Tempus Commissi Delicti: Quando la Sentenza Definitiva Fissa un Punto Fermo
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio cardine del diritto processuale penale: il tempus commissi delicti, ovvero il periodo in cui un reato è stato commesso, una volta definito con precisione da una sentenza passata in giudicato, non può essere modificato in fase di esecuzione. Questa decisione sottolinea la netta separazione tra il giudizio di cognizione, dove si accertano i fatti, e la fase esecutiva, deputata a dare attuazione alla condanna.
I Fatti del Caso: La Richiesta di Ridefinire la Durata del Reato Associativo
Il caso trae origine dal ricorso di un individuo condannato per partecipazione a un’associazione criminale finalizzata al traffico di stupefacenti. La sentenza di condanna, divenuta irrevocabile, aveva stabilito che la sua condotta si era protratta per un periodo ben definito: “da settembre 2011 fino a tutto il 2015”.
L’interessato, che era stato arrestato il 22 gennaio 2014, si era rivolto al giudice dell’esecuzione chiedendo di dichiarare che la sua partecipazione al sodalizio criminale fosse cessata proprio alla data del suo arresto e non alla fine del 2015, come indicato in sentenza.
La Corte d’Appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva respinto la richiesta, sostenendo che il proprio compito è quello di interpretare ed eseguire il giudicato, non di modificarne il contenuto fattuale, come il tempus commissi delicti.
Il Principio del Giudicato e l’Intangibilità del Tempus Commissi Delicti
Il ricorrente ha impugnato la decisione della Corte d’Appello dinanzi alla Cassazione, sostenendo che la data finale del 2015 fosse puramente “convenzionale” e priva di riscontri fattuali, e che l’arresto avrebbe dovuto segnare la fine logica della sua partecipazione.
La Suprema Corte, tuttavia, ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto l’operato del giudice dell’esecuzione. I giudici hanno chiarito che, quando il processo di cognizione accerta in modo preciso e delimitato il momento consumativo del reato, tale accertamento acquista la forza del giudicato e non può essere messo in discussione successivamente.
Le Motivazioni della Corte
La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su argomentazioni nette e consolidate. In primo luogo, ha evidenziato che la sentenza di condanna aveva utilizzato la tecnica della cosiddetta “contestazione chiusa”, fissando gli estremi temporali della condotta in modo inequivocabile. I giudici di merito, nell’esaminare la posizione specifica del ricorrente, non avevano ritenuto di dover delimitare diversamente il periodo della sua partecipazione, che quindi rimaneva fissato al 31 dicembre 2015.
In secondo luogo, la Corte ha ribadito che il giudice dell’esecuzione ha il potere-dovere di interpretare il giudicato per renderne espliciti contenuto e limiti, ma non ha facoltà di modificare gli elementi di fatto accertati in via definitiva. Alterare il tempus commissi delicti equivarrebbe a una revisione del merito della sentenza, attività preclusa in fase esecutiva.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame rafforza il principio della stabilità del giudicato penale. La determinazione del tempus commissi delicti è un accertamento di fatto che appartiene esclusivamente al giudice della cognizione. Una volta che la sentenza è diventata definitiva, tale dato non è più negoziabile. L’arresto di un partecipe a un’associazione criminale non comporta automaticamente la cessazione della sua condotta, la cui durata deve essere provata e definita nel corso del processo. Per gli operatori del diritto e per i cittadini, questa pronuncia è un chiaro monito: gli elementi fattuali cristallizzati in una sentenza irrevocabile, inclusa la cornice temporale del reato, sono intangibili nella fase di esecuzione della pena.
È possibile modificare la data di commissione di un reato dopo la condanna definitiva?
No, secondo l’ordinanza, se il tempus commissi delicti è stato definito con precisione nella sentenza passata in giudicato, il giudice dell’esecuzione non ha il potere di modificarlo.
Cosa si intende per “contestazione chiusa” in un processo penale?
Si tratta di una tecnica di formulazione dell’accusa in cui il periodo di tempo della condotta criminale viene specificato con un termine iniziale e uno finale precisi, come nel caso di specie “dal settembre 2011” e “fino a tutto il 2015”.
L’arresto determina automaticamente la fine della partecipazione a un’associazione a delinquere?
No, non necessariamente. La fine della partecipazione è un fatto che deve essere accertato nel giudizio di cognizione. In questo caso, la sentenza definitiva aveva stabilito che la condotta si era protratta oltre la data dell’arresto, e questa valutazione non può essere rivista in fase di esecuzione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 28829 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 28829 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il 24/03/1963
avverso l’ordinanza del 14/02/2025 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Rilevato in fatto e considerato in diritto
Considerato che le censure dedotte nel ricorso nell’interesse di NOME COGNOME sono manifestamente infondate, oltre che reiterative di rilievi analiticamente affrontati dalla Corte di appello di Napoli, quale giudice dell’esecuzione.
Detta Corte, invero, dopo avere premesso che il giudice dell’esecuzione ha il potere-dovere di interpretare il giudicato e di renderne espliciti il contenuto e i limiti, ricavando dalla sentenza irrevocabile tutti gli elementi, anche non chiaramente espressi, che siano necessari per le finalità esecutive, e che con riguardo al tempus commissi delicti per principio generale in sede esecutiva non è consentito modificare la data del commesso reato, accertata nel giudizio di cognizione con sentenza passata in giudicato quando il momento di consumazione sia individuato in sede di cognizione in termini precisi e delimitati, rileva che nel caso in esame la configurazione della condotta partecipativa è avvenuta secondo la tecnica della cosiddetta contestazione chiusa, poiché sono stati precisati gli estremi temporali della condotta con termine iniziale “dal settembre 2011” e termine finale “fino a tutto il 2015”, e che i giudici della cognizione, nell’esaminare la specifica posizione di NOME COGNOME esponente apicale di associazione criminale dedita al narcotraffico, non hanno delimitato diversamente il tempus commissi delicti che, in virtù della operata contestazione chiusa, resta, quindi, determinato alla data del 31/12/2015; e che, sulla base di queste considerazioni, deve essere disattesa la richiesta di NOME COGNOME di voler dichiarare, in relazione alla sentenza di appello irrevocabile il 21 giugno 2019, la partecipazione alla condotta associativa ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 cessata a far luogo dal 22 gennaio 2014, data di espiazione della pena. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Rilevato, pertanto, che il ricorso, nel quale si insiste sul carattere convenzionale della data indicata in detta sentenza per la partecipazione all’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, sulla assenza di riferimenti fattuali sino a tutto il 2015 e sul fatto che la stessa dovesse ritenersi cessata con la cessazione della commissione dei reati fine coincidente con l’arresto di Aieta avvenuto alla data del 22 gennaio 2014, deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 3 luglio 2025.