Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25415 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 25415 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 01/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a Catania il giorno 05/12/1972 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia ordinanza in data 2/5/2025 del Tribunale di Catania in funzione di giudice avverso l’ del riesame;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che non è stata richiesta la trattazione orale del procedimento; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME COGNOME letta la requisitoria scritta con la quale il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; a firma dell’avv.
letta la memoria difensiva (con allegati) datata 9 giugno 2025 Marchese.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 2 maggio 2025, a seguito di giudizio di riesame, il Tribunale di Catania ha confermato l’ordinanza in data 4 aprile 2025 del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale con la quale era stata applicata
nei confronti di NOME COGNOME la misura cautelare personale della custodia in carcere in relazione al delitto di tentata estorsione ai danni della BRT S.p.a.
In sintesi, si contesta al COGNOME di avere, in concorso con NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, a far tempo dal 19 giugno 2024, minacciato di morte e di gravi ritorsioni NOME COGNOME (capo area per la Sicilia orientale e Calabria della RAGIONE_SOCIALE) e NOME COGNOME (responsabile della filiale di Belpasso), al fine di costringere l’azienda a non recedere dal contratto di facchinaggio con la ditta RAGIONE_SOCIALE, o comunque a ricono scere una compensazione economica come ‘buona uscita’ .
In particolare, secondo la prospettazione accusatoria, gli indagati avrebbero tentato di imporre alla RAGIONE_SOCIALE, con la quale intrattenevano rapporti di collaborazione attraverso la RAGIONE_SOCIALE (formalmente rappresentata da NOME COGNOME ma di fatto gestita da NOME COGNOME, cognato di NOME COGNOME), la prosecuzione di rapporti economici nel ramo delle spedizioni, avvalendosi del potere di intimidazione derivante dalla vicinanza del detenuto NOME COGNOME (padre di NOME COGNOME), già condannato quale associato alla famiglia mafiosa catanese dei INDIRIZZO-Ercolano.
Ricorre per cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore dell’indagato , deducendo:
2.1. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione alla inidoneità degli atti, ex art. 56 cod. pen., circa i potenziali eventi di cui all’art. 629 cod. pen., nonché a ll’elemento soggettivo del delitto contestato.
Premette la difesa del ricorrente che:
la vicenda in esame scaturisce da una dinamica contrattuale tra le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, rispettivamente committente ed appaltatore, per lo svolgimento di attività di facchinaggio il cui rapporto è proseguito fino al mese di giugno 2024 allorquando la RAGIONE_SOCIALE ha deciso di non rinnovare il contratto con la RAGIONE_SOCIALE;
in seguito a tale decisione, alcuni soggetti vicini alla società RAGIONE_SOCIALE hanno pertanto tentato, senza successo, di avviare una trattativa per proseguire il rapporto contrattuale pregresso;
in data 25 giugno 2024 vi era stato un incontro presso l’abitazione di Filippo Intelisano ove era presente NOME COGNOME (unitamente a NOME COGNOME e NOME COGNOME ) e nell’occasione l’Intelisano, appresa l’intenzione di non rinnovare il rapporto contrattuale, aveva cercato di avviare una trattativa con l ‘COGNOME sollecitandolo ad intercedere con gli organi di vertice della BRT, anche
rappresentandogli che il di lui padre (condannato per violazione dell’art. 416 -bis cod. pen.) era stato ritenuto amico del padre dell’Aiello;
successivamente a detto incontro, seguivano ulteriori contatti tra gli indagati COGNOME, COGNOME e COGNOME ed i rappresentanti della RAGIONE_SOCIALE –COGNOME e COGNOME -tutti finalizzati ad ottenere il rinnovo contrattuale anche perché l’COGNOME , in merito alla scadenza del contratto, aveva fornito al COGNOME rassicurazioni al riguardo, rassicurazioni che non avevano però avuto sèguito dato che il 18 giugno 2024 la RAGIONE_SOCIALE aveva comunicato al COGNOME (legale rappresentante della Gifra) ed al COGNOME l’intenzione di non rinnovare il contratto in essere da molti anni e dal quale dipendeva il lavoro di molti dipendenti;
nei mesi successivi COGNOME e COGNOME avevano tentato di portare avanti la trattativa proponendo anche l’assegnazione dell’appalto ad altre società che avevano i requisiti richiesti dalla politica aziendale della RAGIONE_SOCIALE.
Tutto ciò premesso, la difesa del ricorrente deduce che tale modus agendi non consentirebbe ritenere sussistenti gli elementi richiesti per configurare il delitto di estorsione e, in particolare, l’ingiusto profitto con altrui danno.
A ciò si aggiunge, sempre secondo la difesa del ricorrente, che, alla luce dell’elemento soggettivo che ha guidato le azioni degli indagati, al più sarebbe configurabile nel caso in esame il delitto di cui all’art. 393 cod. pen. , se non quello di cui all’art. 610 cod. pen., ciò perché l’eventuale prosecuzione del rapporto contrattuale sarebbe stato in linea con i requisiti e le condizioni richieste dalla società committente che, pertanto, avrebbe potuto imporre le proprie condizioni alle quali la ditta appaltatrice avrebbe pacificamente aderito.
Non nega, quindi, la difesa del ricorrente l’adozione da parte degli indagati di un comportamento minaccioso ma sottolinea che tale azione non avrebbe potuto incidere sulle condizioni contrattuali e non avrebbe potuto portare alla realizzazione di un profitto ingiusto con danno per la BRT, il che consentirebbe di ricondurre l’azione compiuta nell’alveo di cui all’art. 610 cod. pen.
A ciò si aggiunge, prosegue la difesa del ricorrente, che il Tribunale del riesame non avrebbe dato risposta al rilievo circa l’idoneità degli atti compiuti a produrre gli eventi del contestato reato.
Se, per contro, si volesse ricondurre l’azione posta in essere dagli indagati nell’ambito del disposto d ell ‘art. 393 cod. pen. , sarebbe stato necessario chiedersi se fosse sussistita – o comunque sarebbe stata supposta l’esistenza in capo agli stessi di un preteso diritto. Sul punto la difesa del ricorrente segnala che il comportamento scorretto dell’COGNOME che aveva rassicurato il COGNOME circa la prosecuzione del rapporto contrattuale avrebbe pregiudicato gli interessi patrimoniali di Gifra, da qui la ritenibile legittimità della richiesta di un ristoro
economico che incide anche sulla valutazione dell’elemento soggettivo del reato, con la conseguente necessaria riqualificazione giuridica della condotta contestata.
Né, sempre secondo la difesa del ricorrente, si potrebbe ritenere che l’intervento dei soggetti diversi dal COGNOME consenta di ricondurre l’azione nella fattispecie estorsiva, ciò in quanto anche gli altri soggetti agenti, come riconosciuto dallo stesso Tribunale, erano rappresentanti di fatto (soci occulti) della società RAGIONE_SOCIALE
Ancora, prosegue la difesa del ricorrente, neppure il fatto che è contestata la circostanza aggravante di cui all’art. 416 -bis .1 cod. pen. renderebbe non configurabile il reato di cui all’art. 393 cod. pen.
2.2. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b), d) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 416 -bis .1 cod. pen. e mancata valutazione dei gravi indizi di colpevolezza ai sensi dell’art. 273 cod. proc. pen.
Rileva, al riguardo, la difesa del ricorrente che non sarebbe configurabile nel caso in esame la circostanza aggravante del ‘metodo mafioso’ evidenziando che il Tribunale, attribuendo rilevanza al legame familiare degli indagati con NOME COGNOME (detenuto e condannato per reati associativi e nei confronti del quale è stata rigettata la richiesta di applicazione di misura cautelare), avrebbe presunto un coinvolgimento della società Gifra nell’organizzazione criminale così venendo a configurare una ‘responsabilità di posizione’.
A ciò si aggiunge che NOME COGNOME e COGNOME, incensurati, sono stati sottoposti ad intercettazione per lungo periodo senza che sia emerso alcun contatto degli stessi con associazioni mafiose o riferimenti a NOME COGNOME.
Infine, anche il riferimento che NOME COGNOME ha fatto al disappunto del proprio padre NOME circa il mancato rinnovo del contratto di appalto, non avrebbe una portata intimidatoria ma sarebbe riferibile al solo fatto che i genitori di entrambi erano amici ed è per tale ragione che NOME COGNOME sperava di ottenere dall’COGNOME un trattamento diverso , anche perché le ragioni della mancata prosecuzione del contratto di appalto erano legate ad una non confortata voce diffamatoria che collegava la società Gifra ad ambienti mafiosi.
2.3. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 274 e 275, comma 3, cod. proc. pen.
Rileva, al riguardo, la difesa del ricorrente che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere sussistenti le esigenze cautelari, sia per l’inesistenza di un fumus commissi delicti, sia per l’inesistenza di un periculm libertatis .
Quanto al COGNOME lo stesso avrebbe tenuto solo comportamenti di critica ed offensivi nei confronti di coloro che accusava di avergli fatto perdere il lavoro e tutte le condotte descritte non consentirebbero di addivenire alla compressione della libertà personale del ricorrente.
2.4. Con atto datato 9 giugno 2025 la difesa dell’indagato , dopo avere richiamato le doglianze contenute nel ricorso principale, con particolare riguardo alla richiesta della somma di denaro indicata nell’imputazione ed asseritamente legata ad un preteso risarcimento del danno, ha insistito per la riqualificazione della condotta come violazione dell’art. 393 cod. pen. rilevando che tale somma è stata corrisposta ed interamente destinata alla liquidazione del TFR dei dipendenti, come risulta (allo stato solo parzialmente, essendo i pagamenti in corso) dalla documentazione allegata alla memoria.
Quanto, invece, alla situazione di un dipendente della RAGIONE_SOCIALE, NOME, che aveva lamentato il mancato pagamento del suo TFR e della quattordicesima mensilità retributiva, chiedendo tale somma alla committente BRT s.p.a. ritenuta obbligata in solido ex art. 29 d.lgs 276/2003, la quale ha sempre contestato ogni pretesa del COGNOME, la difesa del ricorrente ha rappresentato che detta controversia si è conclusa positivamente tra le parti per effetto di una conciliazione stragiudiziale, curata dalla commissione di certificazione dell’Università degli Studi Roma Tre, il tutto documentato da un verbale di conciliazione allegato alla memoria depositata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato in tutte le sue articolazioni.
2. Giova immediatamente evidenziare che le Sezioni Unite di questa Corte Suprema hanno già avuto modo di chiarire che «in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie» (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828 – 01 Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828 -01; in motivazione, la S.C., premesso che la richiesta di riesame ha la specifica funzione, come mezzo di impugnazione, sia pure atipico, di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali enumerati nell’art. 292 cod. proc. pen. e ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo, ha posto in evidenza che la motivazione
della decisione del tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di cui all’art. 546 cod. proc. pen., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza; successivamente, Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460 – 01).
Ne consegue -ed il discorso vale anche per le esigenze cautelari di cui si dirà più avanti -che l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. e delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 stesso codice è rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge od in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato, essendosi chiarito che il controllo di legittimità non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, onde sono inammissibili quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (cfr., Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400 – 01; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, COGNOME, Rv. 248698 – 01).
Tutto ciò doverosamente premesso, rileva il Collegio che il Tribunale del riesame ha adeguatamente quanto logicamente risposto alle doglianze sollevate dalla difesa dell’indagato anche applicando i corretti principi di diritto che regolano la materia.
Giova, innanzitutto, evidenziare che neppure parte ricorrente pone in dubbio che siano state profferite gravissime minacce ai danni dei rappresentanti della BRT, COGNOME e COGNOME, o che quest’ultimi abbiano fornito una non corretta ricostruzione degli eventi , ricostruzione peraltro confortata anche dell’esito delle attività di intercettazione debitamente riportato nell’ordinanza impugnata .
Non sfugge, poi, che l’ordinanza del Tribunale si presenta come contraddittoria nella parte in cui, da un lato (pag. 6), afferma che tutti i soggetti implicati nella vicenda hanno agito «in concorso fra loro per comuni interessi economici e familiari» – così sostanzialmente affermando che la società RAGIONE_SOCIALE appartiene alla famiglia degli indagati e, dall’altro (pag. 7), afferma che le azioni compiute «non potevano essere qualificate come esercizio arbitrario delle proprie ragioni con minaccia ex art. 393 cod. pen. ciò in quanto nessuno degli indagati era titolare di un diritto astrattamente tutelabile in via giudiziaria nei confronti di RAGIONE_SOCIALE. Nessuno degli indagati avrebbe potuto, cioè, astrattamente agire in nome e per
conto di Gifra per far valere contro RAGIONE_SOCIALE la pretesa di rinnovo del contratto di facchinaggio e, men che meno, la pretesa di stipulare contratti di trasporto con ditte collegate a RAGIONE_SOCIALE».
Tuttavia, non appare essere l’eventuale intervento di soggetti privi di formali cariche all’interno di Gifra ma pur sempre portatori di un interesse economico nella vicenda (ancorché quali soci o amministratori di fatto), quindi formalmente non legittimati ad agire in giudizio per conto di essa, l’elemento dirimente per la qualificazione giuridica della condotta dato che questa Corte ha già avuto modo di chiarire che «il concorso del terzo nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone è configurabile nei soli casi in cui questi si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del creditore, senza perseguire alcuna diversa ed ulteriore finalità» (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 – 03). Del resto, non appare porsi in dubbio che il COGNOME (che ha ammesso di essere l’amministratore di fatto di Gifra ) ed i coindagati abbiano agito nell’interesse di detta persona giuridica.
Elemento rilevante ai fini della corretta qualificazione della condotta come tentativo di estorsione è, invece, un altro, e cioè il fatto che non è in alcun modo dimostrato che la società RAGIONE_SOCIALE fosse titolare di un diritto giudiziariamente azionabile ad ottenere il rinnovo del contratto di appalto alla sua scadenza.
A ciò si aggiunge che, se non era azionabile la pretesa di ottenere il rinnovo del contratto da parte di Gifra, tantomeno era giudiziariamente azionabile l’ulteriore possibilità neppure contestata dalla difesa del ricorrente -perseguita dal COGNOME e dai coindagati di ottenere che l’appalto fosse comunque conferito ad altre società dagli stessi indicate.
Ciò solo basta per poter escludere la ricorrenza in capo all’odierno ricorrente dell’elemento soggettivo dell’avere agito supponendo di perseguire un diritto azionabile innanzi ad un giudice e, conseguentemente, per escludere la possibilità di ricondurre l’azione nell’alveo di cui all’art. 393 cod. pen.
Quanto, poi, ai rapporti tra il delitto di estorsione e quello di violenza privata è, innanzitutto, pacifico che il delitto di estorsione costituisce ipotesi speciale rispetto al delitto di violenza privata, fungendo da elementi specializzanti, oltre al conseguimento di un ingiusto profitto, il correlativo danno per la persona offesa.
Nessun dubbio che attraverso la costrizione (rimasta nel caso in esame a livello di tentativo), mediante non contestate minacce, di BRT di non recedere dal contratto -o comunque di rinnovarlo con Gifra o con altre aziende vicine ai soggetti agenti -il COGNOME ed i coindagati abbiano agito al fine di conseguire un ingiusto profitto di carattere patrimoniale.
Quanto al danno richiesto per la configurabilità della fattispecie estorsiva, questa Corte ha chiarito che «Nel delitto di estorsione c.d. contrattuale, che si
realizza quando al soggetto passivo sia imposto di porsi in rapporto negoziale di natura patrimoniale con l’agente o con altri soggetti, l’elemento dell’ingiusto profitto con altrui danno è implicito nel fatto stesso che il contraente-vittima sia costretto al rapporto in violazione della propria autonomia negoziale, essendogli impedito di perseguire i propri interessi economici nel modo da lui ritenuto più opportuno» (così, Sez. 2, n. 12434 del 19/02/2020, Di Grazia, Rv. 278998 – 01; v. anche, Sez. 6, n. 46058 del 14/11/2008, COGNOME, Rv. 241924 – 01).
Nel contesto sopra descritto già idoneo di per sé a configurare un tentativo di estorsione perde ogni rilevanza l’ulteriore questione relativa al fatto che il COGNOME ed i coindagati abbiano agito (anche) con il fine di ottenere la consegna di una somma di denaro come ‘ risarcimento ‘ per l’avvenuta risoluzione del contratto, richiesta che la difesa del ricorrente tenta, senza in alcun modo dimostrare, di ricollegare ad una possibile violazione delle norme di correttezza nelle trattative precontrattuali.
Sul punto deve essere solo aggiunto che le giustificazioni sostenute solo ex post dalla difesa del ricorrente riguardanti anche la richiesta di consegna di una somma di denaro e richiamate nella memoria del 9 giugno 2025 non appaiono attinenti alla (ben più ampia) richiesta estorsiva addebitata al COGNOME ed ai coindagati, atteso che non risulta da alcun elemento il collegamento tra la questione delle pretese economiche (del tutto individuali) del COGNOME o di altri dipendenti nei confronti della RAGIONE_SOCIALE ed un danno che avrebbe subìto la società RAGIONE_SOCIALE ed al quale, senza alcuna precisazione al momento della richiesta, sarebbe ricollegabile la richiesta della consegna del denaro.
4. La manifesta infondatezza involge poi anche il motivo di ricorso nel quale si contesta la configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 416 -bis .1 cod. pen.
Il Tribunale (v. pag. 9 dell’ordinanza impugnata) risulta avere debitamente motivato in ordine alla ricorrenza della circostanza aggravante de qua richiamando non solo le caratteristiche delle minacce proferite nelle varie occasioni di incontro tra gli indagati ed i rappresentanti della BRT ma anche i riferimenti fatti alla famiglia mafiosa capeggiata da NOME COGNOME (padre dell’indagato NOME COGNOME).
Del resto, sul presupposto che la circostanza aggravante in esame risulta contestata sotto il profilo dell ‘ uso del ‘metodo mafioso’, non pare porsi in dubbio che frasi nelle quali sono state prospettate ritorsioni nei confronti della BRT colpendo i singoli corrieri privati con la sparizione di mezzi o l’eventuale incendio degli stessi , nonché pesanti minacce all’incolumità nelle persone offese con richiami alla ‘famiglia’ di appartenenza dei soggetti agenti (« La famiglia è
numerosa e deve campare, anche noi dobbiamo mangiare e sappiamo quando uno va a mangiare dal bar COGNOME e anche dove va a dormire, la cosa più importante è la vita che senso ha se uno viene ammazzato ») anche riferendo che ‘loro’ erano più forti e numerosi della forze dell ‘ ordine e che « non ci stanchiamo e non dimentichiamo », il tutto unito, comunque anche al riferimento a NOME COGNOME (come detto detenuto per la violazione dell’art. 416 -bis cod. pen.) al quale i soggetti agenti sono legati, sono modalità della condotta che, anche in relazione al contesto territoriale nel quale sono state tenute, evocano la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso (Sez. 2, n. 34786 del 31/05/2023, Gabriele, Rv. 284950 – 01) e tali da ragionevolmente consentire alla persona offesa di percepire la provenienza dell’attiv ità delittuosa da un contesto di criminalità organizzata di tipo mafioso (Sez. 2, n. 28061 del 22/05/2024, COGNOME, Rv. 286723 – 01).
Quanto fin qui osservato incide anche sulla valutazione di manifesta infondatezza anche del terso motivo di ricorso relativo alle esigenze cautelari.
La corretta configurazione sia del reato di tentata estorsione, sia della circostanza aggravante di cui all’art. 416 -bis .1 cod. pen. rende sussistente la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari.
A ciò si aggiunge, che il Tribunale, con una adeguata e logica valutazione di merito, insindacabile in sede di legittimità, risulta avere spiegato le ragioni -legate alla recentissima consumazione della condotta criminosa ed alla gravità dei fatti realizzati con metodo mafioso -per le quali l’applicazione della misura della custodia in carcere risulta l’unica idonea a preservare le esigenze cautelari.
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186) al versamento della somma ritenuta equa di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libert à del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1ter , delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1bis del citato articolo 94.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, co mma 1ter , disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il giorno 1 luglio 2025.