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Tentata concussione: la minaccia implicita è reato

Un alto funzionario pubblico è stato ritenuto colpevole di tentata concussione per aver esercitato pressioni sui membri di una commissione di selezione al fine di favorire un candidato. La Corte di Cassazione ha chiarito che la minaccia non deve essere esplicita, ma può essere implicita, velata e desumibile dal contesto e dalla posizione di potere dell’agente. Sebbene il reato sia stato dichiarato estinto per prescrizione, la Corte ha confermato la colpevolezza dell’imputato ai fini delle statuizioni civili, sottolineando la gravità della condotta abusiva.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentata Concussione: La Sottile Linea tra Pressione e Minaccia per il Pubblico Ufficiale

Il reato di tentata concussione si configura anche quando la minaccia del pubblico ufficiale non è esplicita, ma velata e percepibile dal contesto e dalla disparità di posizioni. Una recente sentenza della Corte di Cassazione analizza un caso emblematico, offrendo chiarimenti cruciali sulla natura della condotta costrittiva e sulla sua distinzione dall’induzione indebita, anche quando le vittime sono altri funzionari pubblici.

I Fatti del Processo

Il caso riguarda il Presidente del Consiglio comunale di una grande città, condannato per aver tentato di costringere due dirigenti comunali, membri di una commissione di selezione, a modificare la loro scelta su un candidato per un importante incarico. L’imputato, abusando della sua posizione di vertice, aveva esercitato forti pressioni per favorire un candidato a lui vicino, a discapito di quello scelto dalla commissione.

Le pressioni si erano manifestate attraverso un comportamento adirato, la convocazione di uno dei commissari nel suo ufficio per contestare la decisione e, successivamente, l’invio di email allusive all’altro commissario, chiedendo informazioni sul personale a lui coordinato. Questo secondo atto era stato interpretato come una velata minaccia riguardante la posizione di un stretto collaboratore del commissario.

L’analisi della Corte sulla tentata concussione

La difesa dell’imputato sosteneva che non vi fosse stata una vera e propria minaccia di un male ingiusto (contra ius), ma solo una manifestazione di disappunto, e che le vittime, in quanto pubblici ufficiali, avessero un particolare dovere di resistere a tali pressioni. Inoltre, si ipotizzava che le vittime potessero avere un interesse utilitaristico ad accondiscendere alle richieste per ottenere futuri vantaggi.

La Corte di Cassazione, confermando le decisioni dei giudici di merito, ha respinto queste argomentazioni. Ha ribadito un principio fondamentale: la minaccia nel delitto di concussione non deve necessariamente essere esplicita o brutale. Può essere anche implicita, velata, allusiva e manifestarsi con toni apparentemente ‘morbidi’ o sotto forma di ‘consiglio’. Ciò che conta è la sua idoneità oggettiva a incutere timore nella vittima, coartandone la libertà di autodeterminazione.

Nel caso specifico, sono stati valorizzati diversi elementi:

* La posizione apicale dell’imputato.
* L’assenza di qualsiasi titolo per interferire nel processo di selezione.
* Il rapporto fiduciario con il candidato che intendeva favorire.
* La posizione subordinata delle persone offese all’interno della struttura comunale.

Questi fattori, nel loro insieme, hanno trasformato la condotta dell’imputato in un atteggiamento oggettivamente idoneo a coartare la volontà dei commissari.

La distinzione tra Concussione e Induzione Indebita

Un altro punto cruciale affrontato è la differenza tra concussione (art. 317 c.p.) e induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater c.p.). La Corte ha chiarito che si ha concussione quando il pubblico ufficiale, con violenza o minaccia, pone la vittima di fronte a una scelta obbligata: subire un danno ingiusto o cedere alla richiesta illecita. La vittima, quindi, non ha alcun reale margine di scelta e non consegue alcun vantaggio indebito.

Nel caso dell’induzione indebita, invece, l’azione del pubblico ufficiale è più sfumata (persuasione, suggestione) e la vittima, pur subendo una pressione, mantiene margini decisionali più ampi, prestando acquiescenza in vista di un proprio tornaconto personale. Nel caso esaminato, i giudici hanno concluso che i commissari avevano subito una vera e propria coartazione, senza prefigurarsi alcun vantaggio personale, integrando così il delitto di tentata concussione.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che la percezione della minaccia da parte delle vittime era fondata su elementi oggettivi e non su una mera soggezione psicologica. Il comportamento dell’imputato aveva superato il limite della legittima manifestazione di dissenso, trasformandosi in un’ingerenza abusiva finalizzata a piegare la volontà altrui. Il fatto che le vittime fossero altri pubblici ufficiali non esclude il reato, ma richiede una valutazione più attenta dell’idoneità della condotta a superare il loro specifico dovere di resistenza. In questo caso, la Corte ha ritenuto che la pressione esercitata fosse oggettivamente sufficiente a creare uno stato di coazione psicologica senza scelta, escludendo qualsiasi prospettiva di vantaggio per le vittime.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza senza rinvio, ma solo perché il reato era nel frattempo estinto per prescrizione. Tuttavia, l’analisi nel merito ha portato alla conferma della colpevolezza dell’imputato. Di conseguenza, sono state confermate le statuizioni civili, con la condanna dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile. Questa sentenza ribadisce con forza che l’abuso di potere, anche se manifestato in forme non esplicite, costituisce una grave violazione dei doveri di un pubblico ufficiale e integra il reato di concussione quando limita la libertà di scelta altrui attraverso la prospettazione, anche implicita, di un danno ingiusto.

Per configurare la tentata concussione, la minaccia del pubblico ufficiale deve essere esplicita?
No, la minaccia non deve essere necessariamente esplicita o brutale. Può essere anche implicita, velata, allusiva o assumere la forma di un consiglio, purché sia oggettivamente idonea a incutere timore e a coartare la libertà di scelta della vittima, tenuto conto del contesto e della posizione di potere dell’agente.

Un altro pubblico ufficiale può essere vittima del reato di concussione?
Sì. Anche se un pubblico ufficiale ha un particolare obbligo di resistenza alle pressioni, può essere vittima di concussione. In questi casi, è necessaria una valutazione rigorosa per verificare che la condotta dell’agente sia stata oggettivamente idonea a superare tale obbligo, creando uno stato di coazione che limita la libertà di autodeterminazione.

Cosa succede se il reato viene dichiarato estinto per prescrizione in Cassazione?
Se la Corte di Cassazione dichiara il reato estinto per prescrizione, la condanna penale viene annullata e non produce effetti. Tuttavia, se la Corte, prima di dichiarare la prescrizione, ha analizzato il merito del ricorso e confermato la colpevolezza dell’imputato, le statuizioni civili (come il risarcimento del danno alla parte civile) possono essere confermate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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