Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 21062 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 21062 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA;
COGNOME NOME, nato a Pescorocchiano il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza del 14 aprile 2023 emessa dalla Corte di appello di Roma;
visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità di entrambi i ricorsi; udite le richieste dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, difensore delle parti civili RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO e NOME COGNOME, dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, difensore della parte civile NOME COGNOME, dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, difensore delle parti civili NOME COGNOME e NOME COGNOME, che hanno chiesto di dichiarare l’inammissibilità dei ricorsi e la condanna degli imputati alla refusione delle spese del grado;
udite le richieste dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, difensore di NOME COGNOME, e dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che hanno insistito per l’accoglimenti dei propri ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Rieti ha disposto il rinvio a giudizio di NOME COGNOME e NOME COGNOME per il delitto di cui all’a 110, 373 cod. pen., commesso in concorso in Rieti il 15 maggio 2015, (capo a), e di NOME COGNOME per il delitto di cui agli artt. 48, 56, 110 e 640 cod. pen commesso in Rieti il 16 luglio 2015 (capo 2).
Secondo l’ipotesi di accusa, il COGNOME, in qualità di consulente tecnico di ufficio nominato nella causa civile n. 564/10 pendente innanzi al Tribunale di Rieti, sottoscrivendo la relazione di consulenza tecnica depositata, avrebbe affermato fatti non conformi al vero e, segnatamente, di averla personalmente redatta, in quanto l’autore materiale sarebbe stato il COGNOME, convenuto nel predetto processo (capo 1); il Pubblico Ministero ha, inoltre, contestato al COGNOME il delitt di tentata truffa (capo 2), in quanto, depositando la richiesta di liquidazione dell’onorario di consulente tecnico di ufficio, avrebbe posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco ad indurre il giudice civile a liquidare il rimborso di spese e fatture per operazioni inesistenti, asseritamente sostenute per l’espletamento del proprio incarico.
Il Tribunale di Rieti, con sentenza emessa in data 9 aprile 2021, ha dichiarato gli imputati responsabili dei reati a loro rispettivamente ascritti e h condannato COGNOME, ritenuta sussistente la continuazione tra i reati contestati, alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione, COGNOME alla pena di due anni e sei mesi di reclusione e gli imputati in solido al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili.
Con la pronuncia impugnata la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, appellata dagli imputati:
ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di cui al capo 1) perché estinto per intervenuta prescrizione, eliminando la relativa pena;
ha rideterminato la pena per il reato di cui al capo 2) in un anno di reclusione e 400 euro di multa, pena sospesa; ha revocato la pena accessoria inflitta;
ha confermato nel resto la sentenza impugnata, condannando gli imputati alla refusione delle spese processuali sostenute dalle parti civili nel grado.
LAVV_NOTAIO, difensore del COGNOME, ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l’annullamento, deducendo due motivi di ricorso.
4.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l’errata applicazione della legge penale, in quanto la condotta accertata sarebbe inidonea ad integrare il tentativo di truffa contestato.
L’allegazione di documentazione non genuina alla richiesta di liquidazione dei compensi non potrebbe, infatti, integrare il tentativo di truffa, in quanto la richiest di pagamento sarebbe stata presentata al giudice, che è soggetto «estraneo al reato».
Deduce, inoltre, il ricorrente che il giudice non ha liquidato i compensi al consulente tecnico e che, comunque, le parti civili non erano stati i destinatari del provvedimento di liquidazione; il giudice, peraltro, avrebbe potuto porre il pagamento degli onorari anche a carico della controparte COGNOME.
4.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 157161 cod. proc. pen., in quanto il reato sarebbe si sarebbe prescritto prima della pronuncia della sentenza di secondo grado.
Rileva il ricorrente che la Corte di appello ha dichiarato prescritto il più grave reato di cui al capo 1), in quanto estinto in data 14 gennaio 2023; se il reato di falsa perizia era, tuttavia, stato contestato come commesso in data 15 maggio 2015, quello di tentata truffa sarebbe stato commesso in data 16 luglio 2015.
Il ricorrente, dunque, eccepisce che il termine di prescrizione del reato di cui al capo 2) dovrebbe essere più lungo di quello della falsa perizia di due mesi e un giorno.
All’atto della pronuncia della sentenza di appello (in data 14 aprile 2023), dunque, la Corte di appello avrebbe dovuto dichiarare anche la prescrizione del reato di tentata truffa (maturata in data 16 marzo 2023).
La sospensione del corso della prescrizione per effetto della disciplina ennergenziale per il contenimento della pandemia da Covid-19, peraltro, non potrebbe essere applicata nel caso di specie, in quanto si sarebbe regolarmente tenuta l’udienza di febbraio 202D e il giudizio dibattimentale di primo grado sarebbe stato rinviato direttamente a giugno del 2020.
AVV_NOTAIO, nell’interesse del COGNOME, propone cinque motivi di ricorso e, segnatamente:
la violazione dell’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all’art. 610 cod. proc. pen. e la nullità dell’ordinanza emessa dalla Corte di appello
in data 14 aprile 2023, quanto all’omessa notifica dell’avviso di fissazione del giudizio in appello al codifensore.
Rileva il difensore che all’udienza del 14 aprile 2023 ha eccepito l’omessa notifica dell’avviso di fissazione del giudizio di appello in favore del codifensore, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, non comparsa all’udienza; la Corte di appello, tuttavia, ha rigettato l’eccezione, ritenendola tardiva, «risultando la presenza del codifensore alla precedente udienza e conseguentemente l’onere di sollevare la relativa eccezione».
Ad avviso della Corte, dunque, il difensore già all’udienza del 17 febbraio 2023 avrebbe dovuto eccepire l’omessa notifica del decreto di citazione in favore dell’AVV_NOTAIO COGNOME (che, peraltro, non era comparsa neppure a tale udienza) e l’inerzia sul punto avrebbe determinato la sanatoria del vizio e la conseguente tardività dell’eccezione.
Rileva, tuttavia, il difensore che all’udienza del 17 febbraio 2023 non si era validamente costituito il rapporto processuale con l’imputato, in quanto era stata disposta la rinnovazione della notifica nei confronti dello stesso; l’eccezione, dunque, era stata proposta nella prima udienza nella quale la Corte di appello aveva ritenuto validamente costituito il rapporto processuale con l’imputato.
L’omessa notifica al codifensore della vocatio in ius configura, del resto, una nullità di ordine generale a regime intermedio e, dunque, deve essere eccepita con la prima difesa successiva all’atto viziato dalla parte che ne aveva interesse (cita in proposito Sez. 3, n. 16564 del 2022 (dep. 2023).
L’eccezione sarebbe, peraltro, stata proposta tempestivamente, in quanto è stata formulata nel primo momento in cui la parte che ne aveva interesse, ovvero l’imputato, era stato regolarmente citata.
l’errata applicazione dell’art. 373 cod. pen. in ordine alla ritenuta sussistenza degli elementi del delitto di falsa perizia;
Il ricorrente premette che la Corte di appello ha ritenuto sussistente il delitto di falsa perizia, in quanto tra le «affermazioni di fatti non conformi al vero previste dall’art. 373 cod. pen., rientra anche la falsa attestazione sulla provenienza dell’attoÌ),
La dichiarazione del consulente tecnico di ufficio di aver redatto in prima persona la perizia, espressa mediante la sottoscrizione del documento, dunque, era stata ritenuta un’affermazione di un fatto storico non conforme al vero, in quanto l’elaborato peritale sarebbe stato redatto non già dal consulente tecnico di ufficio, ma da un terzo.
La disposizione di cui all’art. 373 del codice penale, punisce il perito o il consulente che affermi «fatti non conformi al vero», ma, ad avviso del difensore,
i «fatti», cui la disposizione si riferisce, non possono che essere quelli oggetto dell’attività peritale.
Il fatto penalmente rilevante è, peraltro, quello che, attraverso una immutatio veri, lede il bene giuridico tutelato (ossia la corretta amministrazione della giustizia) ed è in grado di incidere negativamente sulla decisione del giudice.
Il COGNOME, peraltro, non potrebbe aver concorso nel delitto di falsa perizia del consulente tecnico di ufficio, in quanto si era limitato a ritenutene l’elaborato conforme al proprio convincimento.
L’istruttoria dibattimentale, peraltro, non avrebbe confermato la presunta falsità dei fatti contenuti nell’elaborato peritale.
Lo stesso giudice civile, pur avendo constatato numerose anomalie (la dilazione dei tempi di deposito, l’acquisizione dalle parti e dai consulenti tecnici di parte di note non autorizzate dal giudice, l’invio telematico di un file astrattamente proveniente da una delle parti), aveva ritenuto che le stesse non fossero di gravità tale da giustificare la rinnovazione delle operazioni peritali.
La perizia sarebbe, peraltro, risultata irrilevante ai fini della definizione de giudizio civile, che era stato deciso sulla base dei rilievi dell’accertamento tecnico preventivo; la condotta dell’imputato, dunque, sarebbe penalmente rilevante.
la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del concorso del COGNOME nel delitto asseritamente commesso dal COGNOME;
Il ricorrente deduce che la Corte di appello ha ritenuto dimostrata l’esistenza di un accordo criminoso tra il COGNOME ed il COGNOME solo sulla base della asserita riconducibilità dei files alla paternità del COGNOME, ma tale circostanza nulla potrebbe rivelare circa l’esistenza di un accordo criminoso, nonché in ordine al contributo fornito dall’extraneus COGNOME alla commissione del reato.
Mancherebbe del tutto la prova della conoscenza da parte del COGNOME della circostanza che il COGNOME avrebbe recepito acriticamente la bozza redatta, senza apportare alcuna modifica alla stessa e, soprattutto, rivendicando come proprio l’elaborato.
La mera predisposizione di una bozza, dunque, non costituirebbe prova dell’illecito, in assenza della dimostrazione di un accordo.
L’istruttoria, peraltro, avrebbe dimostrato solo l’esistenza di una certa confidenza tra i due, ma non certo di un accordo illecito.
la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione all’attribuzione della paternità del file denominato “Tribunale ordinario di Rieti CTU definitiva” al COGNOME;
COGNOME
/
Premette il ricorrente che la Corte di appello ha motivato l’attribuzione della paternità della consulenza tecnica al COGNOME, in quanto il file “madre” sarebbe stato elaborato dal computer in uso esclusivo al medesimo.
Deduce, tuttavia, il ricorrente che questa motivazione non si sarebbe confrontata con le censure mosse nell’atto di appello, nel quale si era eccepito che il consulente tecnico di ufficio si era fatto inviare sistematicamente fifes dai consulenti di parte nello svolgimento delle operazioni peritali e, quindi, ha lavorato su files creati da altri.
L’autore originario di un file, peraltro, rimane sempre quello che ha dato la prima impronta.
La Corte di appello, peraltro, avrebbe travisato l’esito delle testimonianze di NOME COGNOME e di NOME COGNOME relativamente al fatto che il computer nella stanza del COGNOME, nello studio professionale, fosse nella sua esclusiva disponibilità; questa stanza, infatti, poteva essere usata da tutti i collaboratori tutti gli ingegneri che lavoravano nello studio COGNOME, compreso il COGNOME, usavano un server comune, accessibile a tutti.
la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione all’assenza dei danni asseritamente causati alle parti civili e al difetto di legitimatio ad causam.
Rileva il ricorrente che la Corte di appello ha statuito che «non può dubitarsi che le condotte poste in essere da COGNOME NOME e COGNOME NOME di cui sopra si è detto, abbiano causato un danno alle costituite parti civili per avere alterato il regolare svolgimento dell’attività processuale, essendo stato di fatto l’accertamento tecnico svolto da una delle parti processuali».
Il difensore deduce, tuttavia, che la Corte di appello avrebbe obliterato la censura relativa all’impossibilità di ritenere la parte processuale parte lesa o danneggiata del delitto di falsa perizia, in quanto l’unica persona offesa nei delitti contro l’amministrazione della giustizia è lo Stato.
Nel caso di specie, peraltro, la presunta falsa perizia non avrebbe arrecato alcun danno alla controparte, in quanto il danno conseguirebbe esclusivamente alla soccombenza nel processo civile, determinata dall’adozione di un provvedimento giudiziale viziato, nella specie insussistente.
Le parti civili, peraltro, sarebbero risultate soccombenti nel processo civile sulla base dell’accertamento tecnico preventivo svolto dall’architetto COGNOME e non della consulenza dell’ingegnere COGNOME; in sede penale, dunque, tali soggetti prospetterebbero non già di essere state pregiudicate da un accertamento giurisdizionale falso o ingiusto, ma solo da un giudizio che era risultato contrario alle loro aspettative.
Con memoria depositata un data 6 febbraio 2024 gli avvocati NOME COGNOME, difensore delle parti civili RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO e NOME COGNOME, dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, difensore di NOME COGNOME, hanno chiesto di dichiarare l’inammissibilità dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, in quanto i motivi proposti sono diversi da quelli consentiti dalla legge e, comunque, manifestamente infondati.
Con il primo motivo dedotto, l’AVV_NOTAIO nell’interesse di COGNOME, ha dedotto l’errata applicazione della legge penale, in quanto la condotta accertata sarebbe inidonea ad integrare il tentativo di truffa.
3. Il motivo è manifestamente infondato.
La Corte di appello ha congruamente ritenuto comprovato che l’imputato, quale consulente di ufficio, nel presentare la domanda di liquidazione per lo svolgimento del proprio incarico di consulente tecnico di ufficio, ha richiesto il rimborso di spese da lui non effettivamente sostenute; tale condotta integra il reato di tentata truffa, in quanto «le fatture presentate dallo stesso a corredo della domanda di liquidazione costituiscono atti idonei ad indurre in errore il giudice istruttore del processo civile in ordine alle spese documentate, al fine di trarne un ingiusto profitto» (pag. 11 della sentenza impugnata).
La qualificazione operata dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado è, inoltre, conforme alla legge penale.
Non integra, infatti, il reato di truffa la condotta della parte processuale, che, mediante l’induzione in errore del giudice in un processo civile o amministrativo, ottenga una decisione a sé favorevole (c.d. truffa processuale), in quanto manca l’elemento costitutivo dell’atto di disposizione patrimoniale, posto che il provvedimento adottato non è equiparabile a un libero atto di gestione di interessi altrui, ma costituisce esplicazione del potere giurisdizionale, di natura pubblicistica, né può assumere rilevanza la riserva contenuta nell’art. 374 cod. pen., che si riferisce ai casi in cui il fatto sia specificatamente preveduto dalla legge nei suoi elementi caratteristici (Sez. 2, n. 48541 del 21/10/2022, Castiglione, Rv. 284172 – 01).
Secondo la giurisprudenza di legittimità, invece, integra il reato di truffa, e non quello di peculato mediante induzione in errore ex artt. 48 e 314 cod. pen., la condotta dell’extraneus che mediante artifizi e raggiri, induca in errore il giudice a
disporre la liquidazione di somme non spettanti, così procurandosi un ingiusto profitto (Sez. 6, n. 34517 del 05/07/2023, COGNOME, Rv. 285176 – 01, nella fattispecie l’agente, mediante la dichiarazione di attualità dei crediti oggetto di pregressa domanda di insinuazione al passivo, benché nelle more soddisfatti in via transattiva, e il deposito dei relativi titoli in originale, conseguiva la liquidazione poste a carico della massa solo simulate; conf. Sez. 6, n. 15641 del 19/10/2023 (dep. 2024), con riferimento alla truffa posta in essere da un amministratore giudiziario che ha chiesto (e ottenuto) la liquidazione di onorari e spese non spettanti).
In tal caso, infatti, a differenza della c.d. truffa processuale, il giudice no decide una controversia civile, ma pone in essere un atto dispositivo a contenuto patrimoniale sulla base della legge.
Nel presente processo i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione di tali principi, in quanto gli artifizi e i raggiri posti in essere dal ricorrente sono diretti ad ottenere dal giudice non già un provvedimento giurisdizionale favorevole, ma la liquidazione dell’onorario per l’espletamento dell’incarico di consulente tecnico di ufficio.
Parimenti il deposito in cancelleria da parte del consulente tecnico di ufficio dell’istanza di liquidazione dei compensi, corredata da giustificativi di spese mendaci, costituisce atto idoneo e diretto in modo non equivoco a trarre in inganno il giudice, qualora l’istanza non sia stata liquidata.
Con il secondo motivo l’AVV_NOTAIO ha censurato la violazione degli artt. 157-161 cod. proc. pen., in quanto il reato di truffa accertato si sarebbe prescritto prima della pronuncia di secondo grado, intervenuta in data 14 aprile 2023.
Il motivo è manifestamente infondato, in quanto nel corso del giudizio di primo grado sono intervenuti due periodi di sospensione del corso della prescrizione, per complessivi ottantotto giorni.
La prima sospensione, di ventiquattro giorni, è, infatti, intervenuta all’udienza del 14 febbraio 2020, quando il processo è stato rinviato all’udienza del 13 marzo 2020 per impedimento, dovuto alle condizioni di salute dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, difensore di COGNOME.
La seconda sospensione, di sessantaquattro giorni, dal 9 marzo all’il maggio 2020, è stata disposta dall’art. 83, comma 4, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, in quanto l’udienza originariamente fissata per il 13 marzo 2020 non si è tenuta in ragione della sospensione delle attività processuali determinata dalla necessità di evitare il propagarsi della pandemia.
Le Sezioni unite di questa Corte, del resto, hanno statuito che, in tema di disciplina della prescrizione a seguito dell’emergenza pandemica da Covid-19, la sospensione del termine per complessivi sessantaquattro giorni, prevista dall’art. 83, comma 4, del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, si applica ai procedimenti la cui udienza sia stata fissata nel periodo compreso dal 9 marzo all’11 maggio 2020, nonché a quelli per i quali fosse prevista la decorrenza, nel predetto periodo, di un termine processuale (Sez. U, n. 5292 del 26/11/2020 (dep. 10/02/2021), Sanna, Rv. 280432 – 02, in motivazione, la Corte ha escluso che la sospensione della prescrizione possa operare in maniera generalizzata, per tutti i procedimenti pendenti, in quanto la disciplina introdotta all’art. 83, comma 4, d.l. n.18 del 2020, presuppone che il procedimento abbia subito una effettiva stasi a causa delle misure adottate per arginare la pandemia).
Pertanto, posto che il delitto di tentata truffa contestato al capo 2) si è consumato in data 16 luglio 2015, all’atto del deposito nella cancelleria dell’istanza di liquidazione dei compensi da parte del consulente tecnico di ufficio COGNOME, il termine di prescrizione di sette anni e sei mesi, aumentato di ottantotto giorni, sarebbe maturato allo scadere del 14 aprile 2023.
La Corte di appello, dunque, ha legittimamente emesso la sentenza impugnata in data 14 aprile 2023, prima del perfezionarsi della causa estintiva del reato.
Secondo il criterio di computo enunciato dall’art. 14 cod. pen., infatti, il termine finale della prescrizione coincide con l’ultimo momento del giorno (o del mese) calcolato secondo il calendario comune (Sez. 3, n. 312 del 05/01/1974 (dep. 1975), Rotunno, Rv. 129007-01).
AVV_NOTAIO COGNOME, nell’interesse del COGNOME, con il primo motivo di ricorso, ha dedotto la violazione dell’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all’art. 610 cod. proc. pen. e la nullità dell’ordinanza emessa dalla Corte di appello in data 14 aprile 2023, quanto all’omessa notifica dell’avviso di fissazione del giudizio in appello al codifensore, AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
7. Il motivo è manifestamente infondato.
Il difensore ha eccepito all’udienza del 14 aprile 2023 l’omessa notifica dell’avviso di fissazione del giudizio di appello in favore del difensore, AVV_NOTAIO, non comparsa alla precedente udienza tenutasi innanzi alla Corte di appello.
9 COGNOME
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La Corte, tuttavia, ha rigettato l’eccezione, ritenendola tardiva, «risultando la presenza del codifensore alla precedente udienza e conseguentemente l’onere di sollevare la relativa eccezione».
Ad avviso della Corte, infatti, l’AVV_NOTAIO COGNOME già all’udienza del 17 febbraio 2023 avrebbe dovuto eccepire l’omessa notifica del decreto di citazione in favore dell’AVV_NOTAIO COGNOME (che, peraltro, non era comparsa neppure a tale udienza) e l’inerzia sul punto ha determinato la sanatoria del vizio e la conseguente tardività dell’eccezione.
La decisione è corretta.
Le Sezioni unite di questa Corte hanno statuito che la nullità a regime intermedio, derivante dall’omesso avviso dell’udienza a uno dei difensori dell’imputato, è sanata dalla mancata proposizione della relativa eccezione a opera dell’altro difensore comparso, pur quando l’imputato non sia presente (Sez. U, n. 39060 del 16/07/2009, Aprea, Rv. 244187-01, in motivazione la Corte ha precisato che è onere del difensore presente, anche se nominato d’ufficio in sostituzione di quello di fiducia regolarmente avvisato e non comparso, verificare se sia stato avvisato anche l’altro difensore di giudice e il motivo della sua mancata comparizione, eventualmente interpellando il giudice).
In caso di omesso avviso di fissazione udienza ad uno dei due difensori di fiducia dell’imputato, si configura, infatti, una nullità a regime intermedio che deve essere eccepita in udienza dal difensore presente, sicché la mancata proposizione dell’eccezione sana la nullità, a prescindere dal fatto che l’imputato, regolarmente citato, sia presente o meno (Sez. 5, n. 55800 del 3/10/2018, Intoppa, Rv. 27462001).
Con il secondo motivo l’AVV_NOTAIO COGNOME ha censurato l’errata applicazione dell’art. 373 cod. pen. in ordine alla ritenuta sussistenza degli elementi del delitto di falsa perizia e il vizio di motivazione sul punto.
Il motivo è inammissibile, sia sotto il profilo dell’inosservanza della legge penale, che sotto quello del vizio di motivazione.
9.1. Il motivo è inammissibile, in relazione alla violazione di legge dedotta, in quanto l’imputato, in seguito alla dichiarazione di estinzione del reato per effetto della prescrizione, non ha interesse a ottenere l’esclusione della qualificazione della condotta accertata ai sensi dell’art. 373 cod. pen. ai fini della pronuncia sulla responsabilità civile da reato.
L’imputato ha, infatti, un interesse concreto a contestare, ai fini civili, l diversa qualificazione giuridica del fatto attribuita dalla sentenza di prescrizione
solo quando quest’ultima si riverberi sulla quantificazione del danno morale o del danno biologico.
Nel caso di specie, tuttavia, l’imputato non ha indicato specifici profili che possano dimostrare l’interesse concreto alla diversa qualificazione giuridica dei fatti, che possano riverberarsi nel successivo processo civile per la determinazione dell’entità del danno da reato.
L’ interesse a ricorrere, del resto, risulta escluso quando, alla stregua della stessa richiesta della parte legittimata all’impugnazione, la decisione del giudice dell’impugnazione non inciderebbe nella sfera sostanziale della parte proponente (Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, Guerra, Rv. 240815 e Sez. 1, n. 47675 del 24/11/2011, COGNOME, Rv. 252183).
L’impugnazione, COGNOME per essere COGNOME ammissibile, COGNOME deve, COGNOME infatti, COGNOME tendere all’eliminazione della lesione di un diritto, in quanto non è prevista la possibilità d proporre un’impugnazione che miri unicamente all’esattezza giuridica della decisione, senza che ne consegua un vantaggio pratico per il ricorrente (ex plurimis: Sez. 1, n. 39215 del 03/07/2017, Morrone, Rv. 270957 – 01).
Del resto, quand’anche si accedesse alla richiesta dell’imputato di escludere la qualificazione del fatto come falsa perizia, non ne conseguirebbe l’irrilevanza penale dello stesso, ma la sua qualificazione ai sensi dell’art. 479 cod. pen. quale falso ideologico del perito, in ragione del rapporto di specialità che intercorre tra le due fattispecie di reato (cfr. Sez. 6, n. 20314 del 26/02/2015, Morena, Rv. 263410 – 01).
Il rilievo sotto il profilo risarcitorio del turbamento del regolare svolgimento del processo civile, determinato dalla produzione in giudizio di una falsa consulenza tecnica di ufficio, dunque, permane, indipendentemente dalla qualificazione in sede penale di tale condotta falsa perizia o falso ideologico del perito.
9.2. Il motivo è parimenti inammissibile in relazione al vizio di motivazione dedotto.
Il difensore ha, infatti, argomentato l’insussistenza della falsità della consulenza tecnica di ufficio, in quanto ritenuta da COGNOME conforme al proprio convincimento; parimenti la falsità sarebbe stata esclusa dal giudice civile, pur a fronte del rilievo di numerose anomalie e, comunque, non avrebbe inciso sulla decisione del processo civile, fondata sull’accertamento tecnico preventivo eseguito in fase cautelare.
Tali rilievi, essendo volti a contestare in fatto la sussistenza del delitt contestato, si confrontano con la prova e non con la motivazione della sentenza impugnata.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, tuttavia, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Sez. U, n. 6402 del 2/07/1997, Dessimone, Rv. 207944).
Con il terzo motivo l’AVV_NOTAIO COGNOME ha dedotto la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del concorso di COGNOME nel delitto asseritamente commesso da COGNOME.
Il motivo è inammissibile per aspecificità, in quanto non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata.
La Corte di appello di Roma, del resto, ha non incongruamente ritenuto dimostrato l’accordo sulla base delle risultanze dei tabulati telefonici, che dimostrano contatti tra i soggetti intensificatisi a ridosso del deposito della consulenza tecnica di ufficio, e del rinvenimento nell’agenda personale del COGNOME della relazione, ma priva di sottoscrizione.
Con COGNOME il quarto motivo il difensore ha censurato la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione all’attribuzione della paternità del file denominato «Tribunale ordinario di Rieti CTU definitiva» al COGNOME.
Il motivo è inammissibile, in quanto il ricorrente si è limitato a sollecitare la Corte di legittimità a un rinnovato esame degli elementi probatori raccolti nel corso del giudizio, mediante un confronto diretto con gli stessi.
Sono, tuttavia, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5456 del 4/11/2020, F., Rv. 280601-1; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482).
La Corte di appello, peraltro, quanto alla paternità del file, richiamando la sentenza di primo grado, ha congruamente rilevato che sul computer del COGNOME non è stato rinvenuto alcun file corrispondente a quello depositato, ad eccezione
del file rinvenuto nella casella di posta elettronica, utilizzato per il deposito della perizia.
Nel computer del COGNOME, per converso, è stato rinvenuto un file pdf integralmente corrispondente al file depositato da COGNOME quale consulenza tecnica di ufficio.
Con il quinto motivo il difensore ha dedotto la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione all’assenza dei danni asseritamente causati alle parti civili e al difetto di legitimatio ad causam.
Il motivo è inammissibile, in quanto il Tribunale ha legittimamente ammesso la costituzione di parte civile dei condomini e dei condomini indicati in epigrafe quali soggetti danneggiati dal reato.
La Corte di appello ha, inoltre, non irragionevolmente indicato la ragione di danno nel pregiudizio cagionato alle parti processuali, costituitesi parti civili, dall turbativa del regolare ordine delle attività processuali determinato dall’introduzione nel materiale probatorio di una consulenza tecnica di ufficio redatta in violazione dei doveri di terzietà e imparzialità del perito.
Alla stregua di tali rilievi, entrambi i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
I ricorrenti devono, pertanto, essere condannati, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», deve, altresì, disporsi che ciascun ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Gli imputati devono, inoltre, essere condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che si liquidano in favore di RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO e NOME COGNOME in complessivi euro 4791,00, oltre accessori di legge, in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME in complessivi euro 4791,00, oltre accessori di legge, e in favore di NOME COGNOME in complessivi euro 4971,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che liquida in favore di RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO e NOME COGNOME in complessivi euro 4791,00, oltre accessori di legge, in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME in complessivi euro 4791,00, oltre accessori di legge, e in favore di NOME COGNOME in complessivi euro 41151,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 22/02/2024.