Tempus Commissi Delicti e Prescrizione: A Chi Spetta l’Onere della Prova?
La determinazione del tempus commissi delicti, ovvero il momento esatto in cui un reato è stato perpetrato, è un elemento cardine del diritto penale, soprattutto per il calcolo della prescrizione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: se l’imputato vuole retrodatare il reato per beneficiare dell’estinzione, spetta a lui fornire le prove. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti del Caso
Il caso riguarda un uomo condannato in appello per il reato di cui all’art. 334 del codice penale, ossia la sottrazione di un bene sottoposto a sequestro. Nello specifico, l’imputato era stato nominato custode di un ciclomotore sequestrato nel gennaio del 2007. Tuttavia, la sparizione del veicolo veniva accertata solo molto tempo dopo, nell’ottobre del 2014.
Di fronte alla condanna, l’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo principalmente che il reato dovesse considerarsi prescritto. A suo dire, la sottrazione doveva essere fatta risalire al momento del sequestro (2007) e non a quello del successivo accertamento (2014). Sostanzialmente, il ricorso si basava su vizi di motivazione e violazione di legge relativi alla qualificazione del fatto e al calcolo del tempus commissi delicti.
L’Analisi della Corte di Cassazione sul Tempus Commissi Delicti
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo su tutta la linea le argomentazioni della difesa. I giudici hanno sottolineato come i motivi del ricorso fossero generici e, in parte, non proponibili in sede di legittimità.
In primo luogo, la questione della qualificazione giuridica del fatto non era mai stata sollevata nei precedenti gradi di giudizio e non poteva essere introdotta per la prima volta in Cassazione. Questo perché una simile valutazione avrebbe richiesto una nuova analisi dei fatti, attività preclusa alla Suprema Corte.
Il punto cruciale, però, riguarda la prescrizione e il tempus commissi delicti. La Corte di Cassazione ha confermato l’operato della Corte d’Appello, la quale aveva correttamente evidenziato un principio consolidato in giurisprudenza: la data di accertamento del reato costituisce una presunzione valida dell’epoca di commissione. Se l’imputato intende contestare tale data, sostenendo che il fatto sia avvenuto prima, ha l’onere di fornire prove concrete. Non è sufficiente una mera allegazione, ma è necessario presentare elementi capaci di ‘confutare la valutazione presuntiva’ e rendere ‘almeno dubbia l’epoca di commissione del fatto’.
Le Motivazioni della Decisione
La decisione della Corte si fonda su una logica procedurale rigorosa. Dichiarare un ricorso inammissibile significa che le argomentazioni non hanno nemmeno i requisiti per essere discusse nel merito. In questo caso, i motivi erano ‘indeducibili e generici’.
La Corte ha ribadito che la retrodatazione del reato non è automatica. L’imputato non aveva fornito alcuna prova a sostegno della sua tesi che la sottrazione fosse avvenuta già nel 2007. Di conseguenza, in assenza di dimostrazioni contrarie, la data di riferimento rimane quella dell’accertamento (2014).
Inoltre, i giudici hanno notato che all’imputato era stata contestata anche la recidiva reiterata. Questo elemento ha ulteriormente contribuito a escludere che il reato potesse essere prescritto al momento della sentenza d’appello.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: nel processo penale, chi afferma un fatto a proprio vantaggio deve provarlo. Nel contesto della prescrizione, se la data di un reato è incerta e viene stabilita presuntivamente al momento dell’accertamento, l’imputato non può limitarsi a suggerire una data precedente. Deve fornire prove concrete e specifiche che possano almeno ingenerare un dubbio ragionevole nel giudice. Questa decisione rafforza la stabilità delle sentenze e impedisce che motivi di ricorso generici e non provati possano essere usati per eludere la giustizia attraverso l’istituto della prescrizione.
Quando si considera commesso un reato di sottrazione di un bene sequestrato se la data esatta è incerta?
Secondo la Corte, in assenza di prove contrarie, il reato si considera commesso al momento del suo accertamento. Nel caso di specie, la data considerata è quella in cui si è constatata la sottrazione del veicolo, non quella del sequestro iniziale.
A chi spetta l’onere di provare una data diversa di commissione del reato per far valere la prescrizione?
L’onere della prova spetta all’imputato. Se l’imputato sostiene che il reato è stato commesso in una data anteriore a quella accertata per beneficiare della prescrizione, deve fornire elementi di prova idonei a rendere almeno dubbia l’epoca di commissione del fatto.
È possibile contestare per la prima volta in Cassazione la qualificazione giuridica di un reato?
No, la Corte ha stabilito che la qualificazione giuridica del fatto, se non contestata nei motivi di appello, non può essere proposta per la prima volta con il ricorso in Cassazione, poiché ciò comporterebbe una ricostruzione dei fatti preclusa in sede di legittimità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 44471 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 44471 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 25/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANIA il 13/11/1970
avverso la sentenza del 20/09/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminati i motivi del ricorso di R.F. COGNOME; dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che il ricorso, relativo a condanna per il reato di cui all’art. 334 cod. pen. è proposto per motivi indeducibili e generici sulla esistenza di vizi di motivazione, ridondanti in vizi di violazione di legge, ai fini della qualificazione giuridica del fatto e del tempus commissi delicti, in relazione alla decorrenza della prescrizione.
La qualificazione giuridica del fatto non era stata contestata con i motivi di appello e non può essere proposta con l’odierno ricorso poiché involge una operazione di ricostruzione dei fatti preclusa in sede di legittimità.
La Corte di appello, ai fini del computo del termine di prescrizione, ha evidenziato che la retrodatazione del fatto al momento della sottoposizione a sequestro del veicolo (nel caso risalente al 22 gennaio 2007) deve essere oggetto di prova attraverso l’allegazione della esistenza di situazioni idonee a confutare la valutazione presuntiva e a rendere almeno dubbia l’epoca di commissione del fatto (Sez. 6, n. 9557 del 06/02/2020, Rv. 278666), evenienze nel caso indimostrate a fronte dell’accertamento del 2 ottobre 2014 con il quale si constatava la sottrazione del ciclomotore affidato in custodia all’imputato (al quale è contestata anche la recidiva reiterata, sicché il reato non era certamente prescritto al momento della pronuncia della sentenza impugnata).
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 25 ottobre 2024