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Tentata truffa: quando si configura il reato?

La Corte di Cassazione chiarisce i confini della tentata truffa, stabilendo che il reato sussiste anche quando l’azione criminale viene interrotta dalla reazione della vittima. Nel caso esaminato, alcuni individui avevano cercato di vendere falsi diamanti, ma il piano è fallito perché le vittime si sono accorte dell’inganno. Gli imputati hanno sostenuto che, in assenza di un intervento esterno come quello delle forze dell’ordine, non si potesse parlare di tentativo. La Corte ha rigettato questa tesi, affermando che la mancata adesione della vittima costituisce un fattore esterno idoneo a integrare la fattispecie di tentata truffa, poiché impedisce il completamento del reato indipendentemente dalla volontà del reo. I ricorsi sono stati quindi respinti o dichiarati inammissibili.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentata truffa: quando la vittima si accorge dell’inganno

La configurazione della tentata truffa rappresenta un tema giuridico di grande interesse pratico, specialmente quando l’azione criminale si interrompe non per un intervento esterno, come l’arrivo delle forze dell’ordine, ma per la pronta reazione della potenziale vittima. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti su questo punto, stabilendo che il reato di tentativo sussiste anche se è la stessa persona offesa, resasi conto del raggiro, a bloccare il piano dei malintenzionati.

I fatti di causa

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguardava diversi episodi di tentata truffa. In uno di questi, un imputato, fingendosi un Ufficiale di Marina, aveva avvicinato una persona con l’intento di venderle dei diamanti di presunto alto valore. Il piano, orchestrato con l’aiuto di complici che impersonavano un gioielliere e un dipendente delle poste, era stato studiato nei dettagli per indurre la vittima in errore e spingerla a un acquisto svantaggioso. Tuttavia, la truffa non andava a buon fine perché la persona offesa si rendeva conto dell’inganno e si disinteressava dell’affare, interrompendo di fatto la sequenza criminale.

Le argomentazioni della difesa e la configurabilità della tentata truffa

In sede di ricorso per Cassazione, la difesa sosteneva che non si potesse parlare di tentata truffa. Secondo questa tesi, il delitto non si era perfezionato non per l’intervento di un fattore esterno e imprevedibile, ma semplicemente per la mancata adesione della vittima al piano. Di conseguenza, gli atti compiuti non sarebbero stati ‘idonei’ a ledere il bene giuridico protetto, venendo meno uno dei presupposti fondamentali del tentativo.

Inoltre, venivano contestate anche le modalità di riconoscimento fotografico di un altro imputato, ritenuto inattendibile perché basato su una foto datata, e la determinazione della pena, giudicata eccessiva.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato le tesi difensive, confermando le condanne dei giudici di merito. I giudici hanno ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: il delitto tentato si configura quando la condotta, univocamente diretta alla realizzazione dell’evento, viene ostacolata da un fatto esterno.

La reazione della vittima come fattore esterno

Il punto cruciale della sentenza risiede nella qualificazione della reazione della vittima. La Corte ha chiarito che il fatto che la persona offesa si renda conto dell’inganno e interrompa la trattativa costituisce a tutti gli effetti un ‘fatto esterno’ indipendente dalla volontà dei rei. Gli imputati avevano già posto in essere una condotta tipica e pienamente idonea a conseguire l’obiettivo criminale. L’insuccesso del piano non è dipeso da un loro ripensamento (desistenza volontaria), ma dalla reazione della vittima, che di fatto ha impedito il perfezionamento del reato.

Validità del riconoscimento fotografico e dosimetria della pena

La Corte ha anche respinto le altre censure. Ha affermato che il riconoscimento fotografico, sebbene sia una prova atipica, è pienamente utilizzabile e la sua attendibilità è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, il quale deve valutarla nel contesto dell’intera testimonianza. Infine, ha ritenuto infondate le lamentele sulla severità della pena e sul diniego delle attenuanti generiche, sottolineando che la decisione del giudice di merito era stata adeguatamente motivata in base alla gravità dei fatti e ai precedenti penali degli imputati.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione sul principio secondo cui, per la sussistenza della tentata truffa, è sufficiente che gli agenti abbiano compiuto atti idonei e diretti in modo non equivoco a indurre taluno in errore, anche se l’evento non si verifica per una causa esterna. La giurisprudenza è costante nell’affermare che l’allertamento delle forze dell’ordine o la semplice non-collaborazione della vittima che si avvede del raggiro rientrano in questa categoria di cause esterne. Gli atti erano ‘idonei’ perché, in astratto e secondo una valutazione ‘ex ante’, avevano la concreta possibilità di trarre in inganno una persona media. Il fatto che la vittima specifica sia stata più scaltra non rende la condotta inidonea, ma semplicemente non riuscita.

Le conclusioni

Questa sentenza consolida un importante principio in materia di tentata truffa: la lucidità della vittima non salva i truffatori dalla responsabilità penale. Il reato tentato non richiede che l’azione criminale sia quasi giunta a compimento, ma solo che sia stata intrapresa una condotta oggettivamente e inequivocabilmente diretta a commettere il reato. L’interruzione dovuta alla reazione della persona offesa non esclude il tentativo, ma anzi ne rappresenta un classico esempio di configurazione, distinguendolo nettamente dalla desistenza volontaria, che avrebbe comportato conseguenze sanzionatorie diverse e più miti.

Quando si configura il reato di tentata truffa?
Si configura quando un soggetto compie atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere una truffa, ma l’azione non si compie o l’evento dannoso non si verifica a causa di un fattore esterno, indipendente dalla sua volontà. La reazione della vittima che si accorge dell’inganno è considerata un tale fattore.

La reazione della vittima che scopre l’inganno esclude il tentativo di truffa?
No, al contrario. La sentenza chiarisce che la reazione della vittima, che interrompe la sequenza criminale, è proprio l’evento esterno che impedisce la consumazione del reato e fa sì che la condotta sia qualificabile come tentativo, poiché l’interruzione non dipende da una scelta volontaria del reo.

Un riconoscimento fotografico basato su una fotografia datata è una prova valida?
Sì, può esserlo. La Corte ha ribadito che il riconoscimento fotografico è una prova atipica pienamente utilizzabile. La sua attendibilità viene valutata dal giudice di merito considerando il grado di certezza del testimone e altri elementi della sua deposizione, come la descrizione delle fattezze e dell’abbigliamento. Se la motivazione del giudice è congrua, tale valutazione non è sindacabile in Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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