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Tentativo di furto: inammissibile il ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi di due individui condannati per tentato furto in concorso. La Corte ha ribadito che non può riesaminare i fatti, ma solo la corretta applicazione della legge. Ha inoltre chiarito che la valutazione del tentativo di furto si basa sulle circostanze note all’imputato al momento del fatto, non su una valutazione a posteriori (‘prognosi postuma’).

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentativo di furto: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti del ricorso per un tentativo di furto e i criteri per valutare l’idoneità degli atti. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili i ricorsi di due imputati, condannati per aver tentato di rubare all’interno di un’autovettura, ribadendo principi fondamentali del diritto penale e processuale.

I Fatti del Caso

Due soggetti venivano condannati in primo e secondo grado per concorso in tentato furto. La Corte d’Appello, pur confermando la responsabilità penale, aveva escluso un’aggravante e rideterminato la pena. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, uno degli imputati aveva agito da ‘palo’, avvisando il complice dell’arrivo della persona offesa, mentre l’altro aveva materialmente tentato di sottrarre beni dall’auto, approfittando di un finestrino lasciato leggermente aperto per introdurre un braccio.

I Motivi del Ricorso e il tentativo di furto contestato

Entrambi gli imputati hanno presentato ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni.

Il Ricorso del Primo Imputato

Il primo ricorrente contestava la sua dichiarazione di responsabilità, lamentando una violazione di legge e vizi di motivazione. Sostanzialmente, chiedeva alla Suprema Corte una nuova e diversa valutazione dei fatti, alternativa a quella operata dal giudice di merito. La sua difesa mirava a sminuire il suo ruolo di ‘palo’ e il suo contributo causale al reato.

Il Ricorso del Secondo Imputato

Il secondo imputato, l’esecutore materiale, incentrava il suo ricorso sulla configurabilità stessa del tentativo. Secondo la sua tesi, basata su un criterio di ‘prognosi postuma’, l’azione non era idonea a portare a compimento il furto. In altre parole, sosteneva che, valutando la situazione a posteriori, non ci fosse una reale possibilità di successo.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i ricorsi, dichiarandoli inammissibili. Questa decisione si fonda su due principi cardine del nostro ordinamento.

Le Motivazioni della Decisione

Per quanto riguarda il primo ricorso, la Corte ha ribadito che il giudizio di legittimità non è una terza istanza di merito. La Cassazione non può procedere a una ‘rilettura’ degli elementi di fatto; il suo compito è verificare la correttezza logica e giuridica della motivazione del giudice precedente, non sostituire la propria valutazione a quella già effettuata. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva spiegato in modo coerente perché la condotta dell’imputato (avvisare il complice) costituisse un contributo essenziale al tentativo di furto.

In merito al secondo ricorso, i giudici hanno definito la tesi manifestamente infondata. Hanno chiarito che la valutazione sull’idoneità degli atti, necessaria per configurare il tentativo, non va fatta ‘a posteriori’ (prognosi postuma), ma ‘a priori’ (ex ante). Il giudizio deve basarsi sulla situazione che si presentava all’imputato al momento del compimento degli atti e sulle condizioni prevedibili. L’imputato era ben consapevole che il finestrino fosse aperto, tanto da essere visto introdurre il braccio: questo è sufficiente a rendere l’azione idonea e diretta in modo non equivoco a commettere il furto.

Le Conclusioni

L’ordinanza è di grande importanza pratica. In primo luogo, riafferma che il ricorso in Cassazione non può essere utilizzato per ottenere una nuova valutazione delle prove. In secondo luogo, cristallizza il principio secondo cui, per stabilire se si è di fronte a un tentativo di furto, si deve guardare l’azione con gli occhi di chi la compie in quel preciso momento. Se, da quella prospettiva, l’atto è capace di portare al reato, il tentativo è configurato, indipendentemente dal successo finale. La decisione comporta la condanna definitiva dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare i fatti di un processo?
No, la Corte di Cassazione non può effettuare una ‘rilettura’ degli elementi di fatto. Il suo ruolo è limitato a valutare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata, senza sostituire la propria valutazione dei fatti a quella dei giudici di merito.

Come si valuta se un’azione costituisce un ‘tentativo di furto’?
La valutazione va compiuta ‘ex ante’, cioè mettendosi nei panni dell’imputato al momento dell’azione. Se in quella situazione gli atti compiuti erano idonei e diretti in modo non ambiguo a commettere il furto, il tentativo è configurato, a prescindere da una valutazione successiva (‘prognosi postuma’) sulle effettive possibilità di successo.

Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la sentenza impugnata diventa definitiva. I ricorrenti sono inoltre condannati al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte con un ricorso privo dei requisiti di legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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