Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 5889 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2   Num. 5889  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/01/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Vibo Valentia il DATA_NASCITA avverso la sentenza resa il 15 dicembre 2022 dalla CORTE di Assise di appello di Catanzaro
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di assise di appello di Catanzaro, parzialmente riformando la sentenza resa il 12 Aprile 2022 dalla Corte di assise di Catanzaro, ha confermato il giudizio di colpevolezza nei confronti di NOME COGNOME in ordine al delitto di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso, così diversamente qualificato la condotta di cui all’art. 630 cod.pen. a lui ascritta in rubrica, e rideterminato la pena inflitta in anni due mesi otto di reclusione e 1.067 euro di multa. Si addebita all’imputato di avere tentato di costringere NOME COGNOME, con minacce aggravate dal metodo mafioso, a versargli la somma di 3.200.000 euro, sostenendo di essere stato incaricato da affiliati calabresi di procedere al recupero del denaro versato molti anni prima allo zio del COGNOME, nell’ambito di un’operazione di riciclaggio di proventi illeciti.
2.Avverso detta sentenza propone ricorso l’imputato, deducendo:
2.1 violazione degli articoli 8 e 9 cod. proc.pen. e vizio di motivazione in merito all competenza territoriale poiché entrambe le sentenze di merito hanno escluso qualsiasi collegamento tra la condotta contestata e il territorio di Vibo Valentia e hanno utilizzato il criterio residuale di cui all’art. 8 comma 3 cod. proc.pen.. Ma se è ignoto il luogo d consumazione del sequestro di persona a scopo di estorsione, occorre verificare se siano noti altri luoghi dove sia stata consumata una parte della condotta. L’articolo 8 comma tre del codice di rito stabilisce che per i reati permanenti è competente il giudice del luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione e in questo caso l’esecuzione ha avuto inizio a Roma dove la persona offesa vive e risiede e lavora. Inoltre ai sensi dell’articolo 9 comma tre cod. proc.pen. anche l’ultimo luogo noto dove si è consumata una parte dell’azione è Roma e quindi si insiste nella dichiarazione di incompetenza territoriale della Corte di assise di Catanzaro.
2.2 Violazione degli articoli 56 629 cod.pen. poiché la telefonata minacciosa del 13 dicembre 2016 è stato l’ultimo contatto telefonico tra le parti e fino al giorno precedente la trattativa tra imputati e parte offesa si era svolta con correttezza. Inoltre le modali della condotta appaiono in contrasto con le metodologie estorsive proprie del fenomeno mafioso, individuate sulla base di attendibili regole di esperienza
2.3 Violazione dell’art. 56 comma 3 cod.pen. e vizio della motivazione nella forma del travisamento della prova poiché la Corte ha respinto la richiesta di non punibilità per desistenza volontaria, travisando le risultanze dell’intercettazione ambientale riportata in sentenza. L’azione delittuosa si è conclusa il 13 dicembre 2016; l’imputato e i complici sono stati arrestati il 19 dicembre 2019 e la Corte avrebbe dovuto spiegare perché, trascorsi tre anni dall’ultima e condotta illecita, l’inattività criminosa non pos considerarsi una definitiva desistenza. Il fatto certo è che il 16 gennaio 2017 a dispetto di quanto sostenuto dalla Corte di appello non vi è stato alcun tentativo di rintraccio della persona offesa sicché il ragionamento della Corte risulta inficiato dal travisamento delle conversazioni registrate. La Corte ha sostenuto che le preoccupazioni per i ripetuti controlli di cui i correi erano stati fatti oggetto, avevano indotto l’imputato alla caute estrema, inducendolo a mantenere un atteggiamento di attesa che però non integra i caratteri della desistenza. Osserva il ricorrente che la persona offesa non ha mai denunciato l’accaduto alle Forze dell’ordine, sicchè l’asserita paura di essere scoperti è una congettura che non ha impedito la prosecuzione dell’azione criminosa e che non è idonea ad escludere la volontarietà della desistenza.
2.4 Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’aggravante del metodo mafioso in quanto non è dato sapere in quali colloqui COGNOME abbia evocato la forza intimidatrice provano e dal sodalizio mafioso e certamente non può bastare il richiamo fatto a soggetti in stato di detenzione.
2.5 Violazione dell’art. 62 bis cod.pen. e vizio di motivazione poiché La Corte ha negato le circostanze attenuanti generiche senza fornire al riguardo alcuna motivazione, sebbene l’imputato abbia di fatto abbandonato la condotta criminosa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato.
2.La censura in ordine alla competenza territoriale è generica poiché il ricorrente non si confronta con la motivazione resa a pagina 12 dalla Corte di appello la quale ha richiamato e condiviso la motivazione resa dal GUP che, nel rispetto dei principi più volte affermati dalla giurisprudenza di legittimità ha respinto l’eccezione di incompetenza territoriale del tribunale di- Catanzaro rilevando il rapporto di connessione tra il delitt oggetto del presente giudizio e il reato associativo giudicato nel processo principale, di cui anche COGNOME è stato originariamente imputato in qualità di partecipe.
Solo in subordine e ad adiuvandum la Corte ha osservato che, comunque, anche in relazione al singolo capo di imputazione appariva corretta l’applicazione del criterio residuale della prima iscrizione nel registro degli indagati da parte del Pubblico ministero che risulta operata in Catanzaro, non potendosi determinare l’ultimo luogo in cui si era consumata parte dell’azione e il luogo di residenza e dimora degli imputati.
Il ricorrente invece non rivolge alcuna critica all’affermato rapporto di connessione con il reato associativo e all’articolo 51 comma 3 bis cod. proc.pen. e censura esclusivamente il secondo criterio richiamato dalla Corte in subordine, ex art. 9 comma 3 cod. proc.pen., così incorrendo nel vizio di genericità.
3.La censura in ordine all’àffermazione della colpevolezza dell’imputato è talmente generica che non si comprendono le motivazioni per cui il ricorrente contesta la ricostruzione in punto di fatto, condivisa dai giudici di merito, valorizzando la circostanza che la trattativa diretta alla restituzione di tale somma si fosse svolta nella parte inizia e in modo formalmente corretto; tale costatazione non incide sull’efficacia e rilevanza delle inequivoche minacce proferite nella conversazione riportata per ampi stralci dalla Corte, che fornisce sicuro riscontro alle specifiche accuse formulate dalla persona offesa. La censura è manifestamente infondata poiché la Corte ha compiutamente esposto le emergenze probatorie che palesano la condotta estorsiva dell’imputato, il quale pronunziando minacce inequivocabili tentava di costringere la persona offesa a versargli una somma di denaro dovuta dallo zio, che l’imputato aveva ricevuto l’incarico di recuperare.
4.La censura relativa alla pretesa desistenza volontaria è manifestamente infondata. La Corte rende al riguardo motivazione a pagina 15 della sentenza evidenziando che dagli atti di indagine e dal compendio intercettivo emerge chiaramente come i tentativi di recupero della somma si siano interrotti subito dopo un controllo da parte della Polizia di Stato in borghese poiché gli imputati avevano maturato la convinzione di essere sotto attenzione delle Forze di Polizia. Ne desume che non ricorrono i caratteri della desistenza poiché il recesso del COGNOME è stato dettato esclusivamente dalla paura di essere scoperto e non è volontario.
Le censure del ricorrente si appuntano su questa motivazione, ma va osservato soprattutto che, come la stessa Corte riconosce in un secondo passaggio, secondo giurisprudenza consolidata, in tema di reati di danno a forma libera, come la rapina (o l’estorsione), la desistenza volontaria, che presuppone un tentativo incompiuto, non è configurabile una volta che siano posti in essere gli atti da cui origina il meccanismo causale capace di produrre l’evento, rispetto ai quali può operare, se il soggetto agente tiene una condotta attiva che valga a scongiurare l’evento, la diminuente per il cosiddetto recesso attivo. (Sez. 2, Sentenza n. 16054 del 20/03/2018 Ud. (dep. 11/04/2018 ) Rv. 272677 – 01)
5.La censura in merito alla sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso non può trovare accoglimento.
La Corte ha COGNOME respinto l’appello del pubblico ministero che aveva invocato il riconoscimento dell’aggravante sotto il profilo della agevolazione mafiosa, sicché l’aggravante è stata ritenuta soltanto nella sua dimensione obiettiva come adozione del metodo mafioso. A pagina 18 la Corte afferma che NOME era consapevole della matrice ‘ndranghetista della pretesa restitutoria e che il palese richiamo da parte dell’imputato ai suoi emissari era idoneo ad attribuire alle sue minacce un maggiore effetto intimidatorio legato alla forza del vincolo associativo.
Il ricorso afferma che nella telefonata minatoria del 13 dicembre 2016 in cui si è perfezionato il reato non viene fatto alcun riferimento a superiori referenti criminali, né alcun richiamo ad organizzazioni calabresi, e dalla lettura dell’ampio stralcio della conversazione riportato in sentenza non emergono minacce idonee ad evocare un contesto criminoso organizzato, ma da altre conversazioni riportate nella sentenza di primo grado emerge l’utilizzo di chiari riferimenti a contesti malavitosi e all’evocazione del contesto calabrese che secondo i giudici di merito la persona offesa non aveva equivocato. In particolare nel dialogo registrato il 26/9/2016 ricorrono minacce di questo genere e riferimenti al sodalizio mafioso ed emerge la piena conoscenza da parte della persona offesa che la pretesa proveniva da ignoti finanziatori affiliati all ‘ndrangheta, sicchè la prova di detta aggravante si desume aliunde.
6.La censura per l’omessa motivazione sulle attenuanti generiche non può trovare accoglimento poiché sebbene la Corte di appello abbia fatto rinvio alla sentenza di primo grado, che non aveva reso specifica motivazione sul diniego del beneficio, il collegio ha comunque valorizzato nella determinazione del trattamento sanzionatorio, la gravità della condotta delittuosa, l’entità elevata della somma oggetto del tentativo di estorsione e la personalità negativa del reo già gravato da precedenti, tutti elementi ostativi al riconoscimento del beneficio invocato, e la difesa con l’appello non aveva dedotto elementi specifici a sostegno della richiesta che potessero controbilanciare il portato di questi dati, sicchè la censura non potrebbe sortire una diversa conclusione.
7. Alla stregua delle considerazioni su esposte si impone il rigetto del ricorso con le statuizioni consequenziali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma 10 gennaio 2024
il consigliere estensore
COGNOME
Il President
NOME  COGNOME ellino
NOME