Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1981 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1981 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME NOME a BRESCIA il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a ASOLA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/03/2023 della Corte d’appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugNOME e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi;
udito l’AVV_NOTAIO, nell’interesse delle parti civili COGNOME NOME e NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi, depositando nota spese;
udito l’AVV_NOTAIO, nell’interesse del ricorrente COGNOME, che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso e rilevando l’intervenuta prescrizione dei reati;
udita l’AVV_NOTAIO, nell’interesse del ricorrente COGNOME, che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Brescia, con la sentenza impugnata in questa sede, ha confermato la condanna alle pene ritenute di giustizia, e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, pronunciata dal Tribunale di Brescia in data 9 maggio 2022, nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, in ordine ai delitti di tentata estorsione e diffamazione.
Ha proposto ricorso la difesa dell’ imputato COGNOME NOME deducendo, con il primo motivo, violazione di legge in relazione agli artt. 629 cod. pen., 2635 cod. civ.; dall’istruttoria non era emerso né il diritto delle presunta persona offesa di imporre la prosecuzione del rapporto contrattuale con la società RAGIONE_SOCIALE, né di determinare le condizioni quantitative delle forniture oggetto del contratto stipulato; da ciò discendeva l’impossibilità di cagionare, attraverso la richiesta di versamento di denaro formulata, alcun danno al fornitore che non poteva vantare alcun diritto contrattuale eventualmente inciso dalle richieste dell’imputato; per altro verso, era del tutto mancante la prova della minaccia esercitata poiché, al contrario, il prospettato aumento delle forniture, condizioNOME al pagamento della somma richiesta, era frutto di un accordo paritario; pertanto, il fatto oggetto di addebito avrebbe costituito, al più, l’ipotesi prevista dall’art. 2635 cod. civ. peraltro insussistente mancando la commissione di alcun atto in violazione dei doveri verso la società da parte del ricorrente, sicché in definitiva il fatto non rivestiva alcuna rilevanza penale.
2.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge in relazione agli artt. 84 e 595 cod. pen.; la condotta contestata al ricorrente non solo non poteva arrecare danno alla reputazione della società, poiché il denaro richiesto era diretto ad un impiegato della società senza che quest’ultima ne fosse a conoscenza; in ogni caso, trovava applicazione la disciplina del reato complesso, in quanto la condotta diretta a formulare la richiesta, ritenuta diffamatoria, costituiva elemento costitutivo della condotta di reato contestata quale ipotesi di estorsione.
Ha proposto ricorso la difesa dell’imputato COGNOME NOME deducendo, con il primo motivo, violazione di legge, in relazione agli artt. 2635 cod. civ., 49 cod. pen., e vizio della motivazione (per mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità); la lettura dei fatti storici operata dalla sentenza della Cort territoriale era errata, non sussistendo prova di alcuna minaccia e non essendo dimostrata la capacità del ricorrente di potere interrompere i rapporti contrattuali tra la società da cui dipendeva e la società fornitrice, sicché non poteva dirsi sussistente l’ipotizzata estorsione, attesa la totale inoffensività del fatto; l
decisione era sul punto del tutto carente quanto alla relativa motivazione che non aveva preso in esame le censure formulate con l’atto di appello.
3.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio della motivazione, in relazione al diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche (non avendo considerato l’atteggiamento successivo alla commissione del reato), nonché dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione, pur se richiesti e in assenza di ulteriori condotte di reato.
3.2. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio della motivazione in relazione sia alla commisurazione della pena, sia alla misura della condanna al risarcimento dei danni in assenza di prova dei pregiudizi subiti dalle persone offese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono entrambi infondati, per le ragioni di seguito indicate.
2.1. Quanto al ricorso COGNOME, il primo motivo è infondato.
Secondo la tesi difensiva, la mancata adesione da parte della persona offesa alla richiesta di versare la somma pretesa dagli imputati avrebbe avuto quale conseguenza l’impossibilità “di vendere i suoi prodotti alla società RAGIONE_SOCIALE” (pag. 2 del ricorso); difettando nelle previsioni contrattuali esistenti tra le par alcun diritto della fornitrice di imporre alla RAGIONE_SOCIALE la prosecuzione dei contratti di fornitura, il fatto storico non poteva integrare la fattispecie estorsiva contestata.
L’assunto non è aderente al contenuto dell’imputazione e alla realtà storica: la conseguenza negativa che veniva prospettata, già secondo il tenore dell’imputazione, era la perdita delle commesse che la società fornitrice aveva ricevuto dalla RAGIONE_SOCIALE, oltre che il pericolo di non poterne concludere ulteriori in futuro. Come precisato dalla sentenza impugnata, dunque, il pregiudizio riguardava un diritto già entrato a far parte del patrimonio della società fornitrice trattandosi della “perdita, ad nutum, in assenza di motivi attinenti alla qualità dei prodotti, ai prezzi o all’esecuzione della fornitura o di revisione della propria gamma di prodotti da parte di RAGIONE_SOCIALE, di un contratto in esser da svariati anni e dal quale dipendevano le sorti economiche dell’azienda” (pag. 10). In definitiva, il pregiudizio concerneva un diritto (quello all’esecuzione del rapporto in corso) già acquisito prima della richiesta formulata, non già (anche) quella che avrebbe potuta esser l’evoluzione di ulteriori rapporti commerciali tra le parti.
Le ulteriori deduzioni difensive, che dipendono logicamente dalla premessa su riportata, sono dunque, oltre che reiterative dei motivi di appello, del tutto infondate (non potendosi ricondurre la condotta miNOMEria nell’ipotesi di reato
prevista dall’art. 2635 cod. civ., attesa la clausola di riserva di più gravi ipotesi d reato ivi prevista e la totale differenza strutturale tra la condotta estorsiva e la condotta diretta a procurare nocumento alla società dell’agente attraverso la violazione degli obblighi inerenti all’ufficio ricoperto).
2.2. Il secondo motivo è del tutto reiterativo delle censure mosse con l’atto di appello, senza alcun confronto con la motivazione della sentenza che ha specificato sia le circostanze di fatto che rendevano palese la lesione della reputazione della società RAGIONE_SOCIALE (indicata ripetutamente nelle espressioni dell’imputato come società destinataria delle illecite pretese economiche, che sistematicamente poneva in esser analoghe condotte delittuose: pag. 10-11), sia l’infondatezza del presunto assorbimento del reato di diffamazione in quello di estorsione, considerando le differenze quanto a struttura dei reati, alle persone offese e ai beni giuridici tutelati.
Per quanto riguarda il ricorso COGNOME, il primo motivo è formulato in termini non consentiti.
La difesa, infatti, sollecita una differente lettura dei dati processuali inerenti alle vicende storiche da cui dovrebbe emergere, in contrasto con la conforme ricostruzione operata dai giudici di merito, l’assenza del riferimento operato dall’COGNOME, su sollecitazione e accordo con il ricorrente, all’interruzione de rapporto contrattuale in essere tra fornitore e RAGIONE_SOCIALE; operazione che, in sede di legittimità, non è consentita poiché «in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito» (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 – 0; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 4, n. 35683 del 10/07/2007, COGNOME, Rv. 237652; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507). Generica, poi, la censura riferita al difetto di contributo causalmente rilevante da parte del COGNOME nella realizzazione del tentativo di estorsione, fondata sull’inidoneità dell’isolata telefonata con cui il COGNOME ebbe a contattare il destinatario delle richieste formulate dall’COGNOME, a fronte delle puntual osservazioni della Corte territoriale (pagg. 11-13) circa il ruolo propulsivo del ricorrente e della notoria influenza che lo stesso aveva nelle decisioni aziendali.
3.1. Il secondo motivo è infondato.
Con l’atto di appello la difesa del ricorrente non aveva formulato alcuna censura riguardante l’omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche;
nel testo della decisone non si fa menzione di richieste in tal senso formulate nel corso dell’udienza, né con il ricorso viene specificato alcunché al riguardo.
In siffatta situazione processuale, si ritiene di dover dare seguito all’orientamento secondo il quale non può formare oggetto di censura in sede di legittimità, né quale violazione di legge, né come difetto di motivazione, il mancato esercizio del potere-dovere del giudice di appello di applicare d’ufficio una o più circostanze attenuanti ex art. 597, comma 5, cod. proc. pen., non accompagNOME da alcuna motivazione, essendo necessario che nell’atto di appello o almeno in sede di conclusioni del giudizio di appello, sia stata formulata «una richiesta specifica, con preciso riferimento a dati di fatto astrattamente idonei all’accoglimento della stessa, rispetto alla quale il giudice debba confrontarsi con la redazione di una puntuale motivazione» (Sez. 3, n. 10085 del 21/11/2019, dep. 2020, G., Rv. 279063 – 02; Sez. 5, n. 37569 del 08/07/2015, Tota, Rv. 264552 – 01).
Del tutto infondata l’analoga censura riguardante l’omesso riconoscimento del beneficio ex art. 163 cod. pen., avendo il giudice di primo grado concesso la sospensione condizionale della pena ad entrambi gli imputati; assolutamente generica la doglianza riguardante la motivazione del diniego della non menzione, giustificato in modo logico e congruo rispetto ai dati fattuali considerati.
3.2. Il terzo motivo è anch’esso generico, lamentando in modo confuso e assertivo l’insussistenza dei danni riconosciuti con la statuizione risarcitoria in favore delle parti civili (correttamente correlata al danno morale conseguente alla realizzazione della condotta estorsiva e dell’illecita diffusione di notizie pregiudizievoli per l’onore della società RAGIONE_SOCIALE).
Il rigetto dei ricorsi impone di verificare l’eventuale maturazione del termine massimo di prescrizione dei reati contestati; considerati i momenti di consumazione dei reati contestati più lontani nel tempo e tenuto conto delle pene edittali previste, per il delitto di tentata estorsione, sulla scorta del solo calcolo art. 157 e 161 cod. pen., il termine massimo maturerebbe il 30 luglio 2024; quanto al delitto di diffamazione, dovendosi considerare anche i periodi di sospensione del corso della prescrizione (per giorni 21 nel periodo di sospensione dovuto all’emergenza pandemica; per giorni 61 dal 28 giugno 2021 all’8 novembre 2021, per il legittimo impedimento dell’imputato COGNOME; per giorni 70 per il rinvio su richiesta della parte civile, con l’assenso dei difensori degli imputati), il termine massimo maturerebbe in data 29 febbraio 2024.
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali; inoltre, gli imputati vanno condannati al pagamento delle spese
di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili COGNOME NOME e COGNOME NOME, nelle rispettive qualità, nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili COGNOME NOME, in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME, in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, che liquida in complessivi euro quattromilacinquecento, oltre accessori di legge.
Così deciso il 10/11/2023