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Tentata rapina: quando l’azione è punibile?

Un individuo ricorre contro un’ordinanza di custodia cautelare per tentata rapina di un orologio di lusso, sostenendo che il reato non si fosse configurato poiché l’azione non era stata avviata. La Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile, stabilendo che la violenza esercitata, seppur su una persona diversa da quella in possesso del bene, era inequivocabilmente finalizzata all’impossessamento, integrando così gli estremi della tentata rapina.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentata rapina: quando l’azione criminale diventa punibile? L’analisi della Cassazione

La distinzione tra un atto preparatorio non punibile e l’inizio di un’azione criminale è uno dei temi più delicati del diritto penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce su questo confine, in particolare nel contesto della tentata rapina. Il caso analizzato riguarda un agguato pianificato per sottrarre un orologio di lusso, dove la violenza è stata usata ma il bene non è stato sottratto. Vediamo come la Suprema Corte ha delineato i contorni del reato.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine da un appuntamento fissato con il pretesto di acquistare un orologio di valore. L’imputato aveva concordato l’incontro con il proprietario del bene. All’appuntamento, però, si erano presentati sia il proprietario che un suo parente. Con una scusa, l’imputato li ha attirati in un luogo isolato e senza via d’uscita.

A quel punto, il parente, sceso dall’auto, è stato raggiunto da due colpi di pistola esplosi dall’imputato. Una volta a terra, gli è stata strappata una catenina d’oro. Nel frattempo, il proprietario dell’orologio, rimasto a distanza, è riuscito a fuggire con l’auto e a raggiungere le forze dell’ordine, consegnando l’orologio che era l’obiettivo originale del piano criminale.

Contro l’ordinanza che disponeva la custodia cautelare in carcere per rapina consumata (della catenina) e tentata (dell’orologio), la difesa ha proposto ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso: tra vizi procedurali e configurazione del reato

Il ricorso si fondava su due argomenti principali:

1. Vizio procedurale: La difesa lamentava di non aver potuto visionare dei file video menzionati nell’ordinanza cautelare, eccependo una nullità che, a suo dire, avrebbe invalidato il provvedimento.
2. Inconfigurabilità della tentata rapina: Secondo il ricorrente, non si poteva parlare di tentativo perché l’azione criminale non era effettivamente iniziata. L’orologio, infatti, non era mai comparso sulla scena del ferimento e si trovava in possesso del fratello, rimasto a distanza. La violenza contro il parente sarebbe stata, quindi, una vicenda autonoma e non un atto finalizzato a sottrarre l’orologio.

La decisione della Cassazione sulla tentata rapina

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambe le argomentazioni della difesa. La decisione offre importanti chiarimenti sulla corretta interpretazione delle norme sulla tentata rapina e sui requisiti di ammissibilità dei ricorsi.

La questione delle prove video e la “prova di resistenza”

Riguardo al primo motivo, la Corte lo ha ritenuto estremamente generico. Il ricorrente non aveva specificato a quali immagini si riferisse e, soprattutto, non si era confrontato con la motivazione del tribunale, che aveva già chiarito come non vi fosse stata alcuna acquisizione di filmati. Inoltre, i giudici hanno richiamato un principio fondamentale: la “prova di resistenza”. Anche qualora una prova fosse inutilizzabile, per ottenere l’annullamento di un provvedimento è necessario dimostrare che la sua eliminazione avrebbe cambiato l’esito della decisione. In questo caso, le prove a carico erano schiaccianti, basandosi sulle dichiarazioni delle persone offese e sulle stesse ammissioni dell’imputato.

Le Motivazioni

La Corte ha ritenuto infondato anche il secondo motivo, relativo alla configurazione della tentata rapina. La motivazione del Tribunale del Riesame era chiara e logica: l’incontro era stato concordato proprio per la compravendita dell’orologio. La presenza di entrambi i fratelli e l’uso della violenza erano inequivocabilmente collegati al piano di sottrarre il bene con la forza. Le stesse dichiarazioni successive dell’imputato avevano confermato che la sparatoria era avvenuta proprio nell’ambito del suo proposito di impossessarsi illecitamente dell’orologio.

Secondo la Cassazione, le azioni violente poste in essere (i colpi di pistola) erano finalizzate all’impossessamento del bene e costituivano atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere la rapina. Il reato non si è consumato solo perché il proprietario dell’orologio è riuscito a fuggire. Pertanto, la contestazione del tentativo è risultata pienamente corretta.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio cruciale: per integrare il reato di tentata rapina, non è necessario che l’agente sia venuto a contatto diretto con il bene che intende sottrarre. È sufficiente che la sua azione violenta o minacciosa sia oggettivamente e inequivocabilmente diretta a vincere la resistenza della vittima per impossessarsi della cosa. L’azione si considera iniziata quando il piano criminale entra in una fase esecutiva che ha una significativa probabilità di successo, e la violenza è lo strumento per raggiungere tale scopo, a prescindere dal fatto che l’obiettivo finale venga poi mancato per cause indipendenti dalla volontà dell’agente.

Quando un’azione violenta può essere considerata una tentata rapina anche se l’oggetto del desiderio non è stato sottratto?
Secondo la sentenza, si configura una tentata rapina quando l’azione violenta è inequivocabilmente diretta all’impossessamento del bene, e il reato non si consuma solo per fattori esterni alla volontà dell’agente, come la fuga della vittima che detiene l’oggetto.

È possibile annullare un’ordinanza cautelare se la difesa non ha potuto visionare delle prove video?
No, non in questo caso. La Cassazione ha ritenuto il motivo inammissibile perché la richiesta era generica e, in ogni caso, la decisione si fondava su altre prove schiaccianti (dichiarazioni delle vittime e ammissioni dell’imputato) che avrebbero superato la cosiddetta “prova di resistenza”.

Cosa significa che un ricorso in Cassazione è dichiarato “inammissibile”?
Significa che la Corte non esamina il merito della questione perché il ricorso non rispetta i requisiti formali o sostanziali previsti dalla legge, come nel caso di motivi troppo generici. Questo comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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