Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 44703 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 44703 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/10/2024
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da:
NOME nato a Palermo il 23/12/1979
COGNOME NOME nato a Palermo il 5/2/1972
COGNOME NOME nato a Palermo il 24/2/1980
avverso la sentenza della Corte di appello di Milano in data 27/3/2024 visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
preso atto che i ricorrenti sono stati ammessi alla richiesta trattazione orale in presenza;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni con le quali il Sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha chiesto l’inammissibilità dei ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME ed il rigetto del ricorso di COGNOME;
udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME difensore di COGNOME COGNOME e COGNOME NOME, con le quali chiesto l’accoglimento dei ricorsi
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Milano con la sentenza indicata in epigrafe ha confermato quella del Tribunale di Milano in data 8/3/2022 che, tra gli altri, aveva condannato gli odierni ricorrenti per più episodi di tentata truffa.
Entrambi i giudici di merito con valutazione conforme del materiale probatorio, hanno ritenuto NOME responsabile dei reati di cui ai capi M) ed N); COGNOME NOME e COGNOME NOME responsabili del reato di cui al capo H).Gli imputati sono stati assolti dal delitto associativo contestato al capo A) ed il COGNOME, per quel che qui interessa, è stato assolto dal delitto contestato al capo L) per non aver commesso il fatto.
2.Avverso la sentenza di appello propongono ricorso per cassazione:
– NOME COGNOME il quale deduce violazione di legge e carenza di motivazione in relazione al capo M) avendo la Corte di appello, come il primo giudice, disatteso la doglianza difensiva con la quale si contestava la sussistenza della fattispecie di truffa, nella forma tentata, poiché l’azione truffaldina posta i essere da NOME e dai complici, consistita nell’avvicinare la persona offesa NOME NOME fingendosi (l’Aruta) un Ufficiale della Marina intenzionato a vendere diamanti stimati dai complici del valore di euro 30.000,00, acquisto cui avrebbe dovuto partecipare il Maestri per lucrare la ricompensa della vendita di urgenza, non fu portata a termine non per l’intervento delle Forze dell’Ordine, corre erroneamente ritenuto dai giudice di appello, ma a causa della mancata adesiore alla vendita della persona offesa. La Corte di merito avrebbe dunque travisato il contenuto dell’informativa di P.G. del 1/6/2027 ritenendo integrato il tentativo di truffa senza verificare, con giudizio ex ante, se gli atti posti in essere dagl imputati fossero idonei, in concreto, a ledere il bene protetto, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità (cita sent. della Sez. 1 n. 56421/2018).
Le medesime censure vengono rivolte dal ricorrente, al capo N) dell’imputazione riguardante il tentativo di truffa in danno di NOME COGNOME
Anche in questo caso la Corte di appello sarebbe incorsa nel travisamento della prova posto che l’azione truffaldina non fu interrotta dall’intervento delle Forze dell’Ordine, ma perché la p.o. si rese conto del raggiro disinteressandosi dell’affare.
Con il terzo motivo il difensore deduce violazione di legge e carenza di motivazione in relazione altrattamento sanzionatorio avendo la Corte di merito valutato in maniera cumulativa e indifferenziata, il comportamento degli imputati ai fini della pena, senza spiegare, rispetto al ricorrente, le ragioni de discostamento dal minimo edittale e limitandosi a recepire il ragionamento del primo giudice.
Con il quarto motivo si censura la sentenza per carenza di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche avendo il giudice di appello fornito una motivazione apparente, omettendo di valutare le circostanze del caso concreto.
–COGNOME NOME con un unico motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche ed alla determinazione della pena, ritenuta eccessiva.
–COGNOME NOME, con il primo motivo, contesta l’affermazione di responsabilità in relazione al capo H) deducendo la violazione dell’art. 194 c.p.p., avendo la Corte di appello fondato il giudizio di colpevolezza sul riconoscimento fotografico effettuato dalla persona offesa in base ad una foto risalente a dieci anni addietro e per questo inattendibile.
Con il secondo motivo eccepisce violazione di legge e contraddittorietà della motivazione avuto riguardo alla valenza probatoria attribuita dai giudici di merito ai tabulati telefonici che, per un verso, secondo quanto affermato in sentenza, avrebbero valenza neutra quanto alla dimostrazione che COGNOME avesse partecipato alla tentata truffa posto che il suo telefono non agganciava la celle del luogo (Rho) in cui si sono verificati i fatti e, per altro verso, dimostrerebbero la responsabilità penale del ricorrente in quanto il mancato aggancio delle celle non escludeva che l’imputato si trovasse sul luogodella tentata truffa.
Con il terzo motivo contesta la dosimetria della pena ed il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche che la Corte di appello ha negato richiamando semplicemente i precedenti penali dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME sono inammissibili perché basati su motivi reiterativi di doglianze già prospettate in grado di appello ed ivi superate con argomentazioni tecnico giuridiche ineccepibili oltre che esaustive e aderenti ai dati processuali.
2.11 ricorso di COGNOME è basato su motivi infondati e va rigettato.
Partendo proprio dal ricorso di Aruta, rileva il collegio che il primo motivo è
infondato.
La giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato il principio secondo cui l’allertamento delle Forze di polizia da parte della vittima di un’azione criminosa, non rende inidonea la condotta a produrre effetti antigiuridici.
Ed invero, il reato non si configura, nemmeno nella forma tentata, quando l’azione dell’agente sia inidonea in assoluto e, con valutazione ex ante, difetti intrinsecamente di qualsiasi efficacia causale, quando cioè sia del tutto priva di
capacità di innescare la sequenza causale diversa dall’insuccesso; sussiste invece il tentativo quando, posta in essere una condotta univocamente diretta alla realizzazione dell’evento, questa sia ostacolata da un fatto esterno come avviene quando la persona offesa resasi conto dell’intento criminoso, solleciti l’intervento delle Forze dell’ordine proprio per impedire che il delitto si perfezioni, posto che se vi fosse stato l’atto di disposizione patrimoniale, come indicato nel ricorso, il delitto può dirsi consumato (Sez. U., n. 19 del 27/10/1999, Rv. 214642; Sez. 32522de1 26/8/2010, Rv. 248255 ; Sez. 2 n. 40624 del 4/10/2012, Rv. 253452). Nel caso inesame la Corte di merito rispondendo alla doglianza difensiva con la quale si contestaval’integrazione del tentativo di truffa ipotizzando che i prevenuti avessero desistito volontariamente dal proposito criminoso, ha ritenuto sussistente la truffa tentata in quanto il ricorrente e gli altri complici avevar posto in essere la condotta tipica univocamente diretta alla realizzazione dell’evento avendo essi approntato il piano criminoso in ogni dettaglio ed iniziato ad attuarlo con la qualificata probabilità di conseguire l’obiettivo programmato,obiettivo non conseguito per il verificarsi di un evento indipendente dalla volontà dei rei, consistito nell’azione della vittima che, resasi conto del raggiro, ha interrotto la sequenza necessaria al perfezionamento del reato nella forma consumata,autodeterminandosi a non compiere l’atto di disposizione patrimoniale e ad allertare le Forze dell’Ordine.
Con particolare riferimento al capo M) la Corte di appello ha ravvisato il tentativo di truffa indicando precisamente la sequenza causale innescata dai rei, idonea in astratto a determinare il verificarsi dell’evento, non portata a compimento a causa di un fattore esterno (cfr.pag.40 della sentenza impugnata in cui è spiegato che COGNOME aveva fermato la persona offesa, erano giunti sul posto i suoi complici : COGNOME e COGNOME e cioè il finto dipendente delle Poste ed il finto gioielliere che, alla presenza della persona offesa, discutevano dell’affare ed era anche avvenuta la finta offerta di partecipare all’acquisto delle pietre spacciate per diamanti). A nulla rileva che la Corte di merito abbia indicato come causa interruttiva, l’intervento delle Forze dell’ordine piuttosto che l’azione della vittim posto che il denunciato travisamento della prova è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio. Dal ricorso non emergono i descritti connotati di decisività e rilevanza risolvendosi le censure proposte, nella enucleazione di un’incongruenza invero non incidente sulla completezza e linearità della sentenza
impugnata che complessivamente valutata ha comunque individuato un fattore esterno che ha impedito la consumazione del reato.
Allo stesso modo con riferimento al capo N), la sentenza impugnata ha descritto la sequenza causale innescata dal comportamento dei rei idonea, in astratto, alla realizzazione dell’evento, non realizzatosi a causa dell’intervento del fattore esterno (cfr. pag. 40).
3.11 terzo e quarto motivo inerenti al trattamento punitivo che deducono la carenza di motivazione in relazione alla determinazione della pena ed al diniego delle attenuanti generiche non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità e sono manifestamente infondati perché, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e per fissare la pena base rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.
Nella specie l’onere argomentativo del giudice è stato adeguatamente assolto attraverso un ponderato riferimento alla sentenza di primo grado che a pag. 62 ha puntualmentemotivato le ragioni del discostamento dal minimo edittale e del diniego delle attenuanti generiche, valorizzando le modalità delle condotte e le personalità dei rei, tutti gravati da precedenti penali per fattispecie analoghe, sicchè le censure difensive avanzate in grado di appello e qui reiterate, appaiono inammissibili perché generiche anche considerato il principio affermato da questa Corte, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli a ma è sufficiente che faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione:,
C cumulariva la v tazione perché sono tutti ugualj’etr euiparabig
Per queste stesse ragioni si reputa generico il motivo di ricorso proposto da COGNOME Vincenzo avendo la Corte di merito richiamato, ai fini del diniego delle attenuanti generiche, la pregiudicata personalità dell’imputato e l’assenza di elementi positivamente valutabili (Sez.3, n.19639 del 27/1/2021, Rv. 252900) e, quanto alla entità della pena, la congruità e adeguatezza della stessa (anni uno, mesi sei di reclusione ed euro 2.000,00), avuto riguardo alla gravità della condotta contestata (cfr. pag. 32 della sentenza impugnata e pag. 63 e 64 della sentenza di primo grado).
I motivi di ricorso proposti da COGNOME NOME sono non consentii:i perché aspecifici, oltre che manifestamente infondati.
Il ricorrente non si confronta con la esaustiva e giuridicamente corretta motivazione riportata alle pagg. 34 e 35 della sentenza impugnata in cui la Corte
di merito, conformandosi alla giurisprudenza di legittimità, ha giustificato la valenza probatoria attribuita al riconoscimento fotografico, effettuato in termini di certezza dalla persona offesa, evidenziandone la piena attendibilità (la persona offesa aveva riferito che era in grado di riconoscere l’imputato anche in dibattimento, ne aveva descritto precisamente le fattezze, l’abbigliamento ed il ruolo svolto nella vicenda).
Occorre infatti ricordare che il riconoscimento fotografico costituisce una prova atipica pienamente utilizzabile e idonea a fondare l’affermazione di responsabilità posto che il momento ricognitivo costituisce parte integrante della testimonianza di tal che l’affidabilità e la valenza probatoria dell’individuazione informale, discendono dall’attendibilità accordata al teste ed alla deposizione dal medesimo resa, valutata alla luce del prudente apprezzamento del giudice che, ove sostenuto da congrua motivazione, sfugge al sindacato di legittimità(Sez. 6, 12501 del 27/1/2015, Rv. 2629084; Sez. 5, n. 6456 del 1/10/2015, Rv. 266023; Sez.4, n. 47262 del 13/9/2017, Rv.271041; Sez. 2, n. 23970 del 31/3/2022, Rv. 283392).
Manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso se solo si considera che il giudicante ha escluso che i tabulati telefonici avessero i connotati di decisività e rilevanza ai fini dell’affermazione di responsabilità (cfr. pag. 36 della sentenza impugnata).
Generico è, infine, il terzo motivo con cui si lamenta l’omessa motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche ed alla dosimetria della pena dovendosi qui ribadire le considerazioni già espresse in merito al corretto uso del potere del giudice, con riferimento alle posizioni degli altri due ricorrenti, trattandosi di soggetto plurirecidivo.
7. Sulla base delle su esposte considerazioni, il ricorso di NOME va rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME vanno dichiarati inammissibili con conseguente condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in C 3.000,00.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di NOME COGNOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME Vincenzo e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Roma,2511012024
Il consigliere estensore
NOME COGNOME
Il presidente
NOME COGNOME
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