Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 47577 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 47577 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato ad Africo il 24/4/1974
avverso l’ordinanza del 28/5/2024 del Tribunale di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di annullare con rinvio l’ordinanza impugnata; udito l’Avv. NOME COGNOME difensore del ricorrente, che ha chiesto di accogliere il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 28 maggio 2024 il Tribunale di Catanzaro ha confermato il provvedimento emesso il 17 aprile 2024 dal Giudice per le indagini preliminari
T
dello stesso Tribunale con cui a NOME COGNOME è stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere in relazione ai delitti di cui ai capi 1) e 231).
Avverso l’anzidetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagato, che ha dedotto l’erronea applicazione degli artt. 274 e 275 cod. proc. pen. nonché vizi della motivazione in ordine alla scelta della misura coercitiva della custodia in carcere, ritenuta idonea e proporzionata in relazione alle esigenze cautelari. Il Tribunale avrebbe trascurato di considerare il tempo silente, significativo di un allontanamento del ricorrente dal sodalizio, al quale avrebbe partecipato per un breve lasso, coincidente con la contestazione del reato fine di cui al capo 231) e, quindi, limitato a pochi giorni a ridosso del 29 giugno 2021. Le dichiarazioni del collaboratore COGNOME si riferirebbero a un tempo che non va oltre il mese di gennaio 2013: da lì in avanti nessun’altra chiamata in correità del ricorrente sarebbe stata effettuata. Sarebbe stata trascurata, quindi, la presenza di una pluralità di elementi concreti, atti a formulare una prognosi negativa in termini di pericolosità sociale, concreta ed attuale del ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Nei confronti dell’indagato sono stati ritenuti sussistenti gravi indizi di colpevolezza in ordine sia alla partecipazione al sodalizio, dedito al narcotraffico di cui al capo 1), con il ruolo di stabile fornitore alle dirette dipendenze di NOME COGNOME, sia alla cessione di stupefacente di cui al capo 231) dell’imputazione provvisoria.
Il Tribunale, dopo avere evidenziato che il ricorrente rivestiva la posizione di stabile fornitore di sostanza stupefacente nell’ambito dell’associazione finalizzata al traffico illecito di tali sostanze, ha rimarcato che «la struttura associativa particolarmente allarmante nella sua capacità di approvvigionamento di notevoli quantitativi di droga, avendo una stabile base economica e una stabile ramificazione sul terrìtorio, che consente ai sodali, anche singolarmente, di distribuire la sostanza stupefacente coprendo un vasto mercato, avendo la possibilità di trafficare droghe sia pesanti che leggere. L’attività del sodalizio radicata nel tempo ed è continuata indisturbata anche in seguito all’arresto di alcuni acquirenti e corrieri e al sequestro dello stupefacente. In tale contesto si inserisce l’odierno ricorrente, che con la sua attività ha consentito all’associazione di perseverare nell’illecita attività, arricchendosi con lo spaccio di droga».
Il Tribunale ha aggiunto che la collocazione delle condotte al 2021 risultava dovuta all’interruzione del monitoraggio e che la pervicacia, dimostrata nel compimento delle condotte illecite da parte della consorteria criminale per tutto il periodo monitorato, poteva indurre a ritenere che tali attività fossero proseguite anche in momenti successivi alle intercettazioni, non emergendo alcun elemento specifico che potesse far ritenere cessati i rapporti di collaborazione, con conseguente allontanamento dell’indagato dal contesto criminale, atteso che le incomprensioni tra l’indagato e NOME COGNOME erano state superate e i due sodali avevano concordato un nuovo incontro.
3. Alla luce di tali argomentazioni va precisato che questo Collegio condivide il più recente approdo di legittimità secondo il quale, in tema di misure cautelari, pur se per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. è prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47, e un’esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, potendo lo stesso rientrare tra gli “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, del codice di rito (v., da ultimo, Sez. 6, n. 11735 del 25/01/2024, Tavella, Rv. 286202, in tema di reato associativo mafioso).
In tale arresto si è condivisibilmente osservato che il contributo all’attualità della vita associativa e alla realizzazione dei fini, che la stessa si propone, non può risolversi in una semplice adesione di tipo ideologico, che sicuramente rileva sul piano psicologico, ma deve, comunque, concretarsi in una condotta partecipativa, anche di rilievo non particolarmente incisivo e, come tale, sostituibile, che sia funzionale alla realizzazione degli scopi illeciti della compagine e dimostrativa dell’attualità dell’inserimento in essa dell’indagato e, quindi, della permanenza del delitto associativo non solo sul versante oggettivo della struttura associativa in sé considerata, ma anche su quello soggettivo della personale adesione ad essa del singolo indagato.
A fronte di siffatta connotazione della condotta di partecipazione ad una associazione per delinquere e dell’incontestata natura permanente di tale reato, si è ritenuto che il tempo intercorso tra i fatti contestati e l’emissione della misura cautelare, ove sia privo di ulteriori condotte “sintomatiche” di perdurante pericolosità da parte dell’indagato, può rilevare quale fattore indicativo della inattualità del vincolo associativo o della sua definitiva dissoluzione – dovendosi, peraltro, escludere la necessità che il recesso dell’associato assuma le forme di
una dissociazione espressa, coincidente con l’inizio della collaborazione con l’Autorità giudiziaria.
La duplice presunzione, stabilita dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. relativa, quanto alla sussistenza del periculum libertatis, e assoluta, quanto all’adeguatezza della sola custodia carceraria a fronteggiarlo – si fonda sulla regola di esperienza secondo cui l’appartenenza ad associazioni di tipo mafioso implica un’adesione permanente a un sodalizio criminoso, di norma fortemente radicato nel territorio, caratterizzato da una fitta rete di collegamenti personali e dotato di particolare forza intimidatrice.
Il tempo c.d. “silente”, quando appare rilevante per la sua estensione, viene, pertanto, a costituire un dato idoneo ad incrinare la tenuta di questa regola di esperienza quanto alla perdurante adesione.
Sulla base di queste premesse in diritto e considerato il tempo trascorso dall’ultimo fatto sintomatico della partecipazione del ricorrente al sodalizio, coincidente con il reato fine di cui al capo 231) dell’imputazione provvisoria, la motivazione dell’ordinanza impugnata appare carente, non potendo la perdurante pericolosità essere tratta soltanto dalla permanente vitalità di un sodalizio che, radicata nel tempo, è continuata indisturbata anche in seguito all’arresto di alcuni acquirenti e corrieri ed al sequestro dello stupefacente.
Anche il riferimento, espresso nell’ordinanza impugnata, al superamento delle incomprensioni tra l’indagato e NOME COGNOME e al nuovo incontro concordato tra i due non pare, in difetto di indicazioni del contenuto di tale incontro, un dato univocamente deponente per la permanenza della personale adesione al sodalizio da parte del ricorrente.
Ne discende che, nel caso in esame, il Tribunale ha rilevato l’assenza di elementi in grado di escludere la ricorrenza delle esigenze cautelari ovvero l’inadeguatezza di misure meno afflittive, ancorando il giudizio di concretezza e attualità al contesto criminale nel quale il reato associativo si è sviluppato. Manca, di contro, ogni approfondimento legato al dato temporale, significativo nel caso di specie, posto che il reato fine risale al 2018 e dall’ordinanza non emergono elementi in grado di evidenziare che l’indagato abbia continuato a gravitare negli anni successivi nell’ambiente di riferimento o abbia attuato altri comportamenti in ipotesi sintomatici della sua persistente pericolosità.
Si impone, in conseguenza della riscontrata lacuna motivazionale, l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato al fine di consentire al Tribunale, alla luce dei superiori rilievi, di procedere a un nuovo esame in ordine alla sussistenza del pericolo concreto e attuale di reiterazione di reati della stessa specie da parte del ricorrente.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Catanzaro, competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen. Così deciso il 3 dicembre 2024.