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Tempus regit actum: quale legge si applica all’appello?

La Corte di Cassazione ha rigettato un ricorso, chiarendo l’applicazione del principio tempus regit actum in caso di successione di leggi processuali. È stato stabilito che, per gli atti di impugnazione, si applica la legge in vigore al momento dell’emissione della sentenza impugnata, non quella successiva. Questa decisione tutela l’affidamento delle parti e la certezza del diritto, confermando che il termine a comparire per l’udienza d’appello era quello previsto dalla normativa previgente alla Riforma Cartabia.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tempus regit actum e riforme processuali: la Cassazione fa chiarezza

Il principio tempus regit actum, secondo cui un atto è disciplinato dalla legge in vigore al momento del suo compimento, è una colonna portante del nostro ordinamento. Ma cosa succede quando una riforma processuale interviene a processo già iniziato? Con la sentenza n. 14100/2024, la Corte di Cassazione fornisce un’interpretazione fondamentale, specialmente in relazione alle norme sull’appello penale modificate dalla Riforma Cartabia. La Corte stabilisce un punto fermo sulla tutela dell’affidamento delle parti e sulla certezza del diritto.

I fatti del caso

Un imputato, condannato in primo grado nel 2015 per il reato di ricettazione (art. 648 c.p.), proponeva appello nello stesso anno. La Corte d’Appello, con sentenza del 2023, riformava parzialmente la decisione, confermando nel resto la condanna. Il decreto di citazione per il giudizio d’appello veniva emesso nel luglio 2023, dopo l’entrata in vigore della Riforma Cartabia (d.lgs. 150/2022), la quale aveva raddoppiato il termine minimo a comparire da venti a quaranta giorni (art. 601 c.p.p.).

L’imputato, tramite il suo difensore, ricorreva per cassazione lamentando, tra gli altri motivi, proprio la violazione di tale nuovo termine, sostenendo che dovesse applicarsi la legge vigente al momento dell’emissione della citazione e non quella in vigore al tempo della proposizione dell’appello.

La questione di diritto: l’applicazione del principio tempus regit actum

Il cuore della controversia legale risiede nell’individuare la norma processuale corretta da applicare. Da un lato, la difesa sosteneva l’immediata applicabilità della nuova norma sui termini a comparire, in base a una rigida interpretazione del principio tempus regit actum. Dall’altro, si poneva la questione della tutela delle situazioni giuridiche già consolidate e dell’affidamento riposto dalle parti nelle regole processuali vigenti al momento dell’avvio dell’impugnazione.

La Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere se il “momento” rilevante per l’applicazione del tempus regit actum fosse quello dell’emissione del singolo atto processuale (la citazione a giudizio) o quello, antecedente, in cui è sorto il diritto all’impugnazione (l’emissione della sentenza di primo grado).

Altri motivi di ricorso

Oltre alla questione principale sui termini, il ricorrente contestava l’utilizzabilità di un verbale di arresto di un’altra persona, ritenendolo acquisito in violazione del diritto di difesa. Infine, chiedeva una diversa qualificazione giuridica del fatto, sostenendo che si trattasse di un’ipotesi di reato meno grave. Entrambi i motivi sono stati giudicati infondati dalla Corte.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte, nel rigettare il ricorso, ha offerto un’analisi approfondita e chiarificatrice del principio tempus regit actum in materia di impugnazioni. I giudici hanno affermato che, in assenza di una specifica disciplina transitoria, il regime applicabile va individuato con riferimento al momento in cui è stato emesso il provvedimento impugnato, e non al momento della proposizione del gravame o dei singoli atti successivi.

Questo approccio, già consolidato dalle Sezioni Unite, si fonda sulla necessità di tutelare l’affidamento delle parti. Chi decide di impugnare una sentenza deve poter fare affidamento sul quadro normativo esistente in quel momento per valutare la facoltà, l’estensione, i modi e i termini per esercitare il proprio diritto. Consentire a una legge successiva di modificare retroattivamente tali regole creerebbe incertezza e potrebbe pregiudicare il diritto di difesa. Il potere di impugnazione, spiegano i giudici, “trova la sua genesi proprio nella sentenza e non può che essere apprezzato in relazione al momento in cui questa viene pronunciata”.

Di conseguenza, poiché sia la sentenza di primo grado che l’atto di appello risalivano al 2015, la disciplina applicabile era quella previgente alla Riforma Cartabia. Il termine a comparire di venti giorni, rispettato dalla Corte d’Appello, era dunque corretto. Il decreto di citazione a giudizio, pur emesso nel 2023, non è un atto autonomo, ma un atto esecutivo strettamente ancorato alla sentenza di primo grado che legittima l’intero procedimento di appello.

Per quanto riguarda gli altri motivi, la Corte ha dichiarato inammissibile la doglianza sul verbale di arresto perché la difesa non aveva sollevato alcuna eccezione tempestiva durante il dibattimento di primo grado. Infine, ha rigettato la richiesta di riqualificazione del reato come un mero tentativo di riesaminare il merito della vicenda, attività preclusa nel giudizio di legittimità.

Le conclusioni

La sentenza consolida un principio di fondamentale importanza per la stabilità dei processi giudiziari. In caso di successione di leggi processuali, la norma da applicare agli atti di impugnazione è quella in vigore al momento dell’emissione della sentenza impugnata. Questa interpretazione del tempus regit actum garantisce certezza e prevedibilità, valori essenziali per un giusto processo, e impedisce che le riforme legislative possano creare disparità o ledere diritti processuali già maturati.

Quando cambia una legge processuale, quale versione si applica a un appello già in corso?
Si applica la legge in vigore al momento in cui è stata emessa la sentenza che si sta impugnando. Il principio tempus regit actum va ancorato al momento in cui sorge il diritto di impugnazione, per tutelare la certezza del diritto e l’affidamento delle parti nel quadro normativo esistente.

È possibile contestare per la prima volta in Cassazione l’acquisizione di un documento non contestato nei gradi precedenti?
No, la Corte ha ritenuto il motivo inammissibile perché la difesa ha l’onere di sollevare una tempestiva eccezione processuale, in questo caso durante il dibattimento di primo grado. La mancata contestazione in quella sede preclude la possibilità di sollevare la questione in Cassazione.

Quale termine a comparire si applica se l’appello è stato proposto prima della Riforma Cartabia ma la citazione è emessa dopo?
Si applica il termine previsto dalla legge vigente al momento della proposizione dell’appello. Nel caso specifico, il termine era di venti giorni (norma previgente) e non di quaranta giorni (introdotto dalla Riforma Cartabia), poiché il diritto a impugnare era sorto sotto l’egida della vecchia normativa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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