Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 2616 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 2616 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/10/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
NOME nato a Trento il 16 maggio 1975
avverso la sentenza resa il 15 dicembre 2023 dalla Corte di appello di Napoli
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che non è stata richiesta dalle parti la trattazione orale e che, conseguentemente, il procedimento viene trattato con contraddittorio scritto;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. lette le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME che ha insistito nei motivi di ricorso, censurando le considerazioni della pubblica accusa.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Venezia ha confermato la sentenza resa dal GIP del Tribunale di Vicenza il 15 Marzo 23 con cui COGNOME NOME è stato dichiarato responsabile dei reati di tentata estorsione, di molestie e di diffamazione in danno dei membri del consiglio di amministrazione della società RAGIONE_SOCIALE, sua ex datrice di lavoro.
Si addebita all’imputato di avere, tramite una lettera raccomandata recapitata il 24/1/2020 presso la sede dell’azienda e contenente minacce esplicite a tutti gli amministratori della società, tentato di costringerli a consegnare la somma di 5.000 C, prospettando in caso di mancato adempimento l’intervento di criminali serbi e la diffusione ad organi di stampa e alle autorità di Polizia di presunti illeciti ambientali commessi dalla società stessa; di avere formulato gravi minacce con altra missiva del 13 agosto 2020; di avere molestato l’amministratore NOME COGNOME con invio di messaggi telefonici, Sms e Whatsapp contenenti insulti nell’ottobre 2020; di avere diffamato la società, denigrandola sulla pagina ufficiale di Linkedin dell’azienda e attraverso missive indirizzate alle Autorità locali con poteri di controllo e vigilanza sul s operato, ad alcuni dipendenti e all’Ufficio risorse umane della struttura, nonché ai legali esterni della società.
2.Avverso detta sentenza propone ricorso l’imputato, deducendo:
2.1 Violazione degli articoli 629 e 49 cod. pen. poiché la Corte ha respinto il motivo di appello con cui era stata dedotta l’inidoneità degli atti ascritti a COGNOME ad integrare il rea estorsione, sia pure in forma tentata.
Il giudice di appello avrebbe dovuto valutare ex ante se le minacce prospettate dal COGNOME nelle raccomandate del 24 gennaio e del 13 agosto 2020 fossero in grado di intimidire e di coartare la volontà dei destinatari, in quanto si riferivano all’intervento di un gruppo armato d serbi e alla possibilità di provocare attraverso denunzie e segnalazioni agli organi competenti processi penali e conseguenze pregiudizievoli a carico della RAGIONE_SOCIALE per non avere svolto determinate operazioni di bonifica. I destinatari erano consapevoli del carattere inconsistente delle minacce ricevute tanto che non avevano assunto alcun provvedimento a seguito della loro ricezione della raccomandata e avevano presentato denunzia solo nel settembre 2020.
2.2 Contraddittorietà della motivazione in ordine alla responsabilità di COGNOME per il reat di molestie contestato al capo 2, poiché il collegio di appello, aderendo alle argomentazioni fornite sul punto dal Tribunale, da un lato ha escluso che potessero essere ricondotte nell’alveo delle molestie le email inviate da COGNOME ai membri del consiglio di amministrazione , ma dall’altro le ha valorizzate come l’apice della protratta condotta molesta.
Questa motivazione omette di confrontarsi con le doglianze difensive, con cui si era evidenziata l’incoerenza logica di tale argomentare che, da un lato, nel rispetto della giurisprudenza in tema, ha escluso che le email integrino il reato di molestie e, dall’altro, ha affermato che le stesse contribuiscono ad accentuare il carattere molesto dei messaggi sul
telefono. Una volta escluso il rilievo penale delle predette mail, il giudice avrebbe dovuto prescindere da ogni loro valutazione nell’affermazione della responsabilità dell’imputato.
2.3 Omessa motivazione in ordine al tempus commissi delicti del reato di molestie, poiché la difesa aveva evidenziato che la contravvenzione ha carattere istantaneo, mentre era stata contestata con permanenza in corso e la Corte ha ritenuto infondata l’eccezione, osservando che il primo giudice aveva chiaramente indicato in motivazione le date in cui i messaggi erano stati inviati, nei giorni 17,18, 23 e 29 ottobre 2020, con la conseguenza che nessuna prerogativa difensiva è stata pregiudicata.
Così facendo la Corte non ha risposto alla censura relativa all’errata formulazione del capo di imputazione e si è limitata a indicare quali fossero i messaggi ritenuti rilevanti dal giudice primo grado, sulla base di una lettura arbitraria e superficiale della sentenza di primo grado.
2.4 Violazione di legge in relazione al reato di diffamazione contestato al capo 3 della rubrica poiché la Corte d’appello ha riconosciuto che manca in atti la prova documentale che attesti l’effettivo invio delle email diffamatorie che l’imputato aveva dichiarato di volere invi ma, in assenza di prova dell’effettivo invio alle autorità ispettive, il giudice ha ritenuto di pot desumere dal contenuto delle mail inviata da COGNOME a NOME COGNOME il 19 Aprile 2020 contenente l’elenco degli indirizzi delle predette autorità ispettive; si tratta di elementi di sospe neppure indiziari che non possono fondare il giudizio di responsabilità.
2.5 Violazione di legge per mancanza di motivazione con riferimento al tempus commissi delicti del reato di diffamazione, poiché detto reato è stato contestato come permanente sebbene si tratti di un reato istantaneo e, pur essendo addebitato nella forma consumata, si fa riferimento nell’imputazione ad atti idonei diretti in modo non equivoco alla sua consumazione, utilizzando un’espressione propria del tentativo.
La Corte di appello ha ritenuto infondate le predette censure affermando che il GIP aveva preso in considerazione le mail riportate per esteso nel capo di imputazione.
2.6 Violazione di legge con riferimento al riconoscimento del risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili poiché il collegio di appello ha confermato la statuizione GIP del Tribunale, sebbene le parti non abbiano assolto al prescritto onere di allegazione e di prova del danno asseritamente patito in conseguenza dei reati ascritti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato solo nei limiti che verranno esposti.
1.1 II primo motivo è manifestamente infondato poiché i giudici di merito hanno concordemente ritenuto con argomentazioni non manifestamente illogiche che le minacce formulate nelle missive inviate dal COGNOME fossero idonee, in forza di un giudizio ex ante, a coartare la volontà dei suoi destinatari e ad intimorirli, costituendo il mezzo per realizzare tentativo di estorsione contestato. Anche il riferimento al paventato intervento di personaggi serbi non è inverosimile, considerata la notoria presenza anche nel nostro territorio di bande organizzate e composte anche da stranieri, dedite alla commissione di reati, che potrebbero in teoria agire contro la persona su commissione e dietro compenso.
Ma ancora più cogente risulta la minaccia di denunziare presunti abusi posti in essere dalla società, poiché, anche se calunniose, tali accuse avrebbero potuto esporre l’azienda a conseguenze pregiudizievoli anche per la propria reputazione, con ricadute economiche significative.
I giudici di merito hanno esplicitato l’iter logico che consente di attribuire con certezza, forza di una messe di elementi indiziari concordanti e precisi, la paternità delle due missive al COGNOME, nonostante le stesse siano state inviate da indirizzi non identificati.
1.2 Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato poiché la Corte di merito ha fatto corretta applicazione della giurisprudenza di legittimità in ordine all’elemento materiale del reato di molestie, che non può essere integrato da ennail, ma nel contempo ha osservato che l’effetto disturbante dei messaggi telefonici inviati, che ha integrato la condotta contestata è stato comunque amplificato dal contesto generale in cui gli stessi si sono inseriti, caratterizzato da una messe di email a contenuto ingiurioso inviate dall’imputato in quel periodo.
In detto ragionamento non ricorre alcuna contraddizione logica, poiché l’invio delle mali ai diversi membri del consiglio di amministrazione viene preso in considerazione non ai fini penali, ma solo per meglio descrivere il contesto molto disturbante in cui si inseriva la condotta penalmente rilevante, costituita dai reiterati messaggi telefonici, la cui efficacia molest risultava aumentata.
1.3 Il terzo motivo è manifestamente infondato poiché, anche se l’imputazione del reato di molestie indica erroneamente come tempus commissi delicti “dal 2019 con permanenza in corso”, la Corte ha osservato che il GUP in sentenza non si era attenuto a detta contestazione, ma aveva preso in considerazione e fatto esclusivo riferimento ai messaggi telefonici inviati al Rossi nell’ottobre 2020, sicchè non si era verificata alcuna violazione del diritto di difesa e alcu pregiudizio per l’imputato, che ha avuto modo di difendersi in relazione a fatti ben più circoscritt rispetto alle contestazioni. Detta censura risulta poi tardiva e priva di rilievo, se considerata, ipotesi, come attinente alla regolarità del capo d’imputazione, stante anche la scelta del rito abbreviato che preclude eventuali eccezioni di nullità.
1.4 Il quarto motivo è fondato. Va rilevato che l’addebito di diffamazione è articolato su diverse condotte, tra cui anche un commento a carattere diffamatorio inviato sul sito ufficiale
dell’azienda su Linkedin e diverse missive inviate a colleghi dell’imputato e legali esterni dell società; condotte rispetto alle quali la difesa non ha avanzato censure.
Ma in relazione alla specifica contestazione di avere inviato mail dal contenuto diffamatorio ad alcuni organi di vigilanza, la risposta offerta dalla Corte non è condivisibile in quanto si bas su congetture, poiché non è provato che l’imputato abbia inviato le missive diffamatorie in questione e questa circostanza non può essere desunta presuntivamente da una sua precedente dichiarazione di intenti, in assenza di prova specifica di tale invio.
Si rende pertanto necessario annullare l’affermazione di responsabilità limitatamente ad una porzione della condotta diffamatoria, perché il fatto non sussiste, e rimodulare di conseguenza il trattamento sanzionatorio, riducendo in proporzione l’aumento sanzionatorio stabilito unitariamente per detto reato satellite di diffamazione, sulla pena base determinata in relazione al più grave tentativo di estorsione.
Considerate le altre condotte contestate nell’unico capo d’imputazione relativo al reato continuato di diffamazione, si ritiene congruo rideterminare la pena in misura pari ad un terzo di quella già applicata. L’aumento sanzionatorio ex art. 81 cod.pen. per tutte le condotte diffamatorie ascritte al COGNOME era stato determinato in quattro mesi di reclusione, per cui va esclusa la pena di 45 giorni, poi ridotta per il rito ad un mese di reclusione. Conseguentemente la pena per le residue condotte di diffamazione va rideterminata nella misura di un mese e venti giorni di reclusione, già ridotta per il rito.
La quinta censura, relativa al tempus commíssí delícti del reato di diffamazione, risulta in parte assorbita dall’accoglimento del quarto motivo, limitatamente alle condotte per le quali la sentenza è stata annullata, e in parte è manifestamente infondata. Ed infatti le residue condotte diffamatorie sono state indicate con precisione nel capo d’imputazione e la Corte di merito ha spiegato che il delitto si è consumato nelle date in cui sono state inviate le mail, sicchè non è stata pregiudicata alcuna prerogativa difensiva, essendo stato correttamente individuato il tempus delle condotte penalmente rilevanti.
Non va peraltro trascurato che dalla pronunzia emerge che ancora in data 13/6/2021, mentre si celebrava il giudizio, l’imputato continuava ad inviare nnail a contenuto diffamatorio, a riprova della pervicacia con cui ha insistito nel reiterare la condotta illecita.
1.6 n sesto motivo è in parte manifestamente infondato poiché la Corte nel determinare l’entità del danno cagionato alle parti civili ha correttamente valorizzato le peculiari modalit con cui la condotta si è manifestata e la reiterazione delle condotte diffamatorie e minacciose in un ampio arco di tempo, non potendosi dubitare che le stesse abbiano cagionato alle parti civili costituite un consistente pregiudizio, che è stato congruamente liquidato nella misura di euro 3000 per ciascuna di esse.
1.6.1 La intervenuta assoluzione da una frazione dalla condotta diffamatoria comporta, tuttavia, la necessità di una rinnodulazione dell’entità della somma liquidata in favore delle part civili nella misura precisata in dispositivo, nel rispetto dei criteri di equità e valutata l’inci
del fatto reato oggetto di assoluzione COGNOME causazione del complessivo danno riportato dalle parti civili.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente al reato di cui all’art.595 cod.pen. limitatamente all’episodio dell’invio di missive indirizzate ad Autorità ispettive local perché il fatto non sussiste, eliminando il relativo aumento di pena in continuazione ( tenuto conto della riduzione del rito) nella misura di mesi uno di reclusione e relativamente alle statuizioni civili, che ridetermina nella misura di euro 2500 per ciascuna delle parti civi costituite.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Roma 22 ottobre 2024