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Tentativo di estorsione: quando scatta la punibilità?

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che negava l’applicazione di una misura cautelare per tentata estorsione aggravata. Il caso riguardava un piano estorsivo ai danni di un’impresa di onoranze funebri. Nonostante gli indagati non fossero riusciti a contattare la vittima, la Corte ha stabilito che il reato di tentativo di estorsione può configurarsi anche attraverso atti preparatori, purché questi siano idonei e diretti in modo non equivoco a commettere il delitto. La valutazione non deve limitarsi alla mancata interazione con la persona offesa, ma deve considerare l’intero contesto e le azioni intraprese per avviare il piano criminale.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentativo di estorsione: basta il piano o serve il contatto con la vittima?

Il confine tra un semplice proposito criminale e un reato tentato, penalmente rilevante, è spesso sottile. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. N. 6603/2024) offre un chiarimento cruciale sul tentativo di estorsione, stabilendo che la punibilità può scattare anche se gli autori del reato non riescono a entrare in contatto con la vittima. Analizziamo insieme questo importante caso.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un’indagine su un presunto piano estorsivo ordito da esponenti di un’associazione di stampo mafioso. L’obiettivo era un’impresa di onoranze funebri operante in un’area di loro influenza. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, due soggetti avevano pianificato di imporre le loro condizioni all’imprenditrice titolare dell’attività.

Per raggiungere il loro scopo, si erano attivati concretamente: avevano prima contattato un collaboratore occasionale dell’impresa per ottenere informazioni e usarlo come intermediario. Successivamente, si erano recati di persona presso la sede dell’azienda con l’intento di incontrare la titolare, attendendola a lungo ma senza successo, poiché questa non si era presentata.

La Decisione dei Giudici di Merito

Sia il Giudice per le Indagini Preliminari (G.i.p.) che il Tribunale del Riesame avevano rigettato la richiesta del Pubblico Ministero di applicare una misura cautelare nei confronti di uno degli indagati. La motivazione principale era che il proposito estorsivo era rimasto nella “sfera interna” dei presunti colpevoli, non essendo mai stato manifestato alla vittima. In assenza di un contatto diretto o indiretto che rendesse la vittima consapevole della minaccia, i giudici avevano ritenuto che non si fosse superata la soglia del tentativo di estorsione punibile.

Il ricorso in Cassazione e il principio sul tentativo di estorsione

Il Pubblico Ministero ha impugnato questa decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo che le azioni compiute fossero tutt’altro che meri preparativi. Secondo l’accusa, gli atti erano “idonei” e “diretti in modo non equivoco” ad attuare la richiesta estorsiva, integrando così pienamente gli estremi del delitto tentato previsto dall’art. 56 del codice penale. L’attivazione di un intermediario e il recarsi fisicamente presso la sede della vittima dimostravano che il piano criminale era già passato alla fase esecutiva.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del Pubblico Ministero, annullando l’ordinanza e rinviando gli atti al Tribunale per un nuovo esame. I giudici hanno chiarito un principio fondamentale: per la configurabilità del tentativo non rilevano solo gli atti esecutivi in senso stretto, ma anche quelli preparatori, a condizione che soddisfino due requisiti:

1. Idoneità: l’atto deve avere la concreta potenzialità di conseguire l’obiettivo criminale. La valutazione va fatta “ex ante”, cioè mettendosi nella situazione dell’agente al momento dell’azione.
2. Univocità: l’atto deve essere diretto in modo non equivoco alla commissione del reato, senza lasciare dubbi sulle intenzioni dell’autore.

Nel caso specifico, la Cassazione ha ritenuto che il Tribunale avesse errato nel focalizzarsi unicamente sulla mancata presenza della vittima. Avrebbe invece dovuto valutare l’insieme delle circostanze, tra cui:

* L’attivazione di più persone (gli indagati, l’intermediario) per raggiungere la vittima.
* Il contesto mafioso, che attribuiva un significato inequivocabile a tali manovre.
* Il fatto che un intermediario, collaboratore della stessa vittima, fosse stato incaricato di recapitare il messaggio, anche se poi non l’ha fatto.

Questi elementi, considerati unitariamente, dimostrano che il piano criminale era stato definito e la sua attuazione era iniziata. Il mancato incontro con la vittima è stato un evento imprevisto e indipendente dalla volontà degli agenti, che non esclude la punibilità del tentativo.

Conclusioni

La sentenza in esame ribadisce che il tentativo di estorsione non richiede necessariamente che la minaccia giunga a conoscenza della persona offesa. Quando un piano criminale è dettagliatamente preparato e la sua esecuzione è avviata con atti concreti che hanno la capacità di raggiungere lo scopo, il delitto tentato sussiste. La valutazione del giudice deve essere complessiva e basata sulla potenzialità offensiva della condotta, non solo sul risultato finale. Questo principio rafforza la tutela delle vittime e la capacità dello Stato di intervenire prima che il danno sia pienamente realizzato.

Per configurare un tentativo di estorsione è necessario che la minaccia arrivi alla vittima?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il tentativo punibile può sussistere anche se la vittima non viene mai contattata, a condizione che gli atti compiuti siano idonei e diretti in modo non equivoco a commettere il reato.

Quali atti possono essere considerati come inizio di un tentativo punibile?
Non solo gli atti esecutivi veri e propri, ma anche quelli classificabili come preparatori, purché dimostrino che l’agente ha definito il piano criminale in ogni dettaglio e ne ha iniziato l’attuazione, con una significativa probabilità che il delitto venga commesso.

Come valuta il giudice l’idoneità di un atto a commettere un reato?
Il giudice deve compiere una valutazione “ex ante”, ovvero porsi idealmente al momento in cui l’atto è stato compiuto per verificare, sulla base delle circostanze concrete, se quell’azione avesse la reale potenzialità di raggiungere il risultato criminale prefissato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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