Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 3764 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 3764 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/04/2023 del G.u.p. del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14/04/2023, il G.u.p. del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, su richiesta delle parti ex art. 444 cod. proc. pen., applicava ad NOME COGNOME la pena di un anno e dieci mesi di reclusione per il reato di tentata estorsione continuata ai danni di NOME COGNOME.
Avverso l’indicata sentenza del 14/04/2023 del G.u.p. del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a un unico motivo, con il quale lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 444, comma 2, e 448, comma 2-bis, dello stesso codice, nonché degli artt. 81, 56 e 629 cod. pen.
Il ricorrente deduce che il G.u.p. del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere sarebbe incorso in un’erronea qualificazione giuridica del fatto con riguardo alla ritenuta sussistenza di una pluralità di tentativi di estorsione, unificati dal vincol
della continuazione, con la conseguente illegittima applicazione di un aumento di pena di nove mesi di reclusione ed C 300,00 di multa (ridotti poi per la scelta del rito a sei mesi di reclusione ed C 200,00 di multa).
Il ricorrente espone che, come risultava dal capo d’imputazione, le minacce per costringere la persona offesa a consegnargli la somma di C 400,00 costituente il corrispettivo di una vendita di droga erano state commesse a mezzo di messaggi telefonici minatori inviati in due giorni, il 03/11/2021 (tre messaggi consecutivi), e il 11/11/2021 (cinque messaggi consecutivi).
Tanto esposto, il ricorrente rappresenta che la ripetizione delle minacce da parte dell’estortore per costringere la vittima a consegnargli il denaro ingiustamente richiesto non integra, di per sé, una pluralità di reati, in quanto, a tale fine, sarebbe necessario accertare «se ci si trovi in presenza di una azione unica o meno, e ciò alla stregua del duplice criterio: finalistico e temporale», atteso che «azione unica non equivale ad atto unico, ben potendo la stessa essere composta da una molteplicità di “atti” che, in quanto diretti al conseguimento di un unico risultato, altro non sono che un frammento dell’azione . L’unicità del fine a sua volta non basta per imprimere all’azione un carattere unitario essendo necessaria, la così detta contestualità, vale a dire l’immediato succedersi dei singoli atti, sì da rendere l’azione unica».
Alla luce di ciò, ad avviso del ricorrente, nel caso in esame non sarebbe configurabile una pluralità di reati in continuazione «in quanto le due intimidazioni integrano segmenti della stessa condotta, finalizzata alla consegna della somma di C 400,00 originariamente richiesta», con la conseguenza che sarebbe, invece, configurabile un unico reato di tentata estorsione. Il COGNOME ribadisce che «gli ulteriori atti intimidatori non sono altro che frammenti di un’unica azione finalizzata all’ottenimento di quanto originariamente richiesto e non pagato».
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. L’unico motivo è manifestamente infondato.
In base al nuovo comma 2-bis dell’art. 448 cod. proc. pen., inserito dall’art. 1, comma 50, della legge 23 giugno 2017, n. 103, il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegali della pena o della misura di sicurezza.
Ciò posto, si deve ricordare che la Corte di cassazione ha costantemente affermato che, in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell’art. 448, comma 2-
bis, cod. proc. pen., l’erronea qualificazione giuridica del fatto contenuto in sentenza è limitata ai soli casi di errore manifesto – ossia ai casi in cui sussiste l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati -, il quale è configurabile quando detta qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilità, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo d’imputazione (Sez. 4, n. 13749 del 23/03/2022, NOME COGNOME, Rv. 28302301; Sez. 2, n. 14377 del 31/03/2021, COGNOME, Rv. 281116-01), dovendosi escludere l’ammissibilità dell’impugnazione che richiami, quale necessario passaggio logico del motivo di ricorso, aspetti in fatto e probatori che non risultino con immediatezza dalla contestazione (Sez. 6, n. 3108 del 08/01/2018, COGNOME, Rv. 272252-01) o che denunci errori valutativi in diritto che non risultino evidenti dalla stessa contestazione e dal testo del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 33145 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 279842-01; Sez. 6, n. 25617 del 25/06/2020, NOME COGNOME, Rv. 279573-01; Sez. 3, n. 23150 del 17/04/2019, NOME Zitouni, Rv. 275971-02).
Con riguardo tentativo di estorsione, e con specifico riferimento all’ipotesi in cui la violenza o la minaccia sia esercitata in forma mediata, a mezzo del telefono, la Corte di cassazione ha chiarito che il ripetersi delle telefonate minatorie da parte dell’estortore per costringere la vittima a consegnargli il danaro ingiustamente richiesto non dà luogo, di per sé, a una pluralità di reati, occorrendo prima accertare se ci si trovi in presenza di un’azione unica o meno, e ciò alla stregua del duplice criterio: finalistico e temporale. Azione unica, infatti, non equivale ad atto unico, ben potendo la stessa essere composta da una molteplicità di “atti” che, in quanto diretti al conseguimento di un unico risultato, altro non sono che un frammento dell’azione, una modalità esecutiva della condotta delittuosa. L’unicità del fine a sua volta non basta per imprimere all’azione un carattere unitario essendo necessaria la così detta contestualità, vale a dire l’immediato succedersi dei singoli atti, sì da rendere l’azione unica. Ne consegue che, in caso di estorsione tentata, i diversi conati posti in essere per procurarsi un ingiusto profitto costituiscono autonomi tentativi di reato, unificabili con il vincolo dell continuazione, quando singolarmente considerati in relazione alle circostanze del caso concreto e, in particolare, alle modalità di realizzazione e, soprattutto, all’elemento temporale, appaiono dotati di una propria completa individualità. Mentre si ha un solo tentativo di estorsione, pur in presenza di molteplici atti di minaccia, allorché gli stessi, alla stregua dei criteri sopra enunciati, costituiscono singoli momenti di un’unica azione (Sez. 6, n. 2070 del 10/11/1994, dep. 1995, Periodo, Rv. 200554-01. Successivamente, in senso analogo: Sez. 2, n. 7555 del 22/01/2015, COGNOME, Rv. 258543-01).
Tutto ciò rammentato, si deve rilevare che l’unico motivo di ricorso non evidenzia un errore manifesto che sarebbe stato commesso col qualificare gli atti di minaccia compiuti dal COGNOME a mezzo del telefono come una pluralità di azioni e, quindi, come autonomi tentativi di estorsione, unificati dal vincolo della continuazione – anziché come singoli momenti di un’unica azione -, nei termini di una qualificazione palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo d’imputazione, atteso che da questo risulta come al COGNOME fossero stati contestati atti di minaccia che non si succedettero immediatamente tra loro, ma che erano stati compiuti, tre il 03/11/2021 e altri cinque il 11/11/2021, con la conseguenza che non si può ritenere costituire un errore manifesto reputare, come ha fatto il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che, tenuto conto dell’elemento temporale, l’unicità del fine non bastasse per imprimere all’azione dell’imputato un carattere unitario, in assenza della cosiddetta contestualità, cioè dell’immediato succedersi dei singoli atti, tale da rendere l’azione unica.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 21/12/2023.