Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10295 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10295 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOMECOGNOME nato in Marocco il 23/09/1975 NOME COGNOME nato a Palermo il 23/11/1983
avverso la sentenza del 09/07/2024 della Corte d’appello di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
A z ‘ A rudito il il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ( NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili;
udito l’Avv. NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME la quale, dopo la discussione, si è riportata ai motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento e che, quale sostituto, per delega orale, dell’Avv. COGNOME, difensore di COGNOME COGNOME si è riportata i motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 09/07/2024, la Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del 14/02/2024 del G.u.p. del Tribunale di Palermo, emessa in esito a giudizio abbreviato:
rideterminava in 3 anni, 3 mesi e 10 giorni di reclusione ed C 2.290,00 di multa la pena irrogata a NOME COGNOME per il reato di tentata estorsione aggravata
(dall’essere state la violenza e minaccia commesse da più persone riunite) in concorso (con NOME COGNOME) ai danni di NOME COGNOME di cui al capo 1) dell’imputazione e di porto senza giustificato motivo fuori della propria abitazione di un taglierino di cui al capo 4) dell’imputazione, confermando la condanna del COGNOME per tali due reati, unificati dal vincolo della continuazione;
rideterminava in 4 anni di reclusione ed C 3.000,00 di multa la pena irrogata a NOME COGNOME per lo stesso reato di tentata estorsione pluriaggravata (dall’essere state la violenza e minaccia commesse da più persone riunite e anche dalla recidiva specifica e reiterata) in concorso (con NOME COGNOME ai danni di NOME COGNOME di cui al capo 1) dell’imputazione, confermando la condanna del COGNOME per tale reato,
Avverso tale sentenza del 09/07/2024 della Corte d’appello di Palermo, hanno proposto ricorsi per cassazione, con distinti atti e per il tramite dei propri rispettivi difensori, NOME COGNOME e NOME COGNOME
Il ricorso di NOME COGNOME a firma dell’avv. NOME COGNOME è affidato a due motivi.
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 629 cod. pen., e, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, per non avere la Corte d’appello di Palermo «correttamente applicato la fattispecie prevista dall’art. 629 c.p. come interpretata a seguito della Sentenza della Corte costituzionale n. 120/2023».
Dopo avere premesso che il motivo di appello che era stato proposto al riguardo dal coimputato nel reato di estorsione NOME COGNOME si doveva ritenere estendersi anche a sé, il COGNOME deduce che il diniego del riconoscimento della circostanza attenuante della lieve entità del fatto (che era stata richiesta dal COGNOME) si porrebbe in contraddizione con quanto è stato affermato dalla Corte d’appello di Palermo nel motivare la rideterminazione del trattamento sanzionatorio irrogato allo stesso COGNOME, atteso che tale rideterminazione sarebbe stata giustificata «proprio in virtù di quegli stessi elementi che avrebbero determinato la diversa riqualificazione» del fatto come di lieve entità, giacché «i criteri direttivi di all’art. 133 c.p., cui fa riferimento la Corte di Appello, altro non sono che quell indicati dalla Corte costituzionale quando fa riferimento alla “natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo”».
Il COGNOME deduce poi che, mentre con riguardo al concorrente nella tentata estorsione il riconoscimento della circostanza attenuante del fatto di lieve entità era stato negato anche in ragione della «negativa personalità del COGNOME», in quanto
«gravato da svariati precedenti penali, anche per reati di rilevante allarme sociale», egli era invece incensurato, con la conseguenza che, con riguardo alla propria posizione, si sarebbe dovuta ritenere l’occasionalità del coinvolgimento in vicende di rilievo penale e, in particolare, in richieste estorsive, il che costituirebb un elemento che, anche secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione (è citata: Sez. 2, n. 9912 del 26/01/2024, Salerno, Rv. 286076-01), rileverebbe ai fini della configurabilità dell’attenuante.
Secondo il ricorrente, la censura in esame sarebbe «avvalorata proprio dalla previsione di una pena base coincidente al minimo edittale previsto dalla fattispecie pluriaggravata imputata», il che avrebbe consentito di diminuire la pena, facendo uso della «valvola di sicurezza» che è stata introdotta con Corte cost. n. 120 del 2023, al fine di «meglio circoscrivere la pena al caso in esame».
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 62-bis cod. pen., e, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, con riguardo alla conferma del diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Il COGNOME deduce che le ragioni che hanno indotto la Corte d’appello di Palermo a rideterminare il trattamento sanzionatorio avrebbero «potuto legittimare» la concessione delle suddette circostanze attenuanti e rappresenta che, «se da una parte è consolidato che il mero stato di incensuratezza non può da solo giustificare l’attenuante in parola, dall’altra parte, tale circostanza ben poteva essere legata alla condotta estorsiva concretamente tenuta, oppure all’ammontare effettivo della richiesta, ovvero alle modalità di azione, e così giungere al riconoscimento del beneficio invocato».
Il ricorso di NOME COGNOME a firma dell’avv. NOME COGNOME è affidato a cinque motivi.
4.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione e l’erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’«insussistenza del reato di tentata estorsione».
Il Bono lamenta che la Corte d’appello di Palermo, travisando il significato complessivo del racconto dei fatti che era stato reso dalla persona offesa NOME COGNOMEnella denuncia del 30/12/2022 e nelle sommarie informazioni del 19/01/2023) – il quale aveva riferito di avere provato una mera «soggezione», per il rischio di non ritrovare le chiavi della propria autovettura, e non un vero e proprio timore nei confronti degli imputati – avrebbe ritenuto la sussistenza del reato di tentata estorsione in assenza di alcuna minaccia e di alcun reale timore della persona offesa e, di conseguenza, di alcuna coartazione della sua volontà.
Secondo il ricorrente, tale assenza di timore della persona offesa, e anche di alcuna coartazione fisica nei suoi confronti, troverebbero conferma sia nel fatto che il COGNOME (che è un agente di polizia), alla vista della pattuglia dei Carabinieri, si era divincolato e aveva proceduto all’arresto degli imputati, sia nel fatto che costoro avevano consentito allo stesso COGNOME di telefonare a un collega poliziotto.
Il ricorrente lamenta infine che la Corte d’appello di Palermo non avrebbe motivato in ordine alla richiesta di riqualificare il fatto come minaccia «poiché tanto residua della fattispecie posta in essere».
4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione e l’erronea applicazione dell’art. 629, secondo comma, cod. pen., e la «violazione del principio del favor rei e di successione delle leggi penali di cui all’art. 2 c.p.».
Il Bono lamenta che la Corte d’appello di Palermo abbia ritenuto l’applicabilità del secondo comma dell’art. 629 cod. pen. in assenza della pluralità di circostanze aggravanti (almeno due) che sarebbe stata richiesta dallo stesso comma mercé il richiamo, da esso operato, all’ultimo capoverso dell’art. 628 cod. pen.
Secondo il ricorrente, la Corte d’appello di Palermo, nel rigettare il suo motivo di appello sul punto, avrebbe applicato «un regime sanzionatorio derivante da una modifica normativa postuma in peius, ossia applicabile dal 17/07/2024».
4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione e l’erronea applicazione dell’art. 99 cod. pen., con riferimento all’«ingiusta contestazione della recidiva specifica e reiterata» e, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., l mancanza e l’illogicità della motivazione «dell’aumento eccessivo per la recidiva generica facoltativa».
Il COGNOME contesta sia la conferma dell’applicazione della recidiva specifica e reiterata sia la mancanza di motivazione dell’aumento di pena per la recidiva «pari addirittura ad un terzo».
4.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione della legge penale e l’illogicità e l’«insufficienza» della motivazione, con riferimento al mancato riconoscimento della circostanza attenuante della lieve entità dell’estorsione introdotta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 120 del 2023.
Il COGNOME lamenta che la Corte d’appello di Palermo, nel ritenere «le complessive modalità della vicenda tutt’altro che tenui», non avrebbe valutato, così omettendo di motivare sul punto, gli elementi che erano stati indicati nel proprio atto di appello e che avrebbero deposto nel senso della lieve entità del fatto, segnatamente: «la persona offesa ha provato una mera soggezione senza nessun
timore per la incolumità»; «la particolare qualifica della persona offesa, ossia un appartenente alle forze di polizia»; «la lieve entità della somma richiesta, ossia 100 euro»; «la approssimativa dinamica estorsiva, espressione di una condotta debolmente minatoria»; «la limitatezza nel tempo della condotta»; «il facile decorso in senso positivo della vicenda, attesa la particolare qualifica della persona offesa, che dopo pochi minuti (3/4) si è reso protagonista del fallimento del tentativo di estorsione e addirittura dell’immediato arresto del COGNOME e del complice»; «l’assenza di una minaccia armata»; «l’insussistenza di una minaccia rivolta all’incolumità fisica, al di là della generica frase “ti finisce male” sicuramente non può considerarsi avere avuto un pregnante carattere minatorio, in quanto profferita da due soggetti in palese stato di tossico-dipendenza e sotto l’effetto di stupefacenti»; «il fatto che il tutto si è svolto non in luoghi bui e iso ma in luogo pubblico notoriamente teatro della c.d. movida».
La Corte d’appello di Palermo avrebbe altresì travisato le emergenze probatorie parlando di una «rilevante intimidazione» nei confronti del COGNOME.
4.5. Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione della legge penale e l’illogicità e l’«insufficienza» della motivazione, con riferimento al mancato riconoscimento della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità di cui all’art. 62, n. 4), cod. pen.
Il COGNOME deduce che, nel negare il riconoscimento di tale circostanza attenuante, la Corte d’appello di Palermo non avrebbe adeguatamente considerato «come la eventuale dazione delle 100 euro richieste, avrebbe rappresentato sia per la persona offesa che in senso assoluto un danno di lieve entità, sotto il profilo patrimoniale» e che anche «il danno globale» si doveva ritenere «di scarsissima entità, attese le modalità dell’azione, il non venir meno della possibilità di autodeterminarsi della persona offesa, il limitatissimo arco temporale di soggezione morale alla richiesta del reo, l’assenza di minacce credibili e tali da determinare un vero timore nella persona offesa, attesa la sua qualifica di appartenente alle forze di polizia».
Il ricorrente contesta che la Corte d’appello di Palermo, pur avendo affermato che, ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante de quo con riferimento al reato di tentata estorsione, «la valutazione deve essere complessiva», avrebbe poi omesso di valutare «tutti quegli elementi patrimoniali complessivamente considerati utili a valutare la sussistenza dell’attenuante» e avrebbe trascurato di mettere «in luce quali elementi, a contrario possono far ritenere insussistente l’attenuante anche sotto il profilo complessivo, limitandosi a richiamare genericamente e superficialmente “le modalità della condotta”, posta in essere “in piena notte” da “due soggetti aggressivi”».
CONSIDERATO IN DIRITTO
In ordine logico, deve essere anzitutto esaminato il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME
Esso non è consentito.
1.1. Costituisce un principio pacificamente accolto dalla Corte di cassazione quello secondo cui, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali a imporre una diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatori del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 28074701; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965-01).
Non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 de 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623-01; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, COGNOME, Rv. 250362-01).
In tema di estorsione, ai fini della configurabilità del reato, sono indifferent la forma o il modo della minaccia, potendo questa essere manifesta o implicita, palese o larvata, diretta o indiretta, reale o figurata, orale o scritta, determinata indeterminata, purché comunque idonea, in relazione alle circostanze concrete, a incutere timore e a coartare la volontà del soggetto passivo. La connotazione di una condotta come minacciosa e la sua idoneità a integrare l’elemento strutturale del delitto di estorsione vanno valutate in relazione a concrete circostanze oggettive, quali la personalità sopraffattrice dell’agente, le circostanze ambientali in cui lo stesso opera, l’ingiustizia della pretesa, le particolari condizioni soggettiv della vittima, vista come persona di normale impressionabilità, a nulla rilevando che si verifichi una effettiva intimidazione del soggetto passivo (Sez. 6, n. 3298 del 26/01/1999, Savian, Rv. 212945-01).
1.2. Richiamati tali principi, affermati dalla Corte di cassazione, si deve rilevare come la Corte d’appello di Palermo abbia congruamente argomentato come dalle dichiarazioni del COGNOME fosse emerso che gli imputati, in piena notte (alle ore 03:30 circa), al fine di costringerlo a consegnare loro il denaro che gli
avevano richiesto per riconsegnargli le chiavi della sua autovettura, lo avevano sia minacciato, dicendogli che se non avesse dato loro il denaro gli sarebbe “finita male” («se non vuoi che ti finisce male fai come ti diciamo noi e risolviamo tra di noi dandoci i 100 euro») sia sottoposto a violenza – la quale, come è stato esattamente rilevato dalla Corte d’appello di Palermo, nell’estorsione non deve tradursi in una vis absoluta -, consistita nel condurlo con la forza al più vicino sportello bancario per prelevare i soldi (venivo scortato e quasi trascinato da due soggetti verso l’istituto bancario , durale il tragitto gli stessi continuava trattenermi fortemente per le braccia e a tratti anche strattonandomi (uno da un lato e l’altro dall’altro), continuando a dirmi che se pagavo la somma di euro 100 mi riconsegnavano le chiavi e non sarebbe successo nulla»), così che il COGNOME si era «spaventato», tanto che, alla vista della pattuglia dei Carabinieri, aveva urlato per chiedere aiuto.
La Corte d’appello di Palermo ha altresì evidenziato come gli stessi Carabinieri avessero confermato che, al momento del loro intervento, il COGNOME si trovava in un «evidente stato di difficoltà» e aveva sin da subito detto loro che due individui, poi identificati negli imputati, «lo tenevano in mezzo a loro costringendolo a seguirli per dare loro, prelevandoli dall’istituto di credito lì vicino» i soldi.
Tale motivazione appare priva di contraddizioni e manifeste illogicità, oltre che in linea con i ricordati principi, affermati dalla Corte di cassazione, in tema di elemento oggettivo del reato di estorsione, sicché si sottrae a censure in questa sede.
Diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, la Corte d’appello di Palermo non ha mancato di motivare in ordine alla richiesta di riqualificazione del fatto come minaccia ex art. 612 cod. pen., avendo in proposito correttamente rilevato come la strumentalizzazione della minaccia (e della violenza) a costringere la persona offesa COGNOME a consegnare il denaro che i due imputati gli avevano indebitamente richiesto – con il conseguente conseguimento, da parte degli stessi imputati, di un ingiusto profitto, e con corrispondente danno per il COGNOME integrasse il delitto di tentata estorsione (pag. 7, punto 1.2, della sentenza impugnata).
Si può ora tornare all’esame del ricorso di NOME COGNOME.
2.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Con la sentenza n. 120 del 2023, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 629 cod. pen. – per violazione degli artt. 27, terzo comma, Cost. – «nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la
specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità».
Il Giudice delle leggi è pervenuto a tale esito sulla base del rilievo che gli interventi di inasprimento sanzionatorio che si sono succeduti nel tempo in relazione alla fattispecie di estorsione non hanno previsto una «”valvola di sicurezza” che consenta al giudice di moderare la pena, onde adeguarla alla gravità concreta del fatto estorsivo», in modo da evitare «l’irrogazione di una sanzione non proporzionata ogni qual volta il fatto medesimo si presenti totalmente immune dai profili di allarme sociale che hanno indotto il legislatore a stabilire per quest titolo di reato un minimo edittale di notevole asprezza».
Come era stato già rilevato da Corte cost., sentenza n. 68 del 2012 in tema di sequestro estorsivo ex art. 630 cod. pen., «anche l’art. 629 del medesimo codice è capace di includere nel proprio ambito applicativo “episodi marcatamente dissimili, sul piano criminologico e del tasso di disvalore, rispetto a quelli avuti mira dal legislatore dell’emergenza”», in particolare «”per la più o meno marcata ‘occasionalità’ dell’iniziativa delittuosa”, oltre che per la ridotta entità dell’of alla vittima e la non elevata utilità pretesa».
Per tale via, risulta dunque allo stato applicabile anche all’estorsione la diminuente della lieve entità del fatto, mutuata dall’art. 311 cod. pen. («quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità»).
La Corte costituzionale ha peraltro ribadito che tali indici dell’attenuante di lieve entità «garantiscono che la riduzione della pena sia riservata alle ipotesi di lesività davvero minima, per una condotta che pur sempre incide sulla libertà di autodeterminazione della persona».
La Corte di cassazione ha successivamente chiarito che l’attenuante della lieve entità del fatto, prevista dall’art. 311 cod. pen. e applicabile anche al delitto d estorsione a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 120 del 2023, postula una valutazione del fatto nel suo complesso, sicché non è configurabile se la lieve entità difetti con riguardo all’evento in sé considerato o con riguardo alla natura, alla specie, ai mezzi, alle modalità e alle circostanze della condotta ovvero, ancora, in relazione all’entità del danno o del pericolo conseguente al reato (Sez. 2, n. 9820 del 26/01/2024, COGNOME, Rv. 286092-01).
La Corte d’appello di Palermo, nel rigettare il motivo di appello che era stato articolato dal Bono sul punto, ha valutato come il fatto nel suo complesso non si potesse ritenere di lieve entità, argomentando tale sua valutazione con riferimento: sia all’entità della somma di denaro pretesa dagli imputati (C 100,00), di per sé non esigua, al disagio che il COGNOME avrebbe dovuto subire per recuperare, da solo e in piena notte, l’eventuale secondo mazzo di chiavi della
propria automobile e al danno economico che la stessa persona offesa avrebbe dovuto eventualmente affrontare per cambiare le serrature della medesima auto; sia, soprattutto, alle circostanze e alle modalità della condotta, tenuto conto che il COGNOME era stato aggredito in piena notte da due persone, che avevano minacciato la sua incolumità personale («se vuoi che non ti finisce male fai come ti diciamo noi») e che lo avevano «braccato», conducendolo con la forza a eseguire un prelievo di denaro da uno sportello bancomat.
Tale motivazione dell’impossibilità di reputare il fatto come connotato da quella «lesività davvero minima» al cui ricorrere soltanto la stessa Corte costituzionale ha riferito la necessità della previsione della circostanza attenuante della lieve entità del fatto da essa introdotta, appare del tutto priva d contraddizioni e di illogicità, tanto meno manifeste sicché essa si sottrae a censure in questa sede di legittimità.
In particolare, quanto a quelle che sono state avanzate dal COGNOME, si deve osservare che: a) il fatto che la Corte d’appello di Palermo, nel determinare la misura della pena nell’ambito della cornice edittale di essa, abbia eventualmente fatto riferimento a dei criteri astratti che possono coincidere con quelli che possono rilevare ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante della lieve entità del fatto, non significa che quegli stessi elementi, declinati in concreto, fossero tali da imporre l’impiego della “valvola di sicurezza” costituita dalla suddetta attenuante in funzione della necessità di correggere un altrimenti sproporzionato minimo edittale; b) l’eventuale occasionalità della condotta dell’imputato non esclude che, per le ulteriori caratteristiche del fatto che si sono dette, esso non si potesse considerare di lieve entità.
2.2. Il secondo motivo non è consentito.
In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269-01).
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli fac riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altr disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244-01).
Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o no il riconoscimento del
beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può risultare allo scopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549-01; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163-01).
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Palermo ha confermato il diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenendo decisivo e prevalente, a tale fine, l’elemento della gravità del fatto, desunta, in particolare, delle modalità dell’azione, ritenute sintomatiche di particolare aggressività, tenuto conto che l’imputato, insieme al complice COGNOME aveva in piena notte minacciato la persona offesa COGNOME, intimidendola, e l’aveva condotta (con la forza) presso una sportello bancario a prelevare la somma che intendeva estorcergli, e che il COGNOME aveva anche con sé un taglierino con una lama di 8 centimetri.
Alla luce dei consolidati principi della giurisprudenza di legittimità sopra esposti, tale motivazione si deve ritenere ampiamente sufficiente e, in quanto espressiva di un giudizio di fatto, non sindacabile in questa sede di legittimità.
Si può ora passare all’esame dei motivi del ricorso di NOME COGNOME successivi al primo (che si è già esaminato al punto 1).
3.1. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Il secondo comma dell’art. 629 cod. pen., nel testo vigente al momento del fatto, stabiliva che la pena per il reato di estorsione è della reclusione da 7 a 20 anni e della multa da C 5.000,00 a C 15.000,00 «se concorre taluna delle circostanze indicate nell’ultimo capoverso dell’articolo precedente» (cioè dell’art. 628 cod. pen.) (corsivo aggiunto).
La Corte di cassazione aveva in proposito chiarito che tale rinvio, operato dal secondo comma dell’art. 629 cod. pen., si doveva qualificare come di natura formale o dinamica e si doveva perciò intendere come riferito – dopo l’aggiunta di un ulteriore comma all’art. 628 cod. pen. a opera dell’art. 3, comma 27, lett. b), della legge 15 luglio 2009, n. 94 -, al terzo comma dello stesso art. 628 (Sez. 2, n. 49940 del 10/10/2023, P., Rv. 285464; Sez. 2, n. 13239 del 23/03/2016, COGNOME, Rv. 26662-01; Sez. 2, n. 18742 del 17/01/2014, COGNOME, Rv. 25965101; Sez. 5, n. 2907 del 23/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258463-01).
Da ciò discende che il nuovo testo del secondo comma dell’art. 629 cod. pen., come modificato dall’art. 16, comma 1, lett. m), n. 1), della legge 28 giugno 2024, n. 90 (con il quale le parole: «nell’ultimo capoverso dell’articolo precedente» sono state sostituite dalle parole: «nel terzo comma dell’articolo 628») – secondo cui la non modificata pena della reclusione da 7 a 20 anni e della multa da C 5.000,00 a C 15.000,00 si applica pertanto «se concorre taluna delle circostanze indicate nel terzo comma dell’articolo 628» (corsivo aggiunto) -, altro non ha fatto che coordinare il rinvio operato dal secondo comma dell’art. 629 cod. pen. con le
modifiche che, medio tempore, avevano visto l’aggiunta di ulteriori commi all’art. 628 cod. pen. (senza che la previgente formulazione dello stesso secondo comma dell’art. 629 cod. pen. ne avesse formalmente tenuto conto), coordinamento che, peraltro, come si è visto, era comunque già stato operato dalla Corte di cassazione.
Poiché, pertanto, diversamente da quanto mostra di ritenere il ricorrente, non vi è alcuna effettiva diversità tra la legge del tempo in cui il fatto fu commesso e quella successiva introdotta nel 2024, e poiché il secondo comma dell’art. 629 cod. pen., sia prima sia dopo la modifica del 2024, prevede la pena da 7 a 20 anni di reclusione e da € 5.000,00 a € 15.000,00 di multa in caso di concorso di «taluna» delle circostanze di cui al terzo comma dell’art. 628 cod. pen., cioè anche di una sola di esse – tra le quali è compresa quella, di cui al n. 1) dello stesso terz comma, dell’essere stata la violenza o minaccia commessa da più persone riunite che ricorre nel caso in esame – del tutto correttamente la Corte d’appello di Palermo ha ritenuto l’applicabilità nella specie dell’art. 629, secondo comma, cod. pen.
3.2. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
3.2.1. Con riguardo all’applicazione della recidiva, la Corte di cassazione ha affermato il principio che è richiesta al giudice una specifica motivazione sia che egli affermi sia che escluda la sussistenza della stessa (Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, COGNOME, Rv. 274782-01). In motivazione, la Corte ha chiarito che tale dovere risulta adempiuto nel caso in cui, con argomentazione succinta, si dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato.
In senso sostanzialmente analogo, è stato affermato che l’applicazione dell’aumento di pena per effetto della recidiva facoltativa attiene all’esercizio di un potere discrezionale del giudice, del quale deve essere fornita adeguata motivazione, con particolare riguardo all’apprezzamento dell’idoneità della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del reo (Sez. 3, n. 19170 del 17/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 26346401).
Più diffusamente, la stessa Corte di cassazione ha precisato che, ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un’accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell’esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell’imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto a esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tr fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se e in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al
delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice (Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, COGNOME, Rv. 270419-01).
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Palermo ha applicato la recidiva ritenendo che il reato di tentata estorsione, posto in relazione con le plurime precedenti condanne che erano state riportate dal COGNOME – in particolare, tra le altre, per una rapina commessa nel 2005 e per una resistenza a un pubblico ufficiale commessa nel 2014 (quest’ultima ritenuta sintomatica dell’indole impulsiva di cui il COGNOME aveva dato prova anche in occasione dell’aggressione” nei confronti del COGNOME) -, alla luce della natura e del tempo di commissione di tali precedenti reati, si dovesse ritenere indicativo di una maggiore capacità a delinquere dell’imputato e, quindi, di una sua maggiore pericolosità sociale.
Alla luce dei consolidati principi della giurisprudenza di legittimità sopra esposti, tale motivazione si deve ritenere sufficiente e, in quanto espressiva di un discrezionale giudizio di fatto, non sindacabile in questa sede di legittimità.
3.2.2. Parimenti manifestamente infondata è la doglianza che attiene alla tipologia della recidiva, per essere stata applicata quella specifica e reiterata.
In proposito, si deve infatti rilevare: a) quanto alla specificità, che la Cort d’appello di Palermo ha evidenziato come il COGNOME fosse stato condannato anche per il reato di rapina, il quale risulta, in tutta evidenza, della stessa indole di que di tentata estorsione; b) quanto alla reiterazione, che il COGNOME, al momento della consumazione del reato di tentata estorsione, era già stato definitivamente condannato per due delitti che aveva commesso prima dello stesso reato, quali erano i menzionati reati di rapina e di resistenza a un pubblico ufficiale (reato, quest’ultimo, che, diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente – secondo cui si tratterebbe di una contravvenzione – è, invece, un delitto).
3.2.3. È, infine, manifestamente infondata anche la doglianza che attiene alla misura dell’aumento di pena per la recidiva, atteso che la Corte d’appello di Palermo, a fronte di un aumento di pena che, per la recidiva specifica e reiterata, ai sensi dell’art. 99, quarto comma, cod. pen., è previsto nella misura di due terzi, in applicazione del criterio mitigatore di cui all’art. 63, quarto comma, cod. pen., ha applicato un aumento della pena di 4 anni e 8 mesi di reclusione (oltre alla multa) irrogata per l’estorsione aggravata ex art. 629, secondo comma, cod. pen., nella misura di un anno e 4 mesi di reclusione, il quale aumento, diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, è inferiore a un terzo (corrispondendo, un terzo, a un anno, 6 mesi e 20 giorni di reclusione).
3.3. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
La manifesta infondatezza del motivo discende dalle medesime considerazioni che si sono fatte con riguardo al primo motivo del ricorso di NOME COGNOME anch’esso relativo al mancato riconoscimento della circostanza attenuante della
lieve entità del fatto introdotta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 120 del 2023 -, le quali non si possono reputare scalfite dalle considerazioni del ricorrente, che appaiono sostanzialmente dirette a ottenere una diversa valutazione dell’entità del fatto, il che, a fronte di una motivazione della Cort d’appello di Palermo che, come si è detto al punto 2.1, risulta del tutto priva di contraddizioni e di illogicità, non è possibile fare in sede di legittimità.
3.4. il quinto motivo è manifestamente infondato.
La concessione della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrisorio, avendo riguardo non solo al valore in sé della cosa sottratta, ma anche agli ulteriori effetti pregiudizievoli che persona offesa abbia subìto in conseguenza del reato, senza che rilevi, invece, la capacità del soggetto passivo di sopportare il danno economico derivante dal reato (Sez. 2, n. 5049 del 22/12/2020, dep 2021, COGNOME, Rv. 280615-01; Sez. 4, n. 6635 del 19/01/2017, Sicu, Rv. 269241-01).
L’attenuante del danno di speciale tenuità non è configurabile in riferimento al delitto di estorsione, di natura plurioffensiva, quando, seppur derivato dalle azioni violente o minacciose un pregiudizio patrimoniale di modesto valore economico, lo stesso sia accompagnato però da rilevanti conseguenze sulla libertà e integrità fisica e morale della vittima (Sez. 2, n. 46504 del 13/09/2Ó9, B., Rv. 274080-01, la quale ha attribuito rilievo al perdurante stato d’ansia determinato dalle reiterate e pesanti minacce esercitate dall’imputato. In precedenza, in senso analogo: Sez 2, n. 12456 del 04/03/2008, Umina, Rv. 239749-01, la quale ha affermato il principio secondo cui, ai fini della configurabilità dell’attenuante d danno di speciale tenuità in riferimento al delitto di estorsione, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, atteso che il delitto ha natura di reato plurioffensivo perché lede non solo il patrimonio ma anche la libertà e l’integrità fisica e morale aggredite per la realizzazione del profitto, con la conseguenza che solo ove la valutazione complessiva del pregiudizio sia di speciale tenuità si può fare luogo all’applicazione dell’attenuante in questione; Sez. 2, n. 45985 del 23/10/2013, COGNOME, Rv. 257755-01).
Con specifico riguardo al tentativo, è stato affermato che, ai fini del riconoscimento dell’attenuante del danno di speciale tenuità in riferimento ai reati di tentata estorsione o di tentata rapina, la valutazione deve essere complessiva, dovendo riguardare, non solo la possibilità di desumere con certezza, dalle modalità del fatto che, se il reato fosse stato portato a compimento, il danno patrimoniale per la vittima sarebbe stato di rilevanza minima, ma anche gli effetti
dannosi conseguenti alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, attesa la natura plurioffensiva dei citati delitti (Sez. 2,
32234 del 16/10/2020, COGNOME, Rv. 280173-01).
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Palermo ha apprezzato, da un lato, che l’importo di € 100,00 che gli imputati avevano tentato di estorcere alla persona
offesa COGNOME non fosse irrisorio e, dall’altro lato, che, alla luce di un valutazione complessiva della vicenda delittuosa, le connotazioni della condotta
degli stessi imputati, in quanto compiuta in piena notte, in modo organizzato e con modalità aggressive nei confronti della persona offesa, escludevano anche che
il complessivo pregiudizio cagionato dal delitto si potesse valutare come di speciale tenuità.
Si tratta di un apprezzamento rispettoso dei ricordati principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità e che, risultando immune da vizi logico-giuridici, si
sottrae a censure in questa sede di legittimità.
4. In conclusione, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc.
pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di € 3.000,00 ciascuno in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 27/02/2025.