Tentata rapina: quando la Cassazione conferma la condanna
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fornisce importanti chiarimenti sui limiti del ricorso per tentata rapina e sui criteri di valutazione di elementi come la recidiva e il recesso attivo. Con la decisione in esame, i giudici hanno dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato, confermando la solidità delle valutazioni espresse nei precedenti gradi di giudizio.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine da un episodio qualificato come tentata rapina aggravata. L’imputato, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, aveva preteso la consegna di una somma di denaro da parte della vittima, accompagnando la richiesta con la minaccia esercitata tramite un coltello. La Corte d’Appello aveva confermato la responsabilità penale, basando la propria decisione sulle dichiarazioni della persona offesa e di un testimone.
Tentata rapina e i motivi del ricorso
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione affidandosi a diversi motivi. In sintesi, la difesa lamentava:
1. Carenza e illogicità della motivazione: Si contestava il modo in cui i giudici avevano valutato le dichiarazioni testimoniali, ritenendole contraddittorie.
2. Errata applicazione della legge penale: Si sosteneva che i fatti non configurassero una tentata rapina.
3. Mancata concessione delle attenuanti: L’imputato si doleva del diniego delle attenuanti generiche e della non applicazione nella massima estensione dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, oltre che della valutazione della recidiva.
4. Mancato riconoscimento del recesso attivo: Si asseriva che l’imputato avesse volontariamente desistito dall’azione criminale.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha rigettato tutti i motivi, dichiarando il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile.
I giudici hanno innanzitutto chiarito che la valutazione delle testimonianze costituisce un giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità se, come nel caso di specie, la motivazione della Corte d’Appello risulta logica e priva di vizi evidenti. I giudici di merito avevano infatti già esaminato e risolto le presunte contraddizioni, ritenendo le dichiarazioni attendibili.
Sul punto della qualificazione giuridica del fatto, la Corte ha ribadito che la pretesa di denaro avanzata con la minaccia di un’arma integra pienamente la fattispecie di tentata rapina aggravata.
Particolarmente significativa è l’analisi sul trattamento sanzionatorio. La Cassazione ha confermato la correttezza della decisione di negare le attenuanti generiche e di considerare la recidiva. Tale scelta era giustificata dai numerosi precedenti penali dell’imputato, anche recenti, per reati contro il patrimonio. Questi elementi, uniti all’uso di un’arma, delineavano una “rafforzata pericolosità sociale” che rendeva l’imputato immeritevole di un trattamento più mite.
Infine, è stata respinta la tesi del recesso attivo. La Corte ha evidenziato che l’azione predatoria non si è interrotta per una scelta volontaria dell’imputato, ma a causa di un fattore esterno e indipendente dalla sua volontà: il netto rifiuto della persona offesa di consegnare il denaro. Non vi è stato, quindi, un volontario abbandono del proposito criminale, ma un semplice fallimento del tentativo.
Conclusioni
L’ordinanza ribadisce principi consolidati nella giurisprudenza penale. In primo luogo, il giudizio sulla credibilità dei testimoni spetta ai giudici di merito e non può essere rimesso in discussione in Cassazione se la motivazione è coerente. In secondo luogo, la valutazione della recidiva e la concessione delle attenuanti devono basarsi su un’analisi concreta della personalità del reo e della sua pericolosità, come desumibile dai precedenti penali e dalla gravità della condotta. Infine, viene tracciata una netta linea di demarcazione tra il recesso attivo, che presuppone una volontaria interruzione dell’azione, e il tentativo non riuscito a causa di fattori esterni, come l’opposizione della vittima.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano manifestamente infondati, riproponendo questioni di merito già adeguatamente valutate dai giudici dei gradi precedenti con motivazione logica e coerente.
Quali elementi hanno giustificato il diniego delle attenuanti generiche?
Il diniego delle attenuanti generiche è stato giustificato sulla base dei numerosi e recenti precedenti penali dell’imputato per reati contro il patrimonio e dall’uso di un’arma, elementi che delineavano una sua rafforzata pericolosità sociale e lo rendevano immeritevole di tale beneficio.
Qual è la differenza tra tentato delitto e recesso attivo in questo caso?
In questo caso non si è trattato di recesso attivo, poiché l’azione criminale non è stata interrotta da una scelta volontaria dell’imputato. Si è trattato invece di un tentativo fallito, perché l’evento non si è verificato a causa di un fattore esterno: il rifiuto della vittima di consegnare il denaro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31372 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31372 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a FORLI il 08/04/1989
avverso la sentenza del 18/11/2024 della CORTE APPELLO di VENEZIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME
considerato che il primo motivo di ricorso, con il quale si deduce la carenza e manifesta illogicità della motivazione in punto di valutazione delle dichiarazioni rese da da NOME COGNOME e dalla persona offesa NOME COGNOME è meramente riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati ed esaminati dai giudici di appello che hanno dato conto dell’assenza di significative contraddizioni e difformità tra i due portati dichiarativi ( pagg. 3 e 4 della sentenza impugnata), così effettuando una valutazione di merito immune da manifeste illogicità e, come tale, non sindacabile in questa sede;
ritenuto che il secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce la violazione di legge con riferimento agli artt. 56 e 628 cod. pen, in punto di giudizio di responsabilità, è manifestamente infondato atteso che la Corte territoriale, dalla adeguata valutazione delle dichiarazioni della persona offesa e del testimone COGNOME ha fatto discendere una ricostruzione fattuale (pretesa di denaro accompagnata dall’uso di un coltello come strumento di minaccia) sussumibile nell’alveo della tentata rapina aggravata (pag. 4 della sentenza impugnata) ;
osservato che il terzo, il quarto e il sesto motivo di ricorso, con i quali s censura la mancata disapplicazione della ritenuta recidiva, il diniego di attenuanti generiche ed il riconoscimento della attenuante di cui all’art. 62 n. 4 in misura inferiore alla massima estensione, sono manifestamente infondati in quanto la Corte di appello, con motivazione adeguata, ha fondato tali statuizioni sui numerosi precedenti penali per reati contro il patrimonio anche recenti che, valutati unitamente al reato sottoposto a giudizio, contraddistinto anche dall’uso di un’arma impropria, delineavano una rafforzata pericolosità sociale dell’imputato e lo rendevano immeritevole della diminuente di cui all’art. 62 bis cod. pen. e, in misura piena, di quella del lieve danno patrimoniale; che tale percorso argonnentativo è conforme ai principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui secondo cui, in presenza di contestazione della recidiva a norma di uno dei primi quattro commi dell’art. 99 cod. pen., il giudice è tenuto a verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia sintomo effettivo riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grad di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello omogeneità esistente tra loro, all’eventuale occasionalità della ricaduta e a ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza” (Sezioni Unite con sentenza n. 35738 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247838); è altresì in linea con il principio secondo cui il diniego di attenuanti generiche può fondarsi sui precedenti penali dell’imputato (Sez. 3, n. 34947 del
03/11/2020, S., Rv. 280444; Sez. 6, n. 57565 del 15/11/2018, COGNOME, Rv. 274783; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269);
ritenuto che è manifestamente infondato anche il quinto motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione dell’art. 56, comma terzo, cod. pen. ed il vizio di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento dell’ipotesi di recesso attivo: la Corte territoriale correttamente evidenziato – sulla scorta della ricostruzione fattuale della vicenda- che l’imputato non aveva desistito volontariamente dall’azione predatoria ma a seguito del rifiuto della persona offesa di consegnare il denaro richiesto e, dunque, in ragione di un fattore esterno;
ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso, il giorno 1 luglio 2025.