Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10201 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10201 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a SAN MARTINO VALLE CAUDINA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/05/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
Udito il difensore dei ricorrenti e letta la memoria depositata dallo stesso, AVV_NOTAIO, il quale ha insistito nei motivi di ricorso;
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 19 maggio 2023, confermava la sentenza di condanna di COGNOME NOME e COGNOME NOME per tentata estorsione, per avere minacciato e poi posto in essere azioni di disturbo nei confronti del costruttore NOME al fine di costringerlo a consegnare loro a titolo gratuito la proprietà di un immobile in cambio del loro silenzio su presunte irregolarità edilizie del predetto immobile.
1.1 Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il difensore degli imputati, eccependo che con memoria depositata il 26/11/2020 era stata chiesta la integrale rinnovazione del dibattimento ai sensi dell’art. 525 cod. proc. pen., essendo mutata la persona fisica del giudice, ma il giudice aveva rigettato la richiesta, disponendo solo la rinnovazione dell’esame della parte civile NOME NOME, con palese violazione degli artt.495 e 525 cod. proc. pen. non comprendendosi, peraltro, perché il Tribunale avesse limitato la rinnovazione ad un solo teste, portatore di un interesse in causa; sarebbe invece stato di interesse, ad esempio, ascoltare nuovamente il teste COGNOME, la cui deposizione era stata utilizzata in sentenza per confermare l’attendibilità della persona offesa; sulla eccezione vi era una assoluta mancanza di motivazione da pare della Corte di appello.
1.2 Il difensore lamenta la violazione dell’art. 178 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. per omessa valutazione delle ragioni della difesa esposte nella memoria difensiva depositata via pec in data 9/5/2023,, con la quale si chiedeva di accertare la veridicità di circostanze decisive per una corretta valutazione del gravame; in particolare, si era eccepito il manifesto errore di fatto in cui era incorso il giudice di primo grado, laddove aveva affermato che la minaccia posta in essere avrebbe riguardato una variante del permesso di costruire n. 52/20:12, l’assenza degli elementi costitutivi del delitto di estorsione, sia in relazione alla paventata minaccia, sia in relazione al danno prospettato, che sarebbe consistito nel contrasto alla realizzazione di un fabbricato abusivo, sia in relazione al vantaggio illecito; i giudici di appello avevano del tutto ignorato l’assenza di tale atto difensivo.
1.3 Il difensore rileva che la motivazione della sentenza di appello era solo apparente, contraddittoria ed illogica, in quanto i giudici del gravame avevano omesso di valutare le ragioni dell’appello ed il compendio probatorio, avendo affermato che le ragioni del gravame sarebbero state già affrontate e risolte dal giudice di primo grado e motivato il rigetto per relationem, così dando atto di non
aver voluto esaminare e valutare le specifiche ragioni delle censure esposte dalla difesa.
Nell’atto di appello, infatti, era stata eccepita l’erroneità della ricostruzio dei fatti compiuta dal giudice di primo grado, essendo dato accertato che, come dimostrato anche documentalmente, alla data degli incontri richiesti da NOME agli imputati, i coniugi COGNOME non avrebbero potuto opporsi -sia pure legittimamente- alla attività edificatoria posta in essere, perché con sentenza del Consiglio di Stato del 2/12/2013 il permesso di costruire n.52/2012 del 26/5/2012 (in virtù del quale la parte civile aveva iniziato a costruire l’immobile) era sta definitivamente annullato perché illegittimo, in quanto prevedeva altezze non consentite; paradossale era quindi l’affermazione della Corte di appello secondo cui l’esercizio del diritto riconosciuto ai due appellanti avrebbe comportato la caducazione del permesso di costruire concesso alla persona offesa.
Altro errore commesso dal Tribunale era stato ritenere assolutamente credibile la parte civile, il cui narrato sarebbe stato confermato dal teste COGNOME e dalla produzione documentale; la Corte di appello non aveva valutato le censure contenute degli appellanti, limitandosi a confermare la asserita credibilità di NOME con frasi di stile; la difesa aveva anche contestato la congruità del valore del danno subito da NOME, tramite una consulenza tecnica che indicava il valore della ipotetica mansarda, ma i giudici di merito avevano del tutto pretermesso la circostanza; ancora, si era ritenuto che dalla registrazione dei colloqui captati da NOME era emerso che COGNOME avrebbe chiesto l’attribuzione della mansarda a titolo gratuito, in contrasto con le trascrizioni della registrazione, ma anche sull relativa censura nulla aveva detto la Corte di appello.
Analoga censura doveva muoversi alla sentenza impugnata in ordine alla responsabilità di COGNOME NOMENOME visto che il giudice di primo grado si era limitat a sostenere che la richiesta di COGNOME fosse stata avanzata “anche per conto della moglie”, senza indicare quale atto, testimonianza o fatto connotasse la condotta attribuita all’imputata; la Corte di appello aveva ritenuto provato il suo coinvolgimento da colloqui intercorsi tra le parti definiti di carattere neutro dal stessa parte civile.
Il difensore lamenta che anche in relazione alla richiesta di una più giusta applicazione della sanzione, la risposta fornita dalla Corte di appello era stata inesistente, non essendo stato considerato che i ricorrenti si erano legittimamente opposti alla realizzazione di un fabbricato fornito di un permesso di costruire illecito
1.4 II difensore eccepisce che i giudici avevano omesso di valutare prove decisive per l’emissione di una giusta sentenza: la valenza intimidatoria della t GLYPH
minaccia di provocare la caducazione del permesso a costruire era inesistente, visto che quando le parti si erano incontrare il permesso era stato già annullato dal Consiglio di Stato; la frase incriminata doveva essere riportata per come trascritto dal perito e non aveva alcuna forza intimidatrice; non si era tenuto conto che tra le parti era in corso un tentativo di transazione che, per stessa ammissione di NOME, comportava l’esborso di una somma di denaro o “un eventuale sconto su una costruzione”; inesistente era l’elemento della sproporzione tra quanto richiesto -indicato in sentenza come una mansarda dal valore di 200.000,00 euroe quanto ottenibile legittimamente, dato mai indicato o quantificato dai giudicanti; pertanto, gli elementi costitutivi del delitto di tentata estorsione erano del tutto assenti e comunque inidonei a coartare la volontà altrui.
1.5 Il difensore depositava poi memoria nella quale osserva che, successivamente al deposito del ricorso introduttivo di questo giudizio, il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – sezione seconda – ha pronunciato, e pubblicato in data 6/11/2023, la sentenza n. 07697/2022 Reg. Ric. e n. 09556/23 Reg. Prov.Coll. con la quale si è concluso definitivamente il contenzipso amministrativo tra i ricorrenti, NOME COGNOME, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, qui costituito parte civile, e il Comune di Montesarchio.
La decisione attiene al giudizio di ottemperanza delle precedenti sentenze amministrative con le quali si annullava il permesso a costruire n.87/2014 utilizzato per la realizzazione del fabbricato oggetto delle controversie qui esaminate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1 Con riferimento al primo motivo di ricorso, premesso il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (n. 41736 del 30/05/2019, PG/Bajrami, Rv. 276754-02) secondo cui “l’intervenuto mutamento della composizione del giudice attribuisce alle parti il diritto di chiedere sia prove nuove sia, indicandone specificamente le ragioni, la rinnovazione di quelle già assunte dal diudice di originaria composizione, fermi restando i poteri di valutazione del giudice di cui agli artt. 190 e 495 cod. proc. pen. anche con riguardo alla non manifesta superfluità della rinnovazione stessa”, si deve rilevare che l’eccezione proposta nell’atto di appello sul punto era generica, non essendo state indicate in maniera specifica quali prove avrebbero dovuto essere rinnovate da parte del giudice di primo grado, essendosi limitati gli appellanti a ritenere che il tribunale avrebbe dovuto sentire “anche gli altri testi indicati che avrebbero potuto e dovuto
offrire un quadro completo ed esaustivo della vic:enda processuale”; correttamente, pertanto, la Corte di appello ha rilevato che la difesa non avesse fornito nuovi argomenti di prova in virtù dei quali sarebbe stato necessario provvedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
1.2 Relativamente alla omessa valutazione di memoria difensiva, la Corte di appello ha comunque risposto alle censure in essa contenute; si deve al riguardo osservare che con riguardo alla decisione in esame ci si trova dinanzi ad una c.d. “doppia conforme” e cioè doppia pronuncia di eguale segno per cui il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione della motivazione del provvedimento di secondo grado; il vizio di motivazione può infatti essere fatto valere solo nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione ha riformato quella di primo grado nei punti che in questa sede ci occupano, non potendo, nel caso di c.d. “doppia conforme”, :superarsi il limite del devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudic d’appello, per rispondere alle critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n. 19/10/2009, COGNOME, Rv. 243636; Sez. 1, n. 24667 del 15/6/2007, COGNOME, Rv. 237207; Sez. 2, n. 5223 del 24/1/2007, COGNOME, Rv 236130; Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258432).
Nel caso in esame, invece, il giudice di appello ha esaminato lo stesso materiale probatorio già sottoposto al tribunale e, dopo aver preso atto delle censure degli appellanti, è giunto, con riguardo alla posizione degli imputati, alla medesima conclusione della sentenza di primo grado.
In particolare, i giudici di merito hanno rilevato che la condotta minacciosa tenuta dagli imputati di avvalersi della giustizia amministrativa in modo da costringere la parte civile a cedere loro gratuitamente una mansarda era idonea a coartare la volontà del denunciante; sul punto, come si evince dalla sentenza di primo grado, l’attività estorsiva era stata sì posta in essere dopo la sentenza del Consiglio di Stato che aveva annullato il permesso di costruire, ma quando NOME aveva presentato una variante al progetto (che verrà poi annullata dal TAR e dal Consiglio di Stato nel 2018), quando la frase detta da COGNOME e riportata a pag. 4 della sentenza di primo grado (“se ci dal la mansarda a noi chiudiamo due occhi e tu vai avanti…”) era idonea a costituire una minaccia nel senso previsto dall’art. 629 cod. pen., posto che in tema di estorsione, una pretesa contrattuale è contra ius ed integra il reato quando l’agente,, pur avvalendosi di
mezzi giuridici legittimi, li utilizzi per conseguire vantaggi estranei al rapporto giuridico controverso, perché non dovuti nell’an o nel quantum o perché finalizzati a scopi diversi o non consentiti rispetto a quelli per cui il diri:to è riconosciuto o tutelato, e quindi per realizzare un profitto ingiusto (vedi Sez. 2, n. 34242 del 11/07/2018, COGNOME e altri, Rv. 273542).
Quanto alla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, il collegio condivide la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che in tal caso deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello a cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone.
Peraltro questa Corte, anche quando prende in considerazione la possibilità di valutare l’attendibilità estrinseca della testimonianza dell’offeso attraverso la individuazione di precisi riscontri, si esprime in termini di “opportunità” e non di “necessità”, lasciando al giudice dì merito un ampio margine di apprezzamento circa le modalità di controllo della attendibilità nel caso concreto; inoltre, costituisce principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione che la valutazione della attendibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (ex plurimis Sez. 6, n. 27322 del 2008, COGNOME, cit.; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, COGNOME, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004, dep. 2005, Zamberlan’ Rv. 230899; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, COGNOME, Rv.NUMERO_DOCUMENTO).
Contraddizioni che non si rinvengono nel caso in esame, nel quale la Corte di appello ha fornito congrua motivazione della attendibilità del racconto della persona offesa, evidenziando che lo stesso risulta riscontrato dalla conversazione registrata dalla stessa (trascritta ad opera del perito) e dalle dichiarazioni del teste COGNOME; sul primo aspetto, il motivo di ricorso propone una diversa valutazione delle risultanze processuali, operazione non consentita in sede di legittimità; si deve poi rilevare che l’eccezione sul valore della mansarda non era stata proposta in appello, con conseguente inammissibilità della stessa.
Sulla responsabilità della COGNOME vi è motivazione congrua e coerente con le risultanze processuali a pag.8 della sentenza impugnata, motivazione con la quale il motivo di ricorso non si confronta assolutamente; del tutto generico è il motivo
sulla pena, che è stata comunque contenuta dal giudice di primo grado in misura prossima al minimo edittale; sul punto si deve ribadire che nel caso in cui venga irrogata una pena prossima al minimo edittale, l’obbligo di motivazione del giudice si attenua, talchè è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen..(vedi sez. 2, sentenza n. 28852 del 08/05/2013 COGNOME e altro, Rv.256464; Sez. 2, sentenza n. 36104 del 27/04/2017, Mastro e altro, Rv.271243).
1.4 L’ultimo motivo di ricorso contiene censure già esposte nei precedenti motivi; sul punto si deve ribadire che secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte nel giudizio di legittimità rimane comunque esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (vedi Sez.6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 11/02/2021, F., Rv. 280601); quanto, infine, alla sentenza prodotta con la memoria difensiva, la stessa è del tutto irrilevante, fermo restando che nel giudizio di cassazione non possono essere introdotti elementi relativi al merito sopravvenuti rispetto alla decisione impugnata.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, le parti private che li hanno proposti, devono essere condannate al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di C 3.000,00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cass delle ammende.
Così deciso il 13/02/2024