Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 21887 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 21887 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il 28/08/1978
avverso l’ordinanza del 10/01/2025 del TRIB. LIBERTA’ di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, nella persona del Sos Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Roma, in sede di riesame provvedimenti impositivi di misure cautelari personali, ha confermato l’ordinan del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, emessa il dicembre 2024, che aveva applicato al ricorrente la custodia cautelare in car in relazione al reato di tentata estorsione aggravata dall’uso del metodo maf delitto commesso nei confronti COGNOME NOME, al quale era stata chi una somma di danaro di 1400 euro non riferentesi ad alcuna pretesa lecita.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME deducendo:
1) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla qualificazione giuridica del fatto come tentativo di estorsione anziché come tentativo di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Il ricorrente sostiene di aver provato documentalmente, attraverso la produzione di un contratto tra la sua impresa edile ed una committente, che egli si era recato presso l’esercizio commerciale del Caldarella al solo scopo di farsi restituire l’acconto di euro 700,00 da lui versato mesi addietro per l’acquisto di materiale elettrico. In seguito al rifiuto della persona offesa di restituire l’accont ricorrente si sarebbe adirato ed avrebbe usato violenza nei confronti della vittima. Le risultanze investigative non avrebbero provato, se non attraverso le sole dichiarazioni della vittima, non confortate da altri elementi esterni, che i ricorrente, durante l’accesa discussione venutasi a creare in seguito al rifiuto del COGNOME di restituire l’acconto, avesse preteso 1400 euro;
violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante dell’uso del metodo mafioso.
Il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto la presenza, nella zona del lido di Ostia, ove si era verificato il fatto, di una compagine camorristica rappresentata dalla famiglia COGNOME, pur in assenza di qualunque accertamento irrevocabile in ordine a tale circostanza.
Che il ricorrente avesse vantato l’appartenenza a tale famiglia, al fine di incutere ancora maggior timore nella vittima, è un dato che l’ordinanza impugnata ha ritenuto sulla base delle sole dichiarazioni della vittima, anche in questo caso rimaste prive di riscontri, non essendo state raccolte dichiarazioni di astanti presenti all’esterno del negozio i quali, secondo la persona offesa, avevano assistito ad una parte della conversazione animata tra il ricorrente e la persona offesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi non consentiti e, comunque, manifestamente infondati.
Quanto al primo motivo, deve ricordarsi il principio, ancora di recente ribadito, secondo cui, in tema di valutazione della prova testimoniale, l’attendibilità della persona offesa dal reato è questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo “id quod plerumque accidit”, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che
risulti priva di una pur minima plausibilità (Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609).
Le dichiarazioni della persona offesa, ritenute attendibili dai giudici di merito quand’anche non assistite da riscontri esterni – in questo caso, peraltro, presenti, essendo state richiamate dichiarazioni di soggetto terzo, quale la moglie della vittima – possono anche da sole sostenere il giudizio di condanna, secondo pacifici principi da lungo tempo affermati ed oramai consolidati nella giurisprudenza di legittimità, a partire da Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, secondo la quale, le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del s racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone.
Tanto premesso in punto di diritto, il Tribunale ha ampiamente svolto il giudizio di attendibilità intrinseca ed estrinseca delle dichiarazioni della persona offesa COGNOME COGNOME ritenendole credibili in ragione della presenza di riscontri esterni costituiti dal referto medico attestante le lesioni subite per mano del ricorrente e dalle dichiarazioni del coniuge COGNOME NOMECOGNOME specialmente in relazione alla circostanza che le modalità del suo intervento estemporaneo alla discussione tra l’indagato ed il marito, cui era susseguito l’arrivo delle forze dell’ordine alle quali erano stati riferiti i fatti nell’immediatezza, scongiurav pericolo che i due congiunti avessero potuto artatamente confezionare le accuse ai danni del ricorrente, circostanza del tutto taciuta nel ricorso.
Pertanto, il Tribunale, sulla base di tali osservazioni – che relegano al merito del giudizio, non rivedibile in questa sede, ogni diversa argomentazione difensiva ha ritenuto credibile il racconto della vittima anche nella parte in cui aveva precisato che il ricorrente, preso dall’ira, le aveva chiesto non solo la restituzione dei 700 euro che riteneva a lui dovuti, ma anche di una ulteriore somma pari al doppio, certamente non legata ad alcuna pretesa patrimoniale giuridicamente tutelabile dall’ordinamento in quanto riveniente da un preteso diritto e, per questo, ingiusta; con consequenziale corretta qualificazione giuridica del fatto in termini di tentata estorsione.
Quanto al secondo motivo di ricorso e per le stesse ragioni espresse in punto di diritto in relazione al primo motivo, il Tribunale ha ritenuto attendibile racconto della persona offesa, corroborato da quello del di lei coniuge, anche nella parte in cui era stato affermato da entrambi che il ricorrente aveva rivendicato la sua appartenenza ad una famiglia di stampo camorristico omonima e radicata
nella zona di riferimento, nota alle investigazioni dell’autorità giudiziaria dell quali pure il Tribunale ha dato conto.
Di tanto, la vittima aveva avuto piena contezza al punto da chiedere al ricorrente se lo stesse minacciando da camorrista, a dimostrazione della maggiore efficacia
di intimidazione del riferimento operato dal ricorrente, che radica la sussistenza dell’aggravante.
Sul punto, non vale sostenere che non sia stata accertata con sentenza irrevocabile l’esistenza di una compagine camorristica distinta dal nome COGNOME,
dal momento che, come è noto, per la configurabilità dell’aggravante dell’utilizzazione del “metodo mafioso”, prevista dall’art. 7 d.l. 13 maggio 1991,
n. 152 (conv. in legge 12 luglio 1991, n. 203 – oggi art. 416-bis.l. cod.pen.-), non è necessario che sia stata dimostrata o contestata l’esistenza di
un’associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia assumano veste tipicamente mafiosa (tra le tante, Sez. 5, n. 21530 del
08/02/2018, COGNOME, Rv. 273025).
Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter disp.att.cod.proc.pen..
Così deciso, il 09/04/2025.