Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 15099 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 15099 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data Udienza: 17/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato il 03/11/1966 a Lamezia Terme COGNOME NOMECOGNOME nato il 19/07/1968 in Australia
avverso la sentenza dell’11/04/2024 della Corte di appello di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla Consigliera NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare i ricorsi inammissibili.
RITENUTO IN FATTO
1.A seguito di annullamento con rinvio pronunziato da questa Corte di Cassazione, Sezione Seconda, in data 6 giugno 2023, la Corte di Appello di Catanzaro, con la sentenza indicata in epigrafe, ha riformato quella del Tribunale di Lamezia Terme del 18 marzo 2008 limitatamente al trattamento sanzionatorio, prendendo atto per Concetto Trovato dell’avvenuta estinzione per prescrizione del
reato di cui al capo F) – tentata violenza privata -, ed escludendo la recidiva per NOME COGNOME.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso gli imputati, a mezzo dei loro difensori, deducendo i seguenti motivi di ricorso.
3. Ricorso di Concetto Trovato.
Violazione di legge e vizio dì motivazione in quanto la sentenza impugnata, nell’affermare il giudizio di responsabilità del ricorrente per il delitto di ten estorsione, non ha compiutamente analizzato gli elementi di fatto addotti dalla difesa, come il contratto di lavoro con la persona offesa, NOME COGNOME ma, soprattutto, le dichiarazioni di NOME COGNOME rese in sede di indagini difensive, che avevano smentito quelle accusatorie di NOME COGNOME e della madre NOME COGNOME tali da comprovare la liceità del rapporto tra le parti, estraneo alla decurtazione del prestito usurario, anche perché ampiamente concluso, come confermato dallo stesso NOME COGNOME e, al più, riferibile alla restituzione del solo capitale.
Con successiva memoria difensiva, che ha ripreso ed approfondito il contenuto del ricorso, sono stati contestati gli argomenti contenuti nella requisitoria de Procuratore generale ed è stato rilevato che per capovolgere la sentenza assolutoria sarebbe stata necessaria la rinnovazione di tutte le prove dichiarative alla luce del contrasto tra queste, soprattutto in relazione alla presenza di COGNOME unico soggetto terzo, al momento in cui erano state pronunciate le frasi asseritamente minatorie. Inoltre, non risulta esservi stata la doverosa motivazione rafforzata visto il deposito del contratto tra le parti, le dichiarazioni di NOME COGNOME ed i tempi di esecuzione dei lavori.
Ricorso di NOME COGNOME.
4.1. Violazione di legge per intervenuta prescrizione del delitto di usura di cui al capo C) a febbraio 2018, dunque prima dell’emissione della sentenza impugnata.
4.2. Violazione di legge in ordine al trattamento sanzionatorio, attesa l’applicazione di una pena base di sei anni di reclusione, anziché del minimo edittale, con l’aumento di un anno di reclusione per effetto della continuazione con il delitto di usura in assenza di motivazione.
Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, ai sensi dell’a 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, convertito dalla I. n. 176 del 2020, per come prorogato.
«
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi sono inammissibili.
2.Va premesso che con sentenza del 18 marzo 2008 il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Lamezia Terme, nell’ambito di un processo più ampio, aveva condannato diversi imputati, tra i quali gli odierni ricorrenti, per i reati di usura, tentata estorsione e tentata violenza privata.
La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza emessa il 13 marzo 2009, aveva assolto tutti gli imputati per insussistenza del fatto , dichiarando l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalle parti offese NOME COGNOME e NOME COGNOMEe la relativa pronuncia veniva annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione con sentenza del 1 ottobre 2010.
Ne seguiva un altro giudizio di appello che si concludeva con la conferma della condanna di primo grado annullata dalla Corte di Cassazione con sentenza del 30 maggio 2018 senza rinvio nei confronti di NOME COGNOME per intervenuta prescrizione del delitto di tentata violenza privata ai danni di NOME COGNOME per costringerlo a non denunciare il rapporto usurario con il ricorrente (capo F), con rinvio sia nei confronti del COGNOME in ordine al delitto di tentata estorsione aggravata, commessa ai danni di NOME COGNOME per il mancato pagamento del debito usurario con lui contratto (capo G), sia nei confronti di NOME COGNOME in relazione alla recidiva.
Giudicando, per la seconda volta, in sede di rinvio la Corte di appello di Catanzaro con sentenza del 10 febbraio 2022 assolveva Trovato dal delitto di cui al capo G) per insussistenza del fatto, rideterminava la pena in ragione dell’estinzione del reato sub F) per prescrizione, escludeva la recidiva nei confronti di NOME COGNOME rideterminando la pena e sostituendo per entrambi l’interdizione perpetua dai pubblici uffici con l’interdizione per la durata di 5 anni.
La sentenza impugnata è stata emessa all’esito del terzo annullamento con rinvio della Corte di cassazione, avvenuto con la sentenza della Seconda Sezione, n. 40333 del 6 giugno 2023, su ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Catanzaro sia con riferimento all’assoluzione di COGNOME che con riferimento all’esclusione della recidiva per COGNOME.
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile perché sollecita una inammissibile valutazione alternativa del significato delle emergenze processuali rispetto a quella operata dalla sentenza impugnata.
La Corte di appello, con motivazione completa e logicamente non censurabile, dopo avere dato atto che la tentata estorsione oggetto di esame si inserisce nell’ambito della condotta usuraria ai danni di NOME COGNOME (capo E) per la quale Trovato è stato condannato in via definitiva, ha chiarito come le dichiarazioni rese in primo grado dalla persona offesa e dalla figlia, NOME COGNOME, riportate per esteso (pagg.12 e 13), tra loro convergenti e attendibili, avessero confermato la fondatezza dell’ipotesi accusatoria.
In particolare, era risultato che NOME COGNOME in più occasioni avesse preteso l’esecuzione di lavori presso la sua abitazione, da parte di COGNOME, come corrispettivo del prestito usurario e il 4 gennaio 2007 si fosse presentato personalmente sotto casa del debitore, per insistere affinché vi provvedesse. Nell’occasione era presente NOME COGNOME, dipendente di COGNOME, che lo aveva rassicurato circa la loro rapida esecuzione, ma COGNOME aveva comunque pronunciato vere e proprie minacce («sono capace di aspettarli fuori il cancello di casa, prima o poi devono uscire da questa casa appena l’incontro riscatto…. Io li aspetto qua, dietro le sbarre, tanto ci sono abituato io dietro le sbarre….. io no ho paura né della polizia, né della finanza né dei carabinieri perché gli ho dato cash») ascoltate dalla moglie e dalla figlia di NOME COGNOME, che si trovavano dentro casa, tramite il videocitofono.
La Corte di merito, con argomenti logici e coerenti, ha ritenuto di ravvisare gli estremi del tentativo di estorsione alla luce di un articolato percorso motivazionale in cui ha spiegato le ragioni per cui le dichiarazioni minimizzanti rese da NOME COGNOME in sede di indagini difensive (per cui Trovato era solo «visibilmente alterato») non fossero dirimenti a fronte sia delle modalità del fatto, lette nel loro unitarietà, come l’essersi recato l’usuraio sotto casa della vittima, sia d precedenti analoghe imposizioni cui NOME COGNOME aveva dovuto accondiscendere, sia delle tre testimonianze convergenti della persona offesa, della moglie e della figlia circa la finalità delle minacce di ottenere, dal debito usurato, l’esecuzione di lavori, ricordandogli il prestito ricevuto (pag. 14).
A fronte di detti puntuali argomenti, il ricorrente solo formalmente ha indicato vizi della motivazione della decisione impugnata non avendo prospettato alcuna reale contraddizione logica o incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione. Infatti, si è limitato a sostenere che la Corte di appe avesse erroneamente attribuito maggiore credibilità alla testimonianza delle persone offese piuttosto che alle dichiarazioni rese in sede di indagini difensive da
NOME COGNOME e prospettando irrilevanti e parcellizzate questioni sulla tempistica tra restituzione del debito e lavori imposti.
Altrettanto inammissibili sono le censure difensive relative alla doverosità della rinnovazione del dibattimento in appello, con riferimento a tutte le prove dichiarative, e alla necessaria motivazione rafforzata in quanto non considerano che non vi è stato alcun “ribaltamento” tale da legittimarle, atteso che la sentenza di primo grado aveva condannato il ricorrente.
4.Ricorso di NOME COGNOME
4.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
Sebbene la sentenza impugnata abbia escluso la recidiva contestata al ricorrente, non può dirsi maturata la prescrizione perché il reato di usura aggravata è stato commesso «dal mese di agosto del 2005 al mese di giugno 2006» (capo C) e il reato di estorsione aggravata continuata «fino a giugno 2006» (capo D), dunque entrambi i delitti si sono consumati successivamente alla legge n. 251 del 2005, entrata in vigore 1’8 dicembre 2005, che ha ampliato i termini di prescrizione.
Peraltro, con specifico riferimento al reato di usura si richiama il consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale «Il delitto di usura si configura come reato a condotta frazionata o a consumazione prolungata, sicché i pagamenti o i comportamenti compiuti in esecuzione del patto usurario, non costituiscono un “post factum” non punibile i ma segnano il momento consumativo del reato da cui computare il termine di prescrizione» (tra le tante, Sez. 2, n. 35878 del 23/09/2020, Bianchi, Rv.280313).
4.2. Il secondo motivo di ricorso, relativo al trattamento sanzionatorio, è aspecifico.
La sentenza di primo grado, a pagina 71, ha ritenuto di valorizzare la gravità della condotta del ricorrente e l’intensità del dolo, di per sé tali da non consentire di quantificare la pena nei minimi edittali, menzionando i diversi e specifici precedenti penali del ricorrente.
La sentenza della Corte di appello ha confermato la medesima pena-base del Tribunale, stabilendo un aumento minore per la continuazione, così facendo propri i medesimi argomenti del giudice di primo grado nel pieno rispetto dell’esercizio della propria discrezionalità criticato in modo apodittico dal ricorrente.
Alla stregua di tali rilievi i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili e i ricorrenti vanno condannati, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 17 marzo 2025
La Consigliera estensora
La Presidente