Tentata rapina impropria: quando il furto non riesce ma la violenza sì
Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ci offre l’opportunità di approfondire la figura della tentata rapina impropria. Questa fattispecie di reato, prevista dal nostro codice penale, si verifica in una situazione specifica: quando un individuo, dopo aver tentato un furto senza riuscirci per cause esterne, utilizza violenza o minaccia per garantirsi la fuga e l’impunità. L’ordinanza in esame chiarisce i confini di questo reato, confermando un importante principio di diritto già stabilito dalle Sezioni Unite.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine da un ricorso presentato alla Corte di Cassazione da un soggetto condannato in secondo grado dalla Corte d’Appello di Brescia per il reato di tentata rapina impropria. L’imputato, attraverso il suo difensore, contestava la qualificazione giuridica dei fatti, sostenendo che non fossero state correttamente applicate le norme relative al tentativo, alla rapina, alla violazione di domicilio e al furto. Il motivo principale del ricorso si basava sulla presunta erronea interpretazione della Corte territoriale nel ritenere configurabile tale specifico delitto.
La decisione della Corte di Cassazione e la tentata rapina impropria
La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto che i motivi presentati non fossero specifici, ma si limitassero a riproporre le stesse argomentazioni già avanzate e respinte in appello. Questo tipo di ricorso, definito “apparente”, non adempie alla funzione di una critica costruttiva e argomentata contro la sentenza impugnata, ma si risolve in una sterile ripetizione. La Cassazione, entrando nel merito della questione giuridica, ha confermato la correttezza della decisione della Corte d’Appello.
Le Motivazioni
Il punto centrale della decisione si basa su un principio di diritto consolidato, espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 34952 del 2012. Secondo questo orientamento, si configura il delitto di tentata rapina impropria quando l’agente, dopo aver compiuto atti idonei e diretti in modo non equivoco a sottrarre un bene altrui, non riesce a completare il furto per cause indipendenti dalla sua volontà. Successivamente, per assicurarsi l’impunità o la fuga, usa violenza o minaccia. La Corte ha stabilito che la violenza o la minaccia, sebbene poste in essere dopo il fallimento del tentativo di furto, si legano a quest’ultimo in un unico contesto, qualificando l’intera azione come un unico reato complesso. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva correttamente applicato questo principio, motivando in modo logico e giuridicamente ineccepibile la propria decisione, come emerge dalle pagine 4 e 5 della sentenza impugnata.
Le Conclusioni
In conclusione, la Corte di Cassazione, dichiarando l’inammissibilità del ricorso, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. Questa ordinanza rafforza un importante principio: l’azione violenta posta in essere per garantirsi la fuga dopo un tentativo di furto non riuscito non è un reato a sé stante, ma qualifica l’intera condotta come tentata rapina impropria. La decisione sottolinea anche un aspetto processuale fondamentale: i ricorsi in Cassazione devono presentare motivi di critica specifici e nuovi rispetto a quelli già discussi nei precedenti gradi di giudizio, altrimenti rischiano di essere dichiarati inammissibili.
Quando si configura il reato di tentata rapina impropria?
Si configura quando un soggetto, dopo aver compiuto atti idonei a commettere un furto che però non si conclude per cause indipendenti dalla sua volontà, utilizza violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità o la fuga.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché i motivi proposti erano una semplice reiterazione di quelli già presentati e respinti in appello, mancando quindi del requisito della specificità e non costituendo una critica argomentata alla sentenza impugnata.
Qual è il principio di diritto confermato dalle Sezioni Unite della Cassazione in materia?
Le Sezioni Unite (sentenza n. 34952/2012) hanno stabilito che è configurabile il tentativo di rapina impropria quando l’agente, dopo atti idonei alla sottrazione non portati a compimento, adopera violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 36266 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 36266 Anno 2024
Presidente: COGNOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME NOME a BRESCIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/11/2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME;
considerato che l’unico motivo di ricorso con cui si contesta vizio di legge – in relazione agli artt. 56, 628, comma secondo, 614 e 624 cod. pen. – per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto configurabile il reato di tentata rapina impropria da parte dell’odierno ricorrente, è indeducibile perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici, ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
che il giudice d’appello, con corretti argomenti logici e giuridici, come emerge in particolare dalle pagine 4 e 5, ha fatto buon governo del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui è configurabile il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l’agente, dopo aver compiuto atti idonei alla sottrazione della cosa altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla propria volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità (Sez. U., n. 34952 del 19/04/2012, COGNOME, Rv. 253153-01);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 2 Luglio 2024
Ti
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