grimaldello; dando altresì atto di come la porta di ingresso risultasse già danneggiata nella sua parte inferiore.
In considerazione di tali elementi di fatto, deve quindi ritenersi incensurabile sotto il profilo dell’illogicità la valutazione dei giudici di meri i quali hanno ritenuto che la condotta accertata in capo all’imputato fosse pienamente suscettibile di essere ricondotta a quella del compimento di atti diretti in modo non equivoco alla consumazione di un furto nell’abitazione; tanto in applicazione del consolidato principio in base al quale, in tema di
delitto tentato, anche gli atti preparatori possono integrare gli estremi de tentativo punibile, purché univoci, ossia rivelatori, per il contesto nel qua si inseriscono e per la loro natura ed essenza, secondo le norme di esperienza e l’id quod plerumque accidit, del fine perseguito dall’agente avendo lo stesso definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio e abbia iniziato ad attuarlo in relazione al fatto che l’azione abbia la significat probabilità di conseguire l’obiettivo programmato e che il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili indipendenti dalla volontà del reo (Sez. 1, n. 37091 del 19/07/2023, COGNOME, Rv. 285282; Sez. 6, n. 46796 del 18/10/2023, COGNOME, Rv. 285566); appare quindi pienamente conforme a tali principi la valutazione dei giudici di merito che nel ritenere del tutto inattendibili le dichiarazioni rese dall’imputato in s di udienza di convalida – hanno argomentato che la predetta condotta fosse pienamente caratterizzata dal requisito della univocità e della idoneità a denotare il fine perseguito dall’agente.
Il secondo motivo, relativo al riconoscimento della contestata recidiva, è pure inammissibile in quanto manifestamente infondato nonché reiterativo di argomentazioni già rigettate dal giudice di appello con congrua motivazione.
In ordine al riconoscimento della recidiva, va rilevato che – sul punto è richiesta al giudice una specifica motivazione sia che egli affermi sia che escluda la sussistenza della stessa; con la specificazione che tale dovere risulta adempiuto nel caso in cui, anche con argomentazione succinta, si dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato (Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, Franco, Rv. 274782), ovvero si dia comunque atto della ricorrenza dei requisiti di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore (Sez. 6, n. 20271 del 27/04/2016, Duse, Rv. 267130).
Nel caso di specie, i giudici di appello hanno dato conto in modo congruente con i predetti principi del fatto che l’episodio ascritto era ritenere espressione di una prosecuzione di un percorso delinquenziale particolarmente allarmante e idoneo a giustificare l’aumento di pena previsto dall’art.99 cod.pen., in conseguenza del numero, della gravità e della costanza dei precedenti reati, attinenti a delitti contro la persona, contro patrimonio e in materia di stupefacenti, commessi nell’arco di circa dieci anni.
L’inammissibilità del relativo motivo di ricorso comporta il logico assorbimento dell’esame del terzo motivo, attinente alla richiesta di
I
riconoscimento dell’intervenuta prescrizione del reato e formulato in via consequenziale rispetto alla richiesta di esclusione della recidiva.
Il quarto motivo, attinente alla richiesta di riconoscimento della continuazione esterna rispetto ai reati giudicati dalle citate sentenze d Tribunale di Vibo Valentia, è manifestamente infondato.
Sul punto, la valutazione dei giudici di merito appare pienamente conforme al principio in base al quale, in tema di applicazione della continuazione, l’identità del disegno criminoso, che caratterizza l’istitu disciplinato dall’art. 81, comma secondo, cod. pen., postula un programma di condotte illecite previamente ideato e voluto, ma non si identifica con la semplice estrinsecazione di un genere di vita incline al reato e che esprime, invece, l’opzione del reo a favore della commissione di un numero non predeterminato di reati, che, seppure dello stesso tipo, non sono identificabil a priori nelle loro principali coordinate, rivelando una generale propensione alla devianza, che si concretizza, di volta in volta, in relazione alle va occasioni ed opportunità esistenziali (Sez. 1, n. 15955 del 08/01/2016, COGNOME, Rv. 266615; Sez. 2, n. 10033 del 07/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284420); elementi in relazione ai quali il giudice, cui sia richiesto riconoscimento dell’istituto, deve verificare la ricorrenza di almeno alcuni degli indici rivelatori dell’identità del disegno criminoso – tra cui la dista cronologica tra i fatti (che deve essere ragionevolmente breve), le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, la tipologi dei reati, il bene protetto, l’omogeneità delle violazioni, la causale, condizioni di tempo e di luogo – onde accertare se sussista o meno la preordinazione di fondo che cementa le singole violazioni (Sez. 1, n. 8513 del 09/01/2013, COGNOME, Rv. 254809, Sez. 2, n. 10539 del 10/02/2023, Digiglio, Rv. 284652). Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
Nel caso di specie, coerentemente con i predetti principi, i giudici di merito hanno ritenuto del tutto carenti – nella loro totalità – gli eleme connotativi dell’unicità del disegno criminoso, attesi la diversa oggettivit giuridica delle fattispecie ascritte, la differenza delle condizioni di tempo e luogo nonché il significativo iato temporale tra le condotte.
Il quinto motivo di ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Difatti, i giudici di merito hanno ampiamente dato conto degli elementi ostativi a un giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sull
I
contestata recidiva, in considerazione del numero e della gravità dei precedenti.
Dovendosi comunque rilevare che – attesa la tipologia della recidiva contestata all’imputato – si verte nell’ambito di applicazione dell’art. ultimo comma, cod.pen., ai sensi del quale vige il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva medesima (in ordine a profilo, quello del giudizio di bilanciamento con le attenuanti generiche, non fatto oggetto delle pronunce di illegittimità costituzionale che hanno riguardato tale disposizione).
Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nell fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia propost il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa d inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 10 settembre 2024
Il Consigliere estensore
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Il Presidente