Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23457 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23457 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/04/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a APRILIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/11/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili;
lette le conclusioni dei difensori dei ricorrenti, Avv. NOME COGNOME per COGNOME NOME e Avv. NOME COGNOME per COGNOME NOME, che hanno chiesto l’annullamento della sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Roma, con sentenza del 06/11/2023, ha confermato la sentenza del Tribunale di Velletri n. 2342 del 2019, con la quale COGNOME NOME e COGNOME NOME sono stati condannati alla pena di giustizia per il delitto agli stessi ascritto (capo a) artt. 110, 56, 628, commi primo e terzo, n.1, cod. pen.).
Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, per mezzo dei rispettivi difensori, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che hanno dedotto motivi che si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp.att. cod.proc.pen.
Ricorso COGNOME. Violazione di legge e vizio della motivazione in considerazione dell’avvenuto riconoscimento della aggravante contestata delle più persone riunite; la difesa ha richiamato la giurisprudenza sul tema e ha osservato come nel caso in esame, a fronte delle dichiarazioni della persona offesa, non si potesse ritenere ricorrente il requisito della simultanea presenza, nota alla vittima, nel luogo dove la violenza o la minaccia si realizzano.
Ricorso COGNOME. Violazione di legge, di norme processuali, travisamento della prova e vizio della motivazione in ogni sua forma, attesa la evidente erroneità e il travisamento delle dichiarazioni della persona offesa, che ha ribadito diverse volte durante il dibattimento di non aver percepito quale fosse l’intenzione dei due imputati. La difesa evidenziava tra l’altro come il COGNOME NOME fosse stato riconosciuto dalla persona offesa come la persona che era rimasta in macchina, che non gli aveva dato alcun fastidio, perché era uscito solo per un momento per poi rientrare immediatamente nell’auto che lo aveva bloccato. La prova sconfessa la effettiva commissione di una tentata rapina. La persona offesa, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di appello, non è riuscita a fornire una precisa e incontrovertibile ricostruzione dei fatti, emergendo dalle stesse dichiarazioni l’assoluta estraneità del COGNOME, in assenza di alcuna affermazione effettiva da parte della persona offesa in ordine al tentativo di volergli effettivamente sottrarre l’auto.
Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili perché proposti con motivi non consentiti, generici, oltre che manifestamente infondati.
In via preliminare, occorre osservare che ricorre nel caso in esame una doppia decisione conforme dei giudici di merito quanto alla affermazione di responsabilità dei due ricorrenti. La Corte di appello ha condiviso le considerazioni e argomentazioni del giudice di primo grado quanto alla imputazione ascritta, ricostruendo in modo logico ed articolato gli elementi a supporto della decisione di condanna. In tal senso, va ricordato che la sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, specie quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate e ampiamente chiarite nella pronuncia di primo grado (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191229-01; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252615-01; Sez. 6, n. 8309 del 14/01/2021, COGNOME, non mass.). Il giudice di appello ha nel caso in esame dettagliatamente considerato ogni risultanza processuale, attraverso una valutazione globale, spiegando in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, mentre i ricorrenti si sono limitati a reiterare le doglianze già proposte in appello, senza confrontarsi con la motivazione, sostanzialmente proponendo una lettura alternativa del merito non consentita in questa sede.
I motivi di ricorso proposti, che possono essere trattati congiuntamente, attesa la prospettazione di doglianze sostanzialmente sovrapponibili in ordine alla ricostruzione della condotta imputata, anche con riferimento alla aggravante contestata, sono ampiamente reiterativi dei motivi di appello e non si confrontano evidentemente con la motivazione della Corte di appello, che ha compiutamente descritto il ruolo di entrambi i ricorrenti, la chiara e simultanea presenza degli stessi nel momento in cui tentavano di impossessarsi violentemente della cosa altrui, con evidente maggiore incisività sulla persona offesa, mediante esercizio di violenza sulla cosa e sulla persona (pag. 4 e seg. dove si è valorizzata la azione e la sua
inequivoca direzione al fine di impossessamento sulla base delle coerenti dichiarazioni della persona offesa, valutando anche le ipotesi alternative come un possibile litigio per questioni di viabilità) in assenza di qualsiasi travisamento della prova e con chiara considerazione, per la presenza contemporanea dei due ricorrenti al momento della azione violenta, della aggravante contestata (Sez.2, n. 46221 del 08/11(2023, Piromalli, Rv. 285443-01).
La difesa si è, dunque, limitata a proporre una lettura alternativa dell’insieme degli elementi acquisiti in giudizio, sebbene questa Corte abbia ripetutamente affermato che è preclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito attraverso una diversa ed alternativa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217-01, Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, COGNOME, Rv. 275100-01, Sez. 4, 1219 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271702-01, Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, COGNOME, Rv. 277758-01, Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217-01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482-01; Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, COGNOME, Rv. 275100-01).
Sono, dunque, inammissibili nel giudizio di legittimità, tutte quelle censure che attengono a vizi diversi dalla mancanza di motivazione, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo.
Da ciò consegue l’inammissibilità di tutte le doglianze che criticano la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento, rappresentando tutto ciò una non ammissibile interferenza con la valutazione del fatto riservata al giudice del merito (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747-01, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965-01).
I motivi proposti scontano una evidente genericità, attesa la effettiva mancanza di confronto con le argomentazioni spese dalla Corte di appello, in senso del tutto conforme al giudice di merito. La mancanza di specificità del
motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di mancanza di specificità, conducente, a norma dell’art. 591, comma 1, lett. c), c.p.p., all’inammissibilità (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710-01).
I ricorsi devono in conclusione essere dichiarati inammissibili, con condanna, ai sensi dell’art.616 cod. proc. pen., dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 12 aprile 2024.