Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 34942 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 34942 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 17/09/2025
In nome del Popolo RAGIONE_SOCIALE
PRIMA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
CC – 17/09/2025
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
avverso l’ordinanza del 09/04/2025 della Corte d’appello di Reggio Calabria lette le conclusioni del AVV_NOTAIO che chiedeva dichiararsi il ricorso inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Reggio Calabria, quale giudice dell’esecuzione, con provvedimento del 9 aprile 2025 dichiarava inammissibile l’istanza depositata nell’interesse di COGNOME NOME volta ad ottenere la declaratoria di illegalità della pena inflitta al medesimo COGNOME dalla Corte di Appello con sentenza del 15 aprile 2022.
Avverso detto provvedimento propone ricorso il condannato a mezzo del difensore di fiducia lamentando con unico motivo la violazione degli artt. 125 comma 3 cod. proc. pen., 25 comma 3 Cost. e art. 7 CEDU.
Secondo il ricorrente, è irrilevante il fatto che la pena rientri nella forbice edittale corretta perché, per determinarla, sono stati presi a riferimento parametri non corretti.
Secondo il pacifico insegnamento di questa Corte in materia di successione di leggi penali nel tempo, nei reati permanenti in cui la contestazione sia effettuata nella forma cd. “aperta” o a “consumazione in atto”, senza indicazione della data di cessazione della condotta illecita, la regola processuale secondo cui la permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado non equivale a presunzione di colpevolezza fino a quella data, spettando all’accusa l’onere di fornire la prova del protrarsi della condotta criminosa fino all’indicato ultimo limite processuale e all’imputato l’onere di allegazione di eventuali fatti interruttivi della partecipazione al sodalizio (Sez. 2, n. 37104 del 13/06/2023, COGNOME, Rv. 285414 – 01: fattispecie relativa alla partecipazione ad associazione per delinquere di tipo mafioso, in cui era necessario individuare il momento dell’eventuale cessazione dell’appartenenza degli imputati al sodalizio criminoso, in particolare nel caso di modifica in peius del trattamento sanzionatorio a seguito di successione di leggi nel tempo).
La sentenza summenzionata proseguiva affermando «che, in difetto di impugnazione su questo profilo, la Corte di appello – così come ora, vieppiù, questa Corte – non poteva rilevare di ufficio la questione dello ius superveniens che riguarda pur sempre un profilo concernente la dimostrazione del fatto-reato come contestato e che doveva essere oggetto di puntuale e specifica censura perché potesse, successivamente, rilevare la questione – di diritto – relativa alla individuazione di colui cui spetta l’onere della prova (diretta o contraria) della permanenza della affiliazione.
La questione inerente la permanenza della affiliazione al sodalizio non ha mai costituito un fatto controverso nel giudizio relativa al COGNOME; pertanto, nel caso di specie non ha senso interrogarsi sulla distribuzione dell’onere probatorio, poiché, appunto, la questione non ha costituito oggetto di contestazione.
Il ricorrente è stato definitivamente condannato per il suo ruolo nell’associazione mafiosa fino alla data della sentenza di primo grado (28/5/2019) e, quindi, correttamente è stata applicata la normativa introdotta nel 2015.
Né, a fronte di un accertamento definitivo circa il perdurare del vincolo associativo, che ha fatto oggetto anche di precedente scrutinio di questa Corte, che ha dichiarato inammissibile il ricorso del COGNOME in punto di trattamento sanzionatorio, è possibile recuperare in sede esecutiva la valutazione circa il perdurare della affiliazione, che è questione di merito che non è mai stata oggetto di controversia durante tutti i gradi del giudizio.
Del resto, per costante insegnamento di questa Corte, che qui si intende ribadire «il giudice dell’esecuzione ha il potere-dovere di interpretare il giudicato e di renderne espliciti il contenuto e i limiti, ricavando dalla sentenza irrevocabile tutti gli elementi, anche non chiaramente espressi, che siano necessari per le finalità esecutive» (Sez. 1, sez.. 1, n. 30609 del- 15/04/2014, Raia, rv. 261087).
Diversamente opinando si dovrebbe ritenere consentito al giudice dell’esecuzione, in presenza di un accertamento incontestato operato dal giudice della cognizione, di rivalutare l’ampiezza della condotta partecipativa; tale attività non è consentita al giudice della esecuzione in tema di recidiva, ad esempio, (Sez. 1, n. 13398 del 19/02/2013 Rv. 256021), né in tema di continuazione, ove vi sia già una pronuncia del giudice della cognizione, (Sez. 1, n. 35460 del 11/05/2021, Petrone, Rv. 282001 – 01) né in tema di tempus commissi delicti, posto che si è affermato che in sede esecutiva non è consentito modificare la data del commesso reato, accertata nel giudizio di cognizione con sentenza passata in giudicato, anche quando il tempus commisi delicti non sia precisamente indicato nell’imputazione. (Fattispecie di rigetto della richiesta di indicazione della data finale di permanenza del reato associativo mafioso, contestato in forma aperta, in senso difforme da quanto accertato dal giudice della cognizione che non aveva indicato una data di cessazione della condotta anteriore alla sentenza di primo grado) (Sez. 1, n. 25219 del 20/05/2021, Piacenti, Rv. 281443 – 01).
Il caso in esame è sovrapponibile a quello testé richiamato: la durata della condotta partecipativa, contestata in forma aperta, come visto, è stata fissata fino alla data della sentenza di primo grado e, si ribadisce, tale questione non è mai stata oggetto di contestazione durante il giudizio di cognizione, divenendo dunque questione accertata in via definitiva.
Il provvedimento impugnato ha dunque correttamente dichiarato inammissibile la richiesta del ricorrente, ponendosi in perfetta osservanza dei principi di diritto testé richiamati con una motivazione GLYPH congrua e non scalfita dalle argomentazioni critiche contenute nell’atto di gravame.
Il ricorso deve dunque essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 17 settembre 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME