Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18578 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18578 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI BRESCIA nel procedimento a carico di:
NOME COGNOME nato a Brescia il 09/07/1975
NOME COGNOME nato a Palermo il 20/06/1973
avverso l’ordinanza del 08/01/2025 del Tribunale di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; letta la memoria dell’Avv. NOME COGNOME difensore di COGNOME NOMECOGNOME il quale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o sia rigettato;
letta la memoria dell’Avv. NOME COGNOME e dell’Avv. NOME COGNOME difensori di Sirchia Salvatore, i quali hanno chiesto che il ricorso sia rigettato e che l’ordinanza impugnata sia confermata;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME il quale ha concluso chiedendo che l’ordinanza impugnata sia annullata senza rinvio;
udito l’Avv. COGNOME in difesa di Sirchia Salvatore, il quale, dopo la discussione, ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso e riportandosi alla memoria depositata;
udito l’Avv. NOME COGNOME in difesa di COGNOME NOMECOGNOME il quale, dopo la discussione, ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso e riportandosi alla memoria depositata.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 08/01/2025, il Tribunale di Brescia, per quanto qui interessa, annullava l’ordinanza del 09/12/2024 del G.i.p. del Tribunale di Brescia con la quale era stata applicata, nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME la misura della custodia cautelare in carcere per essere gli stessi gravemente indiziati del reato di tentata estorsione in concorso (tra loro, e anche con NOME COGNOME e con NOME COGNOME), aggravata, tra l’altro, dal cosiddetto metodo mafioso (art. 416-bis.1 cod. pen.), ai danni di NOME COGNOME (capo 1 dell’imputazione provvisoria), e per essere sussistente il pericolo che essi potessero commettere gravi delitti con l’uso di mezzi di violenza personale ovvero della stessa specie di quello per cui si stava procedendo.
Il Tribunale di Brescia annullava l’ordinanza del 09/12/2024 del G.i.p. dello stesso Tribunale, in particolare, perché riteneva che non sussistessero né i gravi indizi di colpevolezza del reato di tentata estorsione, per difetto dei requisi dell’idoneità e della direzione non equivoca degli atti, né gli estremi della circostanza aggravante del metodo mafioso.
Avverso la menzionata ordinanza del 08/05/2025 del Tribunale di Brescia, ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia, affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 56 cod. pen., con riguardo alla ritenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato di tentata estorsione in concorso di cui al capo 1) dell’imputazione provvisoria.
Dopo avere compiuto un’ampia rassegna della giurisprudenza della Corte di cassazione in tema di tentativo punibile (pagg. 3-4 del ricorso), il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia espone che, dal contenuto delle conversazioni intercettate, risulterebbe che l’azione delittuosa si sarebbe dovuta realizzare sulla base di questa precisa pianificata sequenza: 1) l’effettuazione di chiamate anonime alla persona offesa NOME COGNOME (tramite utenze fittiziamente intestate a soggetti terzi); 2) il lancio di teste di animali all’interno del giar della villa della stessa persona offesa; 3) la presentazione, da parte di NOME COGNOME che conosceva e frequentava NOME COGNOME allo stesso COGNOME di NOME COGNOME quale soggetto in grado di risolvere la problematica insorta e di
proteggerlo da future minacce; 4) l’incontro tra NOME COGNOME e NOME COGNOME nel corso del quale il COGNOME avrebbe evidenziato allo COGNOME la situazione di pericolo in cui quest’ultimo versava e gli avrebbe garantito protezione congiuntamente a un pregiudicato bresciano, NOME COGNOME che era inserito nelle dinamiche criminali locali; 5) la successiva presentazione allo COGNOME di NOME COGNOME e la conseguente accettazione della richiesta di protezione.
Ciò esposto, il ricorrente rappresenta che, dagli elementi di prova acquisiti, come letti e valutati dallo stesso Tribunale del riesame, risulterebbe che gli indagati avevano proceduto ad attuare tale piano criminoso, che non era stato portato a compimento solo per la reazione della persona offesa (che si era prima rivolta a un altro pregiudicato, che era stato identificato in NOME COGNOME e ch aveva poi sporto querela).
Sarebbe, pertanto, evidente, che le condotte compiute dagli indagati «fossero in grado di creare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto dalla norma incriminatrice oltre a rivelare, secondo norme di comune esperienza, il fine preciso degli agenti di coartare la libertà di autodeterminazione della persona offesa mediante la creazione di un finto e gravissimo pericolo per la propria incolumità e per quella dei suoi familiari, presentandosi alla stessa nella veste di affidabili protettori in grado di risolvere la situazione creatasi e di tutel la persona offesa da future richieste estorsive».
Dopo avere affermato «come il meccanismo estorsivo adottato dalle persone sottoposte ad indagini sia quello tipico delle organizzazioni mafiose, riconducibile allo schema dell’estorsione-protezione», il ricorrente contesta che, col ritenere la necessità di «un quid pluris rappresentato da una richiesta di denaro» (pag. 22 dell’ordinanza impugnata) nonché dall’effettiva coartazione della volontà della persona offesa, il Tribunale di Brescia avrebbe «di fatto ritenuto che ai fini della configurabilità del tentativo punibile rilevino esclusivamente gli atti esecutivi, oss gli atti tipici corrispondenti alla descrizione legale di cui alla fattispecie di rea cui all’art. 629 c.p.». Il che, però, sarebbe «del tutto in contrasto co l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale, per la configurabilità del tentativo, rilevano non solo gli atti esecutivi veri e prop ma anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori, facciano fondatamente ritenere, come nel caso di specie, che l’agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l’azione abbia la significativa probabilità di conseguire l’obietti programmato e che il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili indipendenti dalla volontà del reo».
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia riporta poi alcuni passaggi dell’intercettata conversazione tra NOME COGNOME e NOME COGNOME
quali emergerebbe che, dopo la creazione di una situazione di apparente e grave pericolo per l’incolumità della persona offesa mediante il lancio delle teste di animali nel giardino della sua villa: «Sirchia NOME incontra COGNOME NOME evocando la gravità del pericolo in cui si trova la persona offesa , ponendosi quale soggetto in grado di aiutare la vittima cercando di comprendere l’origine dell’intimidazione , evidenziando come a fronte della gravità del pericolo per la persona offesa sia necessario avere la protezione di terzi soggetti , infine preannunciando alla persona offesa la presentazione di un terzo soggetto bresciano (COGNOME NOME), da lui stesso definito quale suo “socio”, in grado di aiutare la vittima in quanto esperto conoscitore delle dinamiche criminali locali».
Il ricorrente contesta ancora che, al fine di escludere l’idoneità e l’univocità degli atti, il Tribunale del riesame avrebbe valorizzato alcune circostanze successive all’incontro tra NOME COGNOME e la persona offesa NOME COGNOME (i commenti denigratori espressi da NOME COGNOME nei confronti dello COGNOME; la necessità, manifestata da NOME COGNOME al fratello NOME COGNOME, di incontrare nuovamente la vittima per «stringerla» definitivamente; l’essersi rivolto lo COGNOME al pregiudicato NOME COGNOME e l’avere poi sporto querela).
Secondo il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia, così facendo, il Tribunale del riesame si sarebbe posto «in netto contrasto con l’orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui la reale adeguatezza della condotta e l’attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto dalla norma incriminatrice deve essere effettuata con giudizio ex ante, tenendo conto delle circostanze in cui opera l’agente e delle modalità dell’azione, indipendentemente dall’insuccesso determinato da fattori estranei».
Peraltro, l’essersi lo COGNOME rivolto a un altro pregiudicato e l’avere deciso di sporgere querela costituirebbero una condotta «significativa della chiara percezione del gravissimo pericolo che incombeva sulla incolumità dello COGNOME e dei suoi familiari».
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con la quale è stata esclusa la sussistenza della circostanza aggravante del metodo mafioso, sempre in relazione al reato di tentata estorsione in concorso di cui al capo 1) dell’imputazione.
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia lamenta anzitutto che il Tribunale del riesame si sarebbe «limitato ad una valutazione parziale e parcellizzata delle singole fonti di prova, senza procedere, come dovuto, ad un vaglio complessivo e congiunto degli elementi raccolti».
Il ricorrente rappresenta in proposito come il Tribunale di Brescia: a) da una parte, abbia ritenuto che «il lancio delle teste di animale non appare di per sé univoca testimonianza della provenienza da un contesto di malavita organizzata di stampo mafioso»; b) dall’altra, abbia sottolineato come «anche il presentarsi del Sirchia come soggetto proveniente da Palermo non consente affatto, proprio per il contesto in cui tale affermazione si colloca, di ritenerlo evocativo dell appartenenza o provenienza da ambienti mafiosi» (pag. 25 dell’ordinanza impugnata).
A proposito di quest’ultimo profilo, GLYPH il GLYPH ricorrente contesta che, nell’argomentarlo sulla base del fatto che NOME COGNOME, nell’intercettata conversazione che aveva intrattenuto con lo COGNOME, aveva fatto «insistito riferimento alla verosimile genesi di tale gesto minatorio nell’ambito di ambienti malavitosi sì, ma “autoctoni”» (pag. 25 dell’ordinanza impugnata), avrebbe attribuito alla suddetta conversazione un significato del tutto arbitrario, atteso che, in essa, il COGNOME non aveva fatto alcuna specificazione circa l’origine del menzionato gesto minatorio in ambienti locali non collegati alla criminalità organizzata.
Ne discenderebbe la totale illogicità del ragionamento del Tribunale di Brescia là dove esso ricaverebbe l’esclusione della percezione, da parte della persona offesa, di dovere fronteggiare delle richieste provenienti da sodalizi di tipo mafioso sulla base della provenienza geografica dell’amico di NOME COGNOME e della conoscenza, da parte dello stesso amico, delle dinamiche criminali locali.
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia lamenta ancora che il Tribunale del riesame avrebbe del tutto omesso di considerare un ulteriore significativo passaggio dell’intercettata conversazione intercorsa tra NOME COGNOME e NOME COGNOME (recte: tra NOME COGNOME e NOME COGNOME), là dove questi espone al COGNOME il proprio convincimento circa la provenienza dal Sud Italia degli autori dell’intimidazione, «con ciò riferendosi certamente, alla luce del contesto in cui la conversazione è stata captata e dell’oggetto del dialogo, a soggetti appartenenti a sodalizi mafiosi» (COGNOME: «questi son terroni»; COGNOME: «quello che ha fatto questo?»; COGNOME: «sì»).
Secondo il ricorrente, la lettura unitaria e congiunta degli elementi di prova raccolti e solo in parte valutati dal Tribunale di Brescia, che avrebbe fornito una motivazione contraddittoria e illogica, porterebbe a ritenere la sussistenza della circostanza aggravante del metodo mafioso, tenuto conto: 1) «dell’elevato valore simbolico della condotta (lancio di teste di animale), tipicamente utilizzata dalle organizzazioni criminali di tipo mafioso per coartare la libertà di autodeterminazione delle vittime»; 2) dei menzionati «sospetti avanzati nell’immediatezza dalla persona offesa circa la provenienza della condotta da
soggetti meridionali, ciò rafforzando il convincimento della persona offesa di dover fronteggiare istanze prevaricatrici provenienti da strutture criminali di tip mafioso»; 3) della presentazione di COGNOME Salvatore alla vittima quale soggetto residente da anni in Provincia di Brescia ma proveniente da Palermo ed inserito in contesti criminali , lasciando intendere, quindi, alla persona offesa che contesto nel quale si muovevano gli autori dell’azione delittuosa e l’indagato stesso fossero collegati a strutture organizzate di tipo mafioso»; 4) degli accertati collegamenti di Sirchia Salvatore con organizzazioni di tipo mafioso e in particolare, con Cosa Nostra».
Il ricorrente compie infine un’ampia rassegna della giurisprudenza della Corte di cassazione sulla circostanza aggravante del metodo mafioso (pagg. 8-10 del ricorso).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è fondato, atteso che il Tribunale di Brescia non ha fatto corretta applicazione dei principi affermati dalla Corte di cassazione in tema di configurabilità del delitto tentato.
1.1. Si deve al riguardo rammentare che, per quanto concerne il requisito dell’idoneità degli atti, l’opinione maggioritaria della giurisprudenza di legittimi è nel senso che un atto può essere ritenuto idoneo quando, valutato ex ante e in concreto (criterio cosiddetto della prognosi postuma), ossia tenendo conto di tutte le circostanze conosciute e conoscibili e non di quelle oggettivamente presenti e conosciute dopo, il giudice, sulla base della comune esperienza dell’uomo medio, possa ritenere che gli atti – indipendentemente dall’insuccesso determinato da fattori estranei – erano tali da ledere, ove portati a compimento, il bene giuridico tutelato dalla norma violata.
L’idoneità degli atti non va, infatti, valutata con riferimento a un criter probabilistico di realizzazione dell’intento delittuoso, bensì in relazione all possibilità che alla condotta consegua lo scopo che l’agente si propone, configurandosi invece un reato impossibile per inidoneità degli atti, ai sensi dell’art. 49 cod. pen., in presenza di un’inefficienza strutturale e strumentale del mezzo usato, che sia assoluta e indipendente da cause estranee ed estrinseche, ove l’azione, valutata ex ante e in relazione alla sua realizzazione secondo quanto originariamente voluto dall’agente, risulti del tutto priva della capacità di attuare il proposito criminoso (Sez. 6, n. 17988 del 06/02/2018, COGNOME, Rv. 272810-01; Sez. 1, n. 36726 del 02/07/2015, L.M., Rv. 264567-01).
Per quanto riguarda, invece, la nozione di univocità degli atti, secondo la tesi cosiddetta soggettiva, che è quella prevalente nella giurisprudenza di legittimità, l’atto preparatorio può integrare gli estremi del tentativo punibile quando sia
idoneo e diretto in modo non equivoco alla consumazione di un reato, ossia qualora abbia la capacità, sulla base di una valutazione ex ante e in relazione alle circostanze del caso, di raggiungere il risultato prefisso e a tale risultato s univocamente diretto (Sez. 2, n. 40702 del 30/09/2009, Cristiano, Rv. 24512301); la prova del requisito dell’univocità dell’atto (da considerare quale parametro probatorio) può essere raggiunta non solo sulla base dell’atto in sé considerato, ma anche aliunde e, quindi, anche sulla base di semplici atti “preparatori” che rivelino la finalità dell’agente e addirittura l’imminente passaggio alla fase esecutiva del delitto, ma non ne postulino necessariamente l’avvio.
Si deve quindi ritenere che, per la configurabilità del tentativo, rilevino non solo gli atti esecutivi veri e propri, ma anche quegli atti che, pur classificabili com preparatori, facciano fondatamente ritenere che l’agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l’azione abbia la significativa probabilità di conseguire l’obiettivo programmato e che il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili indipendenti dalla volontà del reo (Sez. 2, n. 46776 del 20/11/2012, COGNOME, Rv. 254106-01).
1.2. Il Collegio ritiene che il Tribunale di Brescia, pur avendo richiamato questi principi, non ne abbia fatto corretta applicazione al caso di specie.
Il compendio accusatorio, costituito dal contenuto di intercettate conversazioni tra gli indagati, quale emerge dalla stessa ordinanza impugnata, evidenzia che: a) NOME COGNOME sottoponeva ad NOME COGNOME che lo approvava, il nuovo piano criminoso che prevedeva di procedere, anziché a una rapina nella villa di NOME COGNOME, a un’azione estorsiva sempre ai danni dello COGNOME; b) tale nuovo piano prevedeva, in particolare, il lancio, nel giardino della villa dello COGNOME, di alcune teste di animale – cioè il compimento di un gesto dal chiaro significato intimidatorio – confidando che: b.1) la persona offesa, spaventata da tale gesto, si sarebbe rivolta, per affrontare la problematica, a NOME COGNOME; b.2) per il tramite del COGNOME, lo COGNOME avrebbe convocato NOME COGNOME il quale avrebbe offerto allo COGNOME la sua protezione, prospettandogli di fare intervenire in sua difesa anche il COGNOME (il quale proponeva di presentarsi anche lui all’incontro con lo COGNOME); c) NOME COGNOME istruiva NOME COGNOME sul comportamento che avrebbe dovuto tenere non appena NOME COGNOME lo avesse informato di avere ritrovato le teste di animali, dando in particolare al COGNOME l’indicazione che, nel fingere di intercedere in favore dello COGNOME, avrebbe dovuto riferire allo stesso di conoscere le persone “giuste” e che si trattava di pericolosi pregiudicati; d) pertanto, come è affermato dallo stesso Tribunale di Brescia, «viene a delinearsi l’intenzione di COGNOME NOME, condivisa da COGNOME e COGNOME, di procedere ad un’azione estorsiva piuttosto che ad una rapina, evidentemente sul presupposto della
capacità intimidatoria connessa al lancio – e al rinvenimento – di una teste di animale, sul quale avrebbe poi dovuto inserirsi, quale successivo passaggio, imprescindibile ai fini presi di mira, un contratto diretto tra il Sirchia e lo Z volto ad ulteriormente alimentare una situazione di timore, finalizzata a rendere non declinabile l’offerta di protezione a titolo oneroso»; e) gli indagati effettuavano delle chiamate anonime sull’utenza fissa e sull’utenza mobile dello Zani, chiamate che avevano lo scopo di fare sentire la persona offesa vittima di un clima minatorio sul quale si sarebbe poi dovuto inserire il lancio delle teste di animali e che rimasero, peraltro, senza esito; f) dopo che, il 07/11/2022, furono reperite le teste di animali, la sera dell’11/11/2022 NOME COGNOME – che, contattato, si era reso disponibile, e che si era quindi recato da Palermo a Brescia -, ricevute le necessarie indicazioni, operava il lancio delle teste di animali nel giardino della villa dello Zan g) rinvenute tali teste di animali, lo COGNOME, il 13/11/2022, si confidava con NOME COGNOME che avvisava subito NOME COGNOME il quale, a questo punto, come programmato, dovrà, presentato dallo stesso COGNOME, introdursi a casa dello COGNOME offrendoglisi come suo possibile protettore; h) l’incontro tra NOME COGNOME e NOME COGNOME avveniva effettivamente, in parte anche alla presenza del COGNOME, il 14/11/2022 e, nel corso di esso, NOME COGNOME fingendo ovviamente di ignorare la provenienza delle teste di animali, confermava allo COGNOME come il lancio delle stesse rimandasse alla minaccia di un potenziale danno per lo COGNOME e per la sua famiglia («il nostro debole Parlo di noi Parlo di me e te Quan vengono a irrompere in casa nostra che abbiamo dei figli, abbiamo una moglie È quello È quello che mi fa paura») e si offriva di attivarsi, anche a mezzo di un suo «amico», un suo «socio» che «conosce tutto il mondo qua a Brescia sa tutto», per comprendere la portata e il significato della minaccia costituit dal lancio delle teste di animali; i) nel corso di tale incontro, NOME COGNOME non avanzava richieste di denaro allo COGNOME in cambio del proprio interessamento né di una propria protezione; I) nel corso di una successiva conversazione, NOME COGNOME rispondendo alla domanda del fratello NOME COGNOME sull’esito dell’incontro «ma la non si è quagliata? ma ne hai sentito odore di soldi?» rispondeva che il fatto che lo COGNOME si fosse presentato ubriaco non gli aveva consentito di “stringerlo” («Allora è ubriaco Come lo fai a stringere? U sberla Però quando si può fare andremo sotto casa»). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Alla luce di ciò, si deve ritenere che il Tribunale di Brescia, pur avendo, come si è detto, richiamato i principi affermati dalla Corte di cassazione in tema di configurabilità del delitto tentato, non ne abbia fatto corretta applicazione al caso di specie.
Dall’esposto compendio probatorio emerge infatti che: 1) gli indagati avevano approntato nel dettaglio il proprio piano criminoso estorsivo, come risulta da
quanto si è esposto alle lett. a), b) e c); 2) essi avevano anche iniziato ad attuare pedissequamente tale piano, in particolare, lanciando le teste di animali nel giardino della villa della persona offesa, atto che, a ben vedere, non è meramente preparatorio (come era stato, ad esempio, quello di procurarsi le teste di animali) ma costituisce un inizio di attuazione della condotta tipica dell’estorsione, rappresentato dalla minaccia, cioè dalla prospettazione di un male futuro e ingiusto; 3) sempre in attuazione del medesimo piano criminoso, NOME COGNOME aveva in seguito anche incontrato lo COGNOME, al quale aveva confermato il carattere minaccioso del lancio delle teste di animali e aveva offerto di attivarsi per comprendere la portata e il significato di tale gesto; 4) in occasione dello stesso incontro, NOME COGNOME non aveva chiesto del denaro allo COGNOME in cambio del proprio interessamento – evidentemente diretto a evitare il prospettato male ingiusto – per via del fatto che, come risulta dalla successiva conversazione tra lo stesso NOME COGNOME e il fratello NOME COGNOME poiché lo COGNOME era ubriaco, non aveva potuto “stringerlo”; 5) la mancata richiesta di denaro allo COGNOME era stata quindi dovuta a una causa esterna alla condotta di NOME COGNOME.
A fronte di tanto, la conclusione del Tribunale di Brescia secondo cui, in mancanza di tale fattore, estraneo alla condotta degli indagati, e dell’ulteriore fattore, parimenti estraneo alla stessa condotta, costituito dalla successiva presentazione della denuncia da parte dello COGNOME, gli atti non erano tali da ledere, ove portati a compimento, il bene tutelato dall’art. 629 cod. pen., e non avevano la significativa possibilità di conseguire lo scopo che gli stessi indagati si eran riproposti, appare viziata dall’erronea mancata applicazione degli artt. 56 e 629 cod. pen.
Ciò posto, l’errore che è stato commesso dal Tribunale di Brescia è consistito anche, in particolare, nel ritenere che, ai fini della configurabilità del tentativo estorsione, fosse necessario «un quid pluris rappresentato da una richiesta di denaro, a sua volta correlata alla, anche implicita – coartazione della volontà della vittima» (pag. 22 dell’ordinanza impugnata).
Col richiedere, ai fini dell’integrazione del tentativo, un tale quid pluris, il Tribunale di Brescia ha infatti di fatto erroneamente presupposto la configurabilità soltanto del tentativo cosiddetto “compiuto”, laddove, per espressa previsione dell’art. 56 cod. pen., il delitto tentato è configurabile non solo se è stata posta essere l’intera condotta capace di produrre l’evento e, tuttavia, «l’evento non si verifica» (tentativo cosiddetto “compiuto), ma anche nel caso in cui l’agente abbia realizzato solo in parte, ma non portato a termine, l’azione diretta, secondo il suo piano criminoso, a commettere il delitto («se l’azione non si compie»; tentativo cosiddetto “incompiuto”).
Cosa che ben può avvenire, con riguardo all’estorsione, nel caso in cui l’agente, nell’attuare il suo piano estorsivo, abbia realizzato solo l’atto del
minaccia, senza avere, per il verificarsi di eventi non dipendenti dalla sua volontà, portato a termine l’azione avanzando la richiesta di denaro nei confronti della
vittima, confermativa della strumentalità della stessa minaccia rispetto alla costrizione a compiere l’atto di disposizione patrimoniale.
Diversamente, poi, da quanto appare ritenere, in alcuni passaggi dell’ordinanza impugnata, il Tribunale di Brescia, il fatto che gli indagati, accanto
al piano estorsivo che avevano iniziato ad attuare, avessero coltivato anche l’idea di compiere una rapina sempre ai danni di NOME COGNOME non implica che i
commessi atti attuativi del suddetto piano estorsivo non potessero integrare gli estremi del tentativo di estorsione.
L’ordinanza impugnata deve, pertanto, essere annullata, con rinvio, per un nuovo giudizio, al Tribunale di Brescia, competente ai sensi dell’art. 309, comma
7, cod. proc. pen.
2. Il secondo motivo è assorbito dall’accoglimento del primo motivo.
Qualora, infatti, il Tribunale di Brescia, nel giudizio di rinvio a seguito d presente annullamento, dovesse ritenere la sussistenza del contestato tentativo di estorsione ai danni di NOME COGNOME dovrà procedere a rimodulare, in esito a tale decisione, il proprio giudizio in ordine alla sussistenza delle circostanze aggravanti del ritenuto reato e, tra queste, della circostanza aggravante del metodo mafioso, operando un vaglio complessivo di tutti gli elementi emersi.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Brescia competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, c.p.p.. Così deciso il 08/04/2025.