Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 14470 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 14470 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/01/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da COGNOME NOME nato a Locri il 18/771980 avverso la sentenza resa il 19 dicembre 2023 dalla Corte di appello di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, in accoglimento del primo motivo di ricorso; sentite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza resa dal GUP del Tribunale di Reggio Calabria il 6/7/2022, che ha affermato la responsabilità di COGNOME NOME per il reato di tentata estorsione aggravata dalle più persone riunite e dal metodo mafioso.
Si addebita all’imputato di avere fatto pervenire all’imprenditore NOME COGNOME anche attraverso la mediazione di COGNOME, la richiesta di pagamento di una somma di 2.000 € ,con l’esplicita indicazione che le somme erano destinate alle famiglie dei carcerati
della zona; di avere poi reiterato la richiesta con la minaccia di ritorsioni in danno della persona offesa, non essendo riuscito nel proprio intento per cause indipendenti dalla propria volontà.
2.Avverso detta sentenza propone ricorso l’imputato deducendo:
2.1 Violazione di legge e vizio di motivazione per la mancata assunzione di una prova decisiva richiesta come condizione per accedere al rito abbreviato e poi rinnovata con i motivi di appello e vizio di motivazione in ordine al diniego di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale
A giudizio del ricorrente, il rigetto da parte del giudice di primo grado della richiesta d integrazione probatoria cui era stata subordinata la richiesta di rito abbreviato e la conseguente istanza dell’imputato di essere giudicato allo stato degli atti, secondo le forme del cosiddetto rito abbreviato secco, non preclude la possibilità per la difesa di formulare con i motivi di appello la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ex art. 603 cod.proc.pen. per l’assunzione dell’acquisizione negata dal primo giudice, qualora concerna punti di decisiva rilevanza. Anche la Corte costituzionale ha affermato con la sentenza n. 127 del 21 giugno 2001 che la parte può riproporre la richiesta al giudice del dibattimento e questo può sindacare la precedente decisione ed ammettere la parte al giudizio abbreviato.
La Corte territoriale è inoltre incorsa nel vizio di omessa motivazione poiché non ha in alcun modo spiegato le ragioni per cui l’integrazione istruttoria richiesta non presenta i caratteri della decisività.
2.2 Vizio di motivazione in ordine al giudizio di identificazione dell’odierno imputato per l’evidente contraddittorietà della motivazione rispetto agli atti del processo e alla interpretazione della conversazione avvenuta tra Bruzzaniti e Maviglia. La Corte territoriale ha affermato che l’incertezza del riconoscimento del ricorrente operato dal teste NOME COGNOME , dipendente del Pace, è colmata dall’attività successiva diretta all’organizzazione dell’incontro tra COGNOME e l’imprenditore COGNOME atteso che l’intermediario COGNOME contattato perché riferisse agli estortori che COGNOME sarebbe stato in Calabria il 29 gennaio 2015, ha richiesto a Maviglia il numero telefonico di “Mico U’pupu”, soprannome di COGNOME NOME.
La circostanza è contraddittoria poiché la Corte valorizza il fatto che COGNOME si sia premurato di contattare COGNOME NOME, sostenendo che aveva il fine di avvisarlo che COGNOME sarebbe stato in Calabria, ma non considera che il predetto COGNOME non era nel possesso del numero di telefono di COGNOME NOME e avrebbe potuto avere altre ragioni per volere contattare COGNOME, e non quella di concordare l’appuntamento con la persona offesa del tentativo di estorsione, considerato che tra COGNOME e COGNOME vi erano anche rapporti relativi ad attività lavorative, sicché l’appuntamento avrebbe potuto avere altre finalità, come riferito da COGNOME NOME.
2.3 Omessa motivazione o motivazione apparente circa le ragioni per cui il riferimento “alle famiglie che hanno bisogno” integra l’aggravante del cosiddetto metodo mafioso. La Corte territoriale ha formulato una motivazione apparente, illogica e contraddittoria, riconoscendo la sussistenza del metodo mafioso nella condotta estorsiva in quanto è stato fatto riferimento alle famiglie che hanno bisogno.
Osserva il ricorrente che la Corte territoriale non ha dimostrato l’effetto intimidatorio e la coartazione psicologica che tale espressione ha ingenerato sulla vittima.
2.4 Vizio di motivazione poiché la Corte non ha spiegato le ragioni per cui, nonostante la conclamata desistenza dal proposito criminoso da parte del ricorrente, non sia stata esclusa la rilevanza penale della sua condotta che è stata ritenuta integrare il tentativo di estorsione.
Osserva il ricorrente che per riconoscere il tentativo penalmente rilevante occorre accertare il requisito della univocità degli atti e capire se vi è stata una effettiva messa in pericolo dei beni tutelati dalla norma incriminatrice, posto che la condotta dell’agente non è stata portata a termine.
La Corte ha tuttavia omesso ogni considerazione al riguardo, senza considerare che l’autore aveva deciso di interrompere la propria condotta in assenza di fattori esterni
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile perché fondato su motivi generici e manifestamente infondati che in sostanza tendono a reiterare le questioni già sollevate con l’appello e non si confrontano con le risposte ricevute.
Di contro, la sentenza impugnata, dopo avere esposto i motivi di appello a sostegno dell’insufficienza del compendio probatorio, ha respinto con considerazioni logiche, corrette e conformi ai criteri di valutazione della prova tutte le argomentazioni difensive.
1.1La prima censura è generica e manifestamente infondata poiché la Corte rende corretta motivazione a pagina 9 della sentenza, osservando che, avendo avuto accesso al cosiddetto rito abbreviato secco, la difesa non può dolersi della mancata escussione di testi decisivi, indicati ex art. 603 cod.proc.pen., ma può soltanto sollecitare il poter ufficioso di integrazione istruttoria della Corte.
E’ stato infatti chiarito che qualora l’imputato, a seguito del rigetto della richiesta giudizio abbreviato condizionato ad una integrazione probatoria, non riproponga tale richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado (come previsto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 169 del 2003, dichiarativa della parziale incostituzionalità dell’art. 438, comma 6, cod. proc. pen.), ma chieda, invece,
di definire il processo con giudizio abbreviato non condizionato, la mancata ammissione della prova cui era subordinata l’iniziale richiesta non può essere dedotta come motivo di gravame, ferma restando la facoltà di sollecitare l’esercizio dei poteri di integrazione istruttoria “ex officio” ai sensi dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 1 , n. 12818 del 14/02/2020, COGNOME, Rv. 279324 – 01).
La giurisprudenza di legittimità ha affermato di conseguenza che può essere censurata con ricorso per cassazione la mancata rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale qualora si dimostri l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello. (Fattispecie in tema di giudizio abbreviato). (Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014, dep. 2015, Pr, Rv. 261799 – 01; Sez. 3, n. 3028 del 15/12/2023, dep. 2024, D., Rv. 285745 – 01)
Tanto premesso, il collegio ha motivatamente escluso, alla stregua degli atti acquisiti, la necessità dell’integrazione probatoria invocata, con motivazione non censurabile, poiché conforme alle norme di legge e ai principi enucleati dalla giurisprudenza e, di fatto, neppure censurata in modo specifico dalla difesa.
1.2 Anche la seconda censura è generica in quanto non si confronta con le considerazioni della sentenza che, a pagina 11, ha evidenziato tutti gli elementi a sostegno della identificazione di COGNOME Domenico quale autore della richiesta estorsiva. La Corte ha correttamente valorizzato il riconoscimento fotografico, che era stato effettuato in termini di mera somiglianza dal teste COGNOME il quale aveva però confidato alla compagna e al suo principale di avere effettivamente riconosciuto gli estortori tra i volti mostratigl inoltre sottolinea che a seguito delle difficoltà del COGNOME di contattare COGNOME NOME, per informarlo dell’appuntamento per incontrare il soggetto estorto, fu lo stesso COGNOME a chiamare l’imputato dandogli appuntamento, sicché non residuano dubbi circa le finalità del contatto che era all’evidenza finalizzato a concludere l’attivit estorsiva e conferma il coinvolgimento dell’imputato nella prima richiesta.
1.3 La terza censura in merito alla sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso è manifestamente infondata poiché a pag. 13 la Corte rende adeguata motivazione richiamando la giurisprudenza in tema.
Né possono residuare dubbi in ordine all’effetto fortemente intimidatorio che tale espressione ha provocato nel Tranò, dipendente della persona offesa, il quale il 18 Febbraio 2015 dinanzi ai carabinieri di Villa San Giovanni dichiarava di essere fortemente preoccupato per la propria incolumità, in ragione delle modalità con cui era stata avanzata la richiesta estorsiva, come riportato a pagina 12 della sentenza di primo grado
1.4 La quarta censura non è consentita poiché non è stata dedotta con i motivi di appello e non è stata oggetto di specifico esame da parte della Corte.
Secondo il diritto vivente, alla luce di quanto disposto dall’art. 609, comma 2, cod. proc.
pen., non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare, perché non devolute alla
sua cognizione, ad eccezione di quelle rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio e di quelle che non sarebbe stato possibile proporre in precedenza (Sez. 2, n. 34044 del
20/11/2020, COGNOME, Rv. 280306; Sez. 3, n. 27256 del 23/07/2020, COGNOME, Rv.
279903; Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, B., Rv. 271869; Sez. 3 2, n. 29707 del
08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, COGNOME, Rv. 269368).
Va comunque rilevato che nei reati di danno a forma libera, come l’estorsione, la desistenza può aver luogo solo nella fase del tentativo incompiuto e non è configurabile
una volta che siano posti in essere gli atti da cui origina il meccanismo causale capace di produrre l’evento, rispetto ai quali può, al più, operare la diminuente per il cd. recesso
attivo, qualora il soggetto tenga una condotta attiva che valga a scongiurare l’evento.
(Fattispecie in tema di estorsione in concorso, nella quale la Corte ha escluso che ricorressero gli estremi della desistenza nei confronti di ambedue gli imputati, essendo
già stata da loro formulata la richiesta estorsiva). (Sez. 2, n. 24551 del 08/05/2015 , Supino ,Rv. 264226 – 01)
2.L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma, che si ritiene congruo liquidare in 3.000 C in proporzione al grado di colpa nella proposizione della impugnazione, da versare nella cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Roma 22 gennaio 2025
Il Consigliere estensore
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NOME COGNOME
La Presidente
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