Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 3151 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 3151 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/12/2023
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a Bitonto il DATA_NASCITA, avverso la sentenza del 10/01/2023 della Corte di appello di Bari; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME; sentito il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; sentiti i difensori:
AVV_NOTAIO, per la parte civile COGNOME NOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso, depositando comparsa conclusionale e nota spese; AVV_NOTAIO, per il ricorrente, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Bari, parzialmente riformando la sentenza del Tribunale di Bari, emessa il 23 novembre 2021, ha confermato la responsabilità del ricorrente, condannandolo alla pena di giustizia ed al risarcimento del danno arrecato alla parte civile COGNOME NOME, in relazione al reato di tentata estorsione commesso con violenza e minaccia finalizzate ad ottenere dalla vittima la rimessione di una querela sporta nei confronti del di lei cugino COGNOME NOME, zio del ricorrente.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, deducendo:
vizio della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità.
La Corte avrebbe basato la condanna sulle dichiarazioni della persona offesa, senza valutarne l’attendibilità alla luce delle doglianze difensive volte a mettere in risalto contraddizioni ed illogicità del racconto.
In particolare, nell’atto di appello erano state prospettate censure relative alla prova della sussistenza del credito della persona offesa verso il COGNOME che aveva alimentato la querela nei confronti di quest’ultimo e ciò al fine di dimostrarne l’inattendibilità.
Non sarebbe stata considerata la diversa versione offerta dall’imputato a proposito dell’incontro del 26 marzo 2018 con la vittima, da costei ricostruito in termini estorsivi ed, invece, ricondotto dall’imputato all’intento di far desistere la persona offesa dal perpetrare minacce nei confronti del COGNOME.
Inoltre, la querela della vittima sarebbe stata sporta il 26 marzo 2018, così da rendere illogico che nella stessa data si fosse verificato l’incontro con modalità estorsive tra il ricorrente e la persona offesa;
violazione di legge in ordine alla qualificazione giuridica del fatto come estorsione anziché come esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
La Corte non avrebbe tenuto conto della circostanza che COGNOME era stato indagato per concorso nel reato commesso dall’imputato, sicché si doveva ritenere che quest’ultimo avesse agito su input del proprio zio ed a tutela delle sue ragioni, ritenendo che il COGNOME nulla dovesse alla persona offesa;
violazione di legge in ordine alla qualificazione giuridica del fatto come tentata estorsione anziché come tentata violenza privata.
Non vi sarebbe alcun profilo economico leso dall’azione eventualmente ascritta al ricorrente, consistente nel richiedere alla vittima di rimettere una querela.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1.11 ricorrente è stato condannato nei due gradi di merito con conforme decisione. La pacifica giurisprudenza di legittimità, ritiene che, in tal caso, le motivazioni del sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrino a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello, come nel caso in esame, abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Cass. pen., sez. 2^, n. 1309 del 22 novembre 1993, dep. 4 febbraio 1994, COGNOME ed altri, rv. 197250; sez. 3^, n. 13926 del 1 dicembre 2011, dep. 12 aprile 2012, NOME, rv. 252615).
Si osserva, ancora, che la doppia conformità della decisione di condanna dell’imputato, ha decisivo rilievo con riguardo ai limiti della deducibilità cassazione del vizio di travisamento della prova lamentato dal ricorrente.
E’ pacifico, infatti, nella giurisprudenza di legittimità, che tale vizio può esse dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta doppia conforme, sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute n motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (cosa non verificatasi nella specie), sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, COGNOME; Sez.4, n. 44765 del 22/10/2013, COGNOME).
1.1. La premessa si è resa necessaria in quanto la Corte, richiamando la sentenza di primo grado, ha attribuito credibilità al racconto della persona offesa sulla base di alcuni elementi di riscontro oggettivo, costituiti dal fatto che il figlio d vittima aveva confermato di avere accompagnato il padre all’incontro con l’imputato nel quale questi aveva proferito le minacce estorsive, rimanendo fuori ad aspettarlo; inoltre, i tabulati telefonici avevano dato dimostrazione del fatto che la persona offesa – la quale aveva anche saputo descrivere l’abitazione dell’imputato ove si era verificato l’incontro – era stata contattata dal ricorrent prima del riferito colloquio (cfr. fgg. 10 e 11 della sentenza di primo grado).
L’attendibilità delle dichiarazioni della vittima poggia, dunque, su dati esterni oggettivi che rendono immune da censure il giudizio di sua attendibilità, anche tenuto conto del fatto che il Tribunale e la Corte hanno escluso che la diversa
ricostruzione difensiva degli eventi avesse trovato un qualche valido elemento di riscontro.
Per il che, deve ancora ricordarsi il principio, ancora di recente ribadito, secondo cui, in tema di valutazione della prova testimoniale, l’attendibilità della persona offesa dal reato è questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo “id quod plerumque accidit”, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità (Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609).
Le dichiarazioni della persona offesa, ritenute attendibili dai giudici di merito quand’anche non assistite da riscontri esterni – in questo caso, peraltro, presenti, essendo stata richiamata una deposizione testimoniale di soggetto terzo – possono anche da sole sostenere il giudizio di condanna, secondo pacifici principi da lungo tempo affermati ed oramai consolidati nella giurisprudenza di legittimità, a partire da Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, secondo la quale, le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone.
1.2. Nessun travisamento di dati probatori – che peraltro avrebbe dovuto avere carattere macroscopico stante la doppia conformità del giudizio di condanna – è dato rinvenire nelle decisioni dei giudici di merito, neanche in ordine alla data della querela, che il Tribunale, come la Corte, hanno indicato in quella del giorno precedente (25.3.2018) all’incontro incriminato (fg. 3 della sentenza di primo grado), così da rendere ancora più credibile e logico il fatto che l’imputato, come sostenuto dalla sentenza impugnata, avesse appreso della querela e si fosse mosso a tutela del proprio zio COGNOME.
Quanto al secondo motivo, non vi è stata alcuna dimostrazione, neanche per bocca del ricorrente, del fatto che questi avesse agito su sollecitazione dello zio, tanto è vero che la sentenza di primo grado aveva annotato che l’imputato, peraltro, non sapeva neanche di chi fossero le ragioni o i torti, così ammettendo l’ipotesi che egli potesse avere agito non per tutelare una pretesa legittima (fg. 14 della sentenza del Tribunale).
L’assunto non è smentito ed è anzi confermato dal fatto che il procedimento non era confluito in una accusa in giudizio nei confronti del COGNOME quale correo del
ricorrente, il quale, pertanto, aveva agito come terzo estraneo al conflitto di interessi ipotizzato e senza combutta con il presunto creditore, il che esclude che si possa qualificare il fatto come esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
3. Del pari, la pretesa che la vittima avrebbe voluto tutelare attraverso la querela contro il COGNOME era di natura patrimoniale, sicché la condotta dell’imputato volta a reprimere tale iniziativa – anche attraverso la minaccia volta a rinunciare a qualunque pretesa – aveva la finalità economica che porta a ritenere sussistente il reato di estorsione invece di quello di violenza privata.
In proposito, si è affermato in giurisprudenza che integra il delitto di estorsione la minaccia o la violenza diretta a costringere la vittima a rinunciare ad una propria legittima aspettativa ed in tal caso il danno patrimoniale va inteso come danno futuro consistente nella perdita della possibilità di conseguire un vantaggio economico (Sez. 5. N. 18508 del 16/02/2017, Fulco, Rv. 270209).
Più di recente è stato stabilito che, in tema di estorsione, l’altrui danno, avendo necessariamente connotazione patrimoniale, comprende anche la desistenza dal tempestivo esercizio di un’azione giudiziaria finalizzata a tutelare un diritto o un interesse, posto che il patrimonio va inteso come un insieme non di beni materiali, ma di rapporti giuridici attivi e passivi aventi contenuto economico, unificati dalla legge in ragione dell’appartenenza al medesimo soggetto. (Fattispecie in cui il soggetto agente aveva rivolto minacce alla persona offesa per costringerla a non sporgere querela per una truffa subita e, quindi, a rinunciare all’esercizio del diritto alla ripetizione di quanto indebitamente corrisposto per effetto degli artifici e raggiri posti in essere in suo danno) (Sez. 2, n. 32083 del 12/05/2023, COGNOME Luca, Rv. 285002).
Tanto assorbe ogni altra considerazione difensiva.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME, che liquida in complessivi euro 3686,00 oltre accessori di legge.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 15.12.2023.