Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 37732 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 37732 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Taranto il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/01/2025 della Corte di appello di Catanzaro
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso; lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, difensore di fiducia di
NOME COGNOME, che si è riportato ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con il provvedimento in epigrafe, la Corte di appello di Catanzaro -in riforma della sentenza emessa il 27 gennaio 2023 dal Tribunale di Castrovillari dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in relazione ai reati a lui ascritti ai capi a),c),d),f) della rubrica perché estinti per prescrizio e confermava le rimanenti statuizioni relative alla condanna per il delitto di tentata concussione sub g).
1.1 Stando alla ricostruzione operata nella sentenza in verifica , NOME COGNOME, all’epoca dei fatti sottufficiale della Capitaneria di Porto, aveva abusato della qualità rivestita, poiché – al cospetto del rifiuto di NOME COGNOME di rilasciargli la delega per partecipare all’assemblea condominiale nel corso della quale si sarebbe dovuto discutere e mettere ai voti la conferma della di lui moglie nelle funzioni di amministratore del condominio – ricordava al proprio interlocutore NOME, rivolgendogli la frase « non ti preoccupare che quest’anno i controlli verrò a farteli io personalmente», che nel corso dell’estate avrebbe provveduto di persona ad effettuare i controlli sul lido balneare di cui era titolare e gestore. Non pago di tanto, anche il giorno successivo, NOME COGNOME ribadiva le inziali intenzioni alla sorella del COGNOME proferendo la frase “uomo avvisato mezzo salvato”.
Avverso la sentenza, NOME COGNOME ha, per il tramite del difensore di fiducia, proposto ricorso affidato aitima distinti motivi che di seguito si sintetizzano ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.:
violazione di legge, in relazione agli artt. 56 e 317 cod. pen., per avere la Corte di appello erroneamente sussunto la fattispecie concreta nell’ambito del delitto di tentata concussione nonostante la mancanza di costrizione. La presunta vittima, NOME COGNOME, non versava in uno stato di metus e soggezione, tanto è vero che si era opposto con fermezza alle richieste che gli aveva avanzato l’imputato. Il COGNOME, infatti, non aveva rilasciata al COGNOME la delega per partecipare all’assemblea di condominio e, in sede di esame dibattimentale, aveva dichiarato di non essersi sentito intimorito;
vizio di motivazione per omissione per avere la Corte territoriale omesso di esaminare il motivo di appello con cui si contestava la configurabilità del tentativo di concussione. La Corte distrettuale, invero, non avrebbe motivato- nonostante la puntuale censura – in ordine alla concreta ed effettiva idoneità costrittiva della condotta realizzata dal COGNOME;
vizio di motivazione per illogicità per avere la Corte di appello erroneamente valutato le dichiarazioni dell’unico teste oculare, NOME COGNOME, il quale presente sui luoghi e al momento del fatto- aveva riferito di non avere sentito il COGNOME proferire alcuna minaccia nei confronti del COGNOME;
violazione di legge in relazione all’art. 157 cod. pen. per non avere i Giudici di appello rilevato l’avvenuta estinzione del reato per prescrizione, trattandosi di episodi risalenti a 3 e 4 giugno del 2015.
RILEVATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è nel complesso infondato.
Per motivi di pregiudizialità logica va affrontato preliminarmente l’ultimo motivo di ricorso, con cui il difensore deduce la intervenuta estinzione del reato di tentata concussione per decorso del termine massimo di prescrizione.
2.1. Il motivo è manifestamente infondato.
Sebbene gli episodi criminosi in contestazione risalgano al 3 e 4 giugno del 2015, il reato non è all’attualità prescritto, dovendosi considerare: a) la pena edit massima per la fattispecie tentata pari ad otto anni di reclusione; b) l’intervento di valide ed efficaci cause di interruzione della prescrizione con conseguente aumento nella misura di 1/4 della pena edittale massima (Le. anni dieci di reclusione) ; c) l’intervento di cause di sospensione del decorso della prescrizione, durante la pendenza del giudizio di primo grado, per il complessivo periodo di 4 mesi e di 4 giorni ( di cui 64 gg per emergenza sanitaria Covid e altri 60 gg per impedimento della difesa per ragioni di salute).
Pertanto, individuato il tempus commissi delicti nella data del 3 e 4 giugno 2015, il termine massimo di prescrizione, conteggiato in complessivi anni 10, mesi 4 e giorni 4, andrà a scadere rispettivamente alla data del 4 e del 5 ottobre 2025.
Prima di passare al “merito”, è opportuno – alla luce delle censure inerenti i vizi di motivazione per illogicità ed omissione – evidenziare i limiti del sindacato di legittimità.
In primo luogo, va rilevato che al giudice di legittimità è preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione così da proporre una ricostruzione diversa rispetto a quella adottata dal giudice del merito, e ciò anche se una tale nuova valutazione dovesse essere ritenuta maggiormente plausibile e persino dotata di una migliore capacità esplicativa. Ed infatti, già con le Sezioni Unite “Spina” (sent. n. 24 del 24.11.1999, Rv 214794), la Corte di cassazione ha chiarito che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali; l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu acuii, dovendo il
3 GLYPH
sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento.
3.1. E’ il caso poi di precisare che non sono proponibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà su aspetti essenziali sì da imporre diversa conclusione del processo. Pertanto, sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta (così Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O, Rv. 262965).
3.2. Va, altresì, evidenziato che, ai fini del controllo del vizio di motivazione, le due sentenze di merito debbono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale, là dove i giudici dei due gradi utilizzino i medesimi criteri di valutazione delle prove e la sentenza di appello operi ripetuti richiami alla prima sentenza,c.d. doppia conforme (ex nnultis, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sei. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, NOME, Rv. 252615).
Ed infatti, in tal caso, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, con la conseguenza che, ai fini del controllo di legittimità, l’omesso esame di un motivo di appello da parte della Corte di merito non dà luogo a un difetto di motivazione rilevante a norma dell’art. 606 cod. proc. pen. ne’ determina incompletezza della motivazione della sentenza allorché, pur in mancanza di espressa disamina, il motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso perché incompatibile con la struttura e con l’impianto motivazionale nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi delle sentenze di merito. Peraltro, il giudice di appello non è tenuto ad indagare su tutte le argomentazioni elencate in sostegno dell’appello quando esse siano incompatibili con le spiegazioni svolte nella motivazione, poiché in tal modo quelle argomentazioni si intendono assorbite e respinte dalle spiegazioni fornite dal giudice di secondo grado (così Sez. 1, n. 1778 del 21/12/1992, Rv. 194804).
3.3. Ed ancora, è il caso di ricordare che mentre è consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di “travisamento della prova”- che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale – non è affatto permesso dedurre il vizio del “travisamento del fatto”, stante la preclusione per il giudice di legittimità a sovrapporre la propria
4 GLYPH
valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si domanderebbe alla cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, qual è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (ex multis, Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215).
3.4. Va, infine, ribadito che il giudizio sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova è esclusiva prerogativa del merito. Salvo il ricorso ad affermazioni apodittiche o illogiche, la valutazione in ordine alla prevalenza da accordare a taluni elementi probatori, piuttosto che ad altri, e alla fondatezza od attendibilità degli assunti difensivi rientraci infatti, nel libero convincimento del giudice di merito e si sottraggrira al controllo di legittimità. A tal uopo si è osservato che non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (ex multis, Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 25036201).
3.5. In conclusione, va ribadito che il compito affidato al giudice di legittimità consiste nella verifica della congruità logica e della conformità a diritto dell’apparato argomentativo che sorregge il provvedimento impugnato. Diversamente opinando la Corte di cassazione sarebbe l’ennesimo giudice del fatto, mentre la Corte è – e resta – giudice della motivazione.
4- Fatta questa breve (ma doverosa premessa, va innanzitutto rilevato che si è in presenza di una doppia conforme.
La sentenza dei giudici del grado superiore è, infatti, esattamente confermativa di quella di primo grado: la Corte di appello ha operato frequenti riferimenti al percorso motivazionale seguito dal primo giudice e si attenuta ai medesimi criteri nella valutazione del compendio probatorio. Sicchè, la sentenza della Corte di appello di Catanzaro, caratterizzata da uno stile espositivo essenziale, ma congruo e adeguato, deve essere letta necessariamente in uno con quella emessa in primo grado, qualificata da un grado di maggiore precisione nella disamina degli elementi di prova.
4.1. Ebbene, va rilevato che i giudici territoriali – nel ricostruire le vicende sub g) dell’imputazione nei termini sunteggiati al §1.1. del ritenuto in fatto- hanno desunto la responsabilità di NOME COGNOME prevalentemente giAlle dichiarazioni della persona offesa, NOME COGNOME, di cui hanno adeguatamente vagliato l’attendibilità intrinseca ed estrinseca, invero nemmeno oggetto di specifica contestazione. Tali dichiarazioni’ peraltro, secondo la valutazione dei giudici del merito, hanno trovato significativo risconto – benchè non sia applicabile lo speciale
statuto normativo previsto dal comma 3 dell’art. 192 cod. proc. pen. – nel convergente narrato dei testimoni, NOME COGNOME e NOME COGNOME, e nel contenuto delfi/e- video ritraenti gli incontri tra il COGNOME e i fratelli COGNOME (cfr pagg. 11 della sentenza di primo grado).
La doglianza difensiva, introdotta con il terzo motivo di ricorso circa la omessa valutazione da parte dei Giudici di appello della dichiarazione del teste NOME COGNOME, cerca invero di accreditare una diversa lettura delle risultanze istruttorie, proponendo non consentite censure in fatto all’iter argomentativo seguito nelle due conformi sentenze di merito, piuttosto che rappresentare uno dei vizi di motivazione rientranti nel perimetro normativo dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. Ed infatti, secondo la prospettazione difensiva, NOME COGNOME non avrebbe proferito minacce e frasi intimidatorie all’indirizzo del COGNOME perché NOME COGNOME, presente all’incontro tra le parti in causa, non aveva udito alcunchè.
Ma è il caso di osservare che tale chiave di lettura non si confronta con quanto congruamente evidenziato nelle sentenze di merito, ovvero che NOME COGNOME: a) stando alle dichiarazioni di NOME COGNOME, mai contestate e la cui attendibilità non è oggetto di specifica censura difensiva, benchè presente in loco, era rimasto per la maggior parte del tempo in disparte ( pag. 8 della sentenza di appello); b) aveva semplicemente riferito di “non ricordare” intimidazioni da parte del COGNOME ( pag. 12 della sentenza di primo grado).
Tali essendo i fatti, si osserva, in primo luogo, che l’immagine estrapolata dai file-video – ritraente De COGNOME accanto a COGNOME e COGNOME e che il ricorrente pretende di utilizzare per supportare il denunciato “travisamento” per omissione della prova- non è in grado di destrutturare la persuasività della motivazione e di sconfessare il narrato del COGNOME. E ciò per la logica elementare osservazione che il frame del file – video riprende solo un segmento del tutto e, quindi, fornisce dati informativi non completi e non corretti.
Dunque, l’informazione probatoria introdotta dalla difesa, per la sua parzialità, non può avvalorare la lettura difensiva, secondo cui NOME COGNOME sarebbe stato sempre vicino ai due interlocutori e, dunque, in condizione di comprendere l’esatta dinamica degli eventi nonché di percepire il tenore del discorso e tutto ciò che i due si dissero, vieppiù di cogliere il tenore delle frasi che COGNOME proferì all’indirizzo del COGNOME.
In secondo luogo, già nel comune lessico il sintagma “non ricordo” ha un significato semantico differente rispetto alla “negazione”. Tale differenziazione si amplifica sul piano giuridico in punto di efficacia, valenza e forza probatoria da riconnettere alle due affermazioni. E’ indubbio che dal “non ricordo” non possa farsi discendere la prova negativa o positiva di un fatto. E- si ribadisce – stando a
quanto riportato nella sentenza di primo grado- il COGNOME non aveva negato ma riferito di “non ricordare”.
4.2. Quanto poi alle ulteriori doglianze – sollevate con i primi due motivi di ricorso, che possono essere trattate congiuntamente involgendo la medesima questione della assenza di coartazione e comunque della concreta ed effettiva inidoneità della condotta del COGNOME ad intimorire il COGNOME – deve essere rilevato che le deduzioni risultano essere poste anche in sede di appello.
Il Giudice del gravame, attraverso un congruo rinvio alla trama motivazionale della sentenza del Tribunale, ha ravvisato nella condotta posta in essere dal ricorrente l’abuso della qualità di pubblico ufficiale ed ha rilevato una sicura pressione intimidatoria nelle frasi proferite dal COGNOME dapprima direttamente all’indirizzo del COGNOME e poi alla di lui sorella.
Le frasi in questione ( i.e. « non ti preoccupare che quest’anno i controlli verrò a farteli io personalmente» ; « NOME , non dimenticare che io lavoro in Capitaneria di Porto e quesranno faccio io i controlli»; « uomo avvisato mezzo salvato»), secondo la valutazione dei iudici di merito, lasciavano intendere, senza equivoci di sorta, come un atteggiamento non condiscendente avrebbe esposto il COGNOME (e l’attività dallo stesso gestita) a ripercussioni negative e, in tale contesto, costituiva un dato neutro il netto rifiuto del COGNOME a sottostare alle richieste del COGNOME.
4.3. Ebbene unatale valutazione poggia su un ordito motivazionale scevro da vizi di logicità ed errori di diritto. Ed infatti, occorre rilevare che la valenza “minatoria” della frase pronunciata dall’imputato nei confronti di NOME COGNOME per soggiogarne la volontà correttamente è stata misurata non solo alla stregua del tenore lessicale delle parole, ma anche del contesto in cui essa è stata formulata.
Per potere apprezzare le potenzialità concussive, la condotta deve essere calata nelle vicende che – prima e dopo – hanno accompagnato lo sviluppo della richiesta illecita e congruamente i judici di merito hanno stignnatizzato il complessivo modus operandi di COGNOME o COGNOME quale- si legge nella sentenza di primo grado- aveva, anche mediante pressioni su altri condomini (cfr pag. 11 della sentenza del Tribunale , deposizione del teste NOME COGNOME), messo in atto più tentativi per ottenere il rilascio della delega per l’assemblea condominiale per sostenere la posizione della moglie.
Dunque, i decidenti di merito hanno tratto da tutto il complessivo materiale probatorio (documentale e narrativo), in maniera logica e coerente, la valenza concussiva della frase pronunciata dal ricorrente nei confronti di NOME COGNOME, correttamente correlandola anche all’espressione utilizzata il giorno dopo nei confronti della di lui sorella ( « ti ha detto NOME che sono stato da lui? » ; « e
allora ti avviso uomo avvisato mezzo salvato»), per “convincere” il predetto a cedere, prospettandogli chiaramente le conseguenze negative del rifiuto ad essere accondiscendente.
Del resto, è il caso di evidenziare che la condotta di concussione (anche nella sua ipotesi tentata) non è vincolata a forme predeternninate e tassative, essendo sufficiente che essa sia in concreto idonea ad influenzare l’intelletto e la volontà della vittima convincendola, anche solo con frasi indirette e persino con il mero sintomatico atteggiamento, dell’opportunità di provvedere alla esecuzione dell’ingiusta dazione o prestazione per evitare conseguenze dannose.
4.4. Correttamente poi i Giudici di merito hanno escluso che la reazione del COGNOME e il netto rifiuto di rilasciare la delega avessero inciso sulla configurabilità del reato e/o sulla idoneità della condotta ex art. 56 cod. pen. I Giudici territoriali hanno, infatti, applicato i principi di diritto enunciati in subiecta materia dalla Corte di cassazione.
Va, a tal uopo, ricordato che – all’indomani della legge del 6 novembre 2012 n. 190- l’elemento oggettivo del delitto di concussione non va individuato nella maggiore o minore intensità della pressione psicologica esercitata sul soggetto passivo dall’agente pubblico, quanto piuttosto nella tipologia del danno prospettato, che deve essere ingiusto. Non rileva, dunque, di per sé la portata più o meno coartante della minaccia, ma l’ingiustizia del male minacciato, dal momento che l’art. 317 cod. pen. non contiene alcun riferimento all’intensità del “metus” e/o allo stato di soggezione della vittima (ex multis, Sez. 6, n. 37475 del 21.1.2014, Rv 260793; Sez.6 n 9429 del 2/03/2016, RV 267277; Sez.3 n 364 del 17/09/2019, Rv 278392; Sez. 6 n 30994 del 05/04/2018, Rv 273596).
Dunque, la “minaccia” della concussione deve essere idonea a coartare la volontà del soggetto, ma non è richiesto che l’abuso della qualità o dei poteri da parte del pubblico ufficiale determini effettivamente uno stato soggettivo di timore per la vittima.
Nel caso in esame, peraltro, non vi è dubbio che la qualifica di sottufficiale della Capitaneria di Porto e le funzioni svolte in concreto da NOME COGNOME rendessero oltremodo credibile l’atto intimidatorio e lo “colorassero” di idoneità rispetto all’obiettivo di costringere NOME COGNOME a corrispondere l’indebita utilità, rectius a rilasciare la delega ( ex multis, Sez. 6, n. 11477 del 28/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275165; Sez. 6, n. 24272 del 24/4/2009, Convertino, Rv. 244364; Sez. 6, n. 23801 del 2/2/2004, COGNOME, Rv. 229641). E sul punto, come congruamente ricostruito in sentenza, l’assoluta credibilità dell’intenzione del COGNOME di creare problemi al COGNOME, quale diretta conseguenza del rifiuto di sottostare alle sue pretese, traspariva dal complessivo modus operandi del
ricorrente che non aveva esitato ad esercitare una forte pressione sia direttamente sul COGNOME stesso fsia nei confronti della di lui sorella.
Ineccepibile, perché logica e aderente al dato probatorio, è dunque la lettura ed interpretazione da parte dei decidenti di merito della condotta realizzata dal ricorrente sia in termini di costrizione concussiva, non risultando individuabile alcun vantaggio indebito per la persona offesa, sia in termini di abuso delle funzioni, posto che l’imputato, evocando la qualifica rivestita e le funzioni in concreto svolte, prospettava come dato certo il controllo- che peraltro avrebbe effettuato di persona – sull’attività balneare, si dà creare problemi (ex multis, Sez. F., n38658 del 08/08/2019, Rv.277305: «… è necessaria l’oggettiva efficacia intimidatoria della condotta, mentre è indifferente il conseguimento del risultato concreto di porre la vittima in stato di soggezione»).
Che poi la condotta del COGNOME possedesse una oggettiva efficacia intimidatoria e che una tale portata fosse stata percepita anche dai fratelli COGNOME si desume in via logica anche dalla successiva denuncia sporta da NOME COGNOME.
A tali argomentazioni segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrenteai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.- al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, 01/10/2025